mercoledì 9 ottobre 2019

santa Pupa







Santa Pupa è un personaggio della cultura popolare romana protettrice dei bambini (i pupi). La si ringrazia soprattutto quando i bambini cadono e non si fanno niente nonostante il grande spavento creato.
Purtroppo non è nota alla maggior parte dei romani. È infatti conosciuta essenzialmente da chi è romano da diverse generazioni..
In realtà Santa Pupa radunava in sé tutte quelle divinità minori che gli antichi romani invocavano per i loro figli sin dalla nascita.
Al momento del parto, che avveniva sotto la direzione generale di Partula (identificabile in origine con la Parca Cloto), si pregava la dea Lucina che portava i neonati “alla luce”; altro suo nome era Candelìfera, alla quale s’accendeva una candela votiva.
Sia Partula che Lucina, con l’avvento del Cristianesimo, furono sostituite da Sant’Anna: il rito della candela accesa di fronte all’immagine della madre della Madonna è ancora vivo in molte regioni dell’Italia rurale.
Appena nato il bebè, era fondamentale l’immediato intervento del dio Vagitano, colui che gli faceva lanciare il primo vagito/strillo il quale, mettendo in moto i polmoni, gli permetteva di respirare.
Se il bimbo era inappetente s’invocava la dea Edusa (da “edo”, mangiare); per il bere c’era invece Potina (“poto”, bere), la quale badava che non si strozzasse deglutendo.
La dea Cuba (“cubo”, dormire) o Cunina (“cuna”, culla) veniva inondata di suppliche se il pargolo con la sua insonnia rendeva insonni gli altri, e nello stesso tempo vegliava sui suoi sogni cacciando gli Incubi.
Se Pavenzia (“paveo”, temere) l’aiutava a superare gli spaventi improvvisi, Carda ne proteggeva il fisico, Stimula ne affinava i sensi mentre Sentia (“sentio”, pensare) si occupava dei suoi ragionamenti, curandone il raziocinio e la prima consapevolezza, insegnandogli pian piano a diventare indipendente.
L’evoluzione dalla lallazione – ossia dal balbettìo di sillabe ripetute dal neonato senza però formulare parole complete e sensate – al linguaggio parlato vero e proprio, avveniva sotto la protezione del dio Fabulinus (“fabulor”, chiacchierare). Invece il passaggio dal gattonare all’avanzar traballando e precipitando col popò a terra ogni due passi, sino ad arrivare al camminare eretto aveva come nume tutelare il dio Statulino (“stare”, essere fermo in piedi).
Sotto l’egida della dea Iuventas, divinità del passaggio dall’infanzia all’adolescenza contrassegnata dal primo apparire dei pelini sul volto, per i maschietti era Barbatus; per le femminucce al primo menarca invece c’era Dria, dea della pudicizia.
Da quel momento i pupi, diventati grandicelli, iniziavano a uscire di casa da soli; in quel caso mamma e papà si mettevano a invocare la protezione della dea Abeona (“abeo”, vado), mentre chi li guidava riconducendoli sani e salvi al paterno ostello era Adeona (“adeo”, torno”)…


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