La maschera e il graal
Indagine sull'archetipo della
"coppa"
Collana: Biblioteca di cultura (722)
Argomento: Antropologia culturale
2012, pagine 34
ISBN: 978-88-7870-627-9
Quarta
di copertina
Cosa si rivela dietro l’archetipo del Grani, la Sacra
Coppa del sangue di Cristo? A quali arcaici riti si ricollega il mito
del prezioso Calice le cui diverse forme – coppa, libro, spada, pietra ...
– sembrano palesare una connessione con la primordiale scrittura rupestre
a “coppelle”?
Il messaggio tracciato mediante le piccole
coppe scavate sulla roccia, simile ad un libro litico, si illuminava in
particolari periodi dell’anno sotto la luce degli astri filtrante dalle
fessure delle grotte come la lama di un gladio, permettendo di interpretare il
destino e controllare i ritmi del divenire stabiliti in base all’apparizione di
particolari costellazioni sulla volta celeste. Queste sono tuttora spesso
individuabili nella corrispondente, perfetta disposizione delle coppelle stesse
su certi massi.
A tale codice, di cui si è, ormai,
smarrito il senso, alludono i misteriosi miti della luminosa “Parola perduta”,
motivo sempre riferibile alla perfezione creativa dei primordi cui rinvia anche
il nome “Eden” del Castello del Re Guardiano del Santo Graal. Sullo
sfondo trapelano gli arcaici cerimoniali della Grande dea, Signora della
coppa-ventre; culla-tomba; contenitore di rigenerazione come il calderone celtico
dell’abbondanza o il lucente caldaio dove le sacerdotesse
astrologhe, addette ai riti solari, al crepuscolo o nel transito annuale,
facevano “scendere” il sole morente, di cui indossavano la maschera, per
ringiovanirlo affinché risorgesse all’alba come, in origine, dal ventre della
dea Nut.
La saga della Sacra Coppa,
contenitore del sangue di Gesù, personificazione del “Sole invitto” come gli
antichi Re Sacri, periodicamente immolati per garantire la salvezza comune,
rappresenta la riattualizzazione di riti primordiali la cui confusa memoria,
ancora presente nell’immaginario antropologico di tutti i popoli, si ripropone
a sprazzi perché i vecchi simboli, modellandosi sulle nuove esigenze etiche,
possano suggerire le soluzioni più opportune alle specifiche problematiche di
ogni tempo.
Studiosa del Sacro, Emanuela Chiavarelli ricerca nelle attestazioni di miti, riti, fiabe, tradizioni popolari, le vestigia delle forme magico-religiose suggerite all’uomo dall’approccio al divino. Autrice di saggi come Sulle tracce della scarpina perduta e II dio Asino, il mistero di un’antica divinità, scrive per le riviste «Studi Sull’Oriente Cristiano», «Psicoanalisi Forense», «Tema», «Psicoanalisi corporea». Per Bulzoni ha pubblicato Diana, Arlecchino e gli spiriti volanti. Dallo sciamanismo alla “caccia selvaggia”, (2007) e Intarsi: momenti di antropologia, (2009). Attualmente collabora con la cattedra di Antropologia Culturale presso la facoltà di Scienze politiche della Sapienza Università di Roma.
Studiosa del Sacro, Emanuela Chiavarelli ricerca nelle attestazioni di miti, riti, fiabe, tradizioni popolari, le vestigia delle forme magico-religiose suggerite all’uomo dall’approccio al divino. Autrice di saggi come Sulle tracce della scarpina perduta e II dio Asino, il mistero di un’antica divinità, scrive per le riviste «Studi Sull’Oriente Cristiano», «Psicoanalisi Forense», «Tema», «Psicoanalisi corporea». Per Bulzoni ha pubblicato Diana, Arlecchino e gli spiriti volanti. Dallo sciamanismo alla “caccia selvaggia”, (2007) e Intarsi: momenti di antropologia, (2009). Attualmente collabora con la cattedra di Antropologia Culturale presso la facoltà di Scienze politiche della Sapienza Università di Roma.
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