giovedì 31 maggio 2012
L'altro Nerone
scultura di Nerone Giovinetto -
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E’ ora: riabilitiamo Nerone
L’incendio di Roma? Lui non c’entrava niente. Anzi, ospitò gli scampati e pagò i danni di tasca sua. Ma fu anche un pacifista, un grande urbanista, un marito innamorato. E varò una ‘patrimoniale’ che fece infuriare i super ricchi…
Arianna Di Genova per “l’Espresso“
Nerone non appiccò l’incendio che devastò Roma e anzi la ricostruì con un modernissimo piano regolatore. Si macchiò del delitto più atroce, il matricidio, pur se aborriva il sangue, non mise mai piede in un campo militare perché detestava la guerra, era tiranneggiato dalla poesia e dall’amore per la seconda, impegnativa moglie Poppea. Biondo-rosso, con le lentiggini e gli occhi chiari, salito al trono a meno di 17 anni e suicida a soli 30, l’ultimo imperatore della dinastia Giulio-Claudia, successore di Augusto e nipote del grande generale Germanico, è stato un personaggio controverso che però non merita la fama nefasta che da sempre lo accompagna. Non fu quella macchietta che ci ha restituito il cinema, né il tiranno dissoluto descritto dagli storici. Fu esagerato e teatrale nei comportamenti, ma non un uomo lascivo e crudele. Ebbe la fortuna di avere accanto a sé precettori del calibro di Seneca, si cimentò nella musica, amò la letteratura, le gare sportive e i divertimenti circensi.
Marisa Ranieri Panetta, archeologa e studiosa neroniana, avverte: “Nerone non era un personaggio negativo a tutto tondo. Fu un monarca molto amato dal popolo romano e dalle sue legioni. La gente, dopo la sua morte, continuò per anni a depositare fiori sulla sua tomba”. A consolidare le sue parole, c’è una mostra che si inaugura a Roma il 12 aprile: attraverso un percorso che si snoda sui luoghi della vita privata e pubblica dell’imperatore, si tenta di riabilitare la sua figura, o almeno di stabilire una verità più equilibrata.
“La mostra cerca di raccontare nel bene e nel male un’intera epoca”, spiega Ranieri Panetta, che è nel comitato scientifico della rassegna voluta dalla Soprintendenza speciale per i beni archeologici e collabora alla sua organizzazione: “Bisogna “tirare fuori dalle ragnatele” Nerone rileggendo i documenti e con l’aiuto dei reperti archeologici scoperti negli scavi più recenti. Quando parliamo della romanità quotidiana, erotica, religiosa, dobbiamo sempre fare lo sforzo di calarci nella mentalità del tempo e non giudicare col nostro metro, frutto di duemila anni di filosofia e di cristianesimo”.
Nonostante luci e ombre, Nerone era quindi un imperatore moderno?
“Sicuramente è stato un anticipatore dei tempi. Storici e biografi come Svetonio e Tacito, seppure a lui ostili, non ne possono tacere la grandissima popolarità, la fedeltà dei soldati e la munificenza nel regnare. Offrì stipendi a vita ai senatori in difficoltà, pretese lo svolgimento pubblico dei processi, diminuì i premi ai delatori. Dal punto di vista architettonico e urbanistico, Nerone dette un’impronta grandiosa e scenografica a Roma. Le sue terme, vicino al Pantheon, erano famose per il lusso e il comfort. Per se stesso, pretese il meglio: si volle immortalare in un Colosso di bronzo dorato e diede avvio alla Domus Aurea. Per la soddisfazione del popolo, inventò i “missilia”, specie di gettoni a cui corrispondevano dei premi, che lanciava durante i giochi. Si preoccupò anche dei porti di Anzio e Ostia, che fornì di un sistema di canali all’avanguardia. Aveva inoltre un gran senso della propaganda: quando venne a Roma Tiridate, fratello del re dei Parti, avvolse la città nell’oro”.
Ebbe, però, molti problemi: il Senato lo dichiarò “hostis publicus”, nemico pubblico…
“Nerone fu in contrasto con la sua classe dirigente. All’origine dei dissidi ci fu la sua riforma tributaria che oggi potremmo definire una specie di “patrimoniale”, basata sul censo. L’imperatore non faceva guerre di conquista come Traiano, che ricoprì Roma con l’oro e l’argento dei Daci. Le risorse imperiali non erano inesauribili, così pensò di introdurre tasse dirette. Ma il Senato si oppose e la sua vita privata divenne il bersaglio preferito. Fu attaccato per le sue dissolutezze e cominciarono a circolare libelli diffamatori”.
Nerone era un pacifista?
“Oggi lo definiremmo così. Fece chiudere le porte del tempio di Giano per dimostrare che l’impero era in pace. Non fu temprato dalla vita militare e durante il suo regno non fece guerre di conquista, piuttosto badò a difendere i confini. Non si recò mai negli accampamenti, eppure gran parte delle legioni gli furono fedeli fino all’ultimo, quando alcune province si ribellarono. Nerone era portato per la filosofia e la musica, adorava le corse con gli aurighi, aveva un carattere che mal si adattava alle ambizioni della madre Agrippina che aveva sposato Claudio per accrescere il suo potere e favorire l’ascesa del figlio. Il suo modello erano i greci: voleva essere un novello Apollo, incoraggiò i concorsi di poesia e le gare atletiche. La cultura, l’arte e l’architettura ebbero tutti gli onori. Lo dovette ammettere anche Tacito che Roma, dopo l’incendio, era più bella di prima.]]>
Ma che cosa si può dire dell’incendio?
“Non fu lui il responsabile del disastro, ma se ne servì per edificare la sua reggia, incolpando i cristiani della catastrofe. Nerone era ad Anzio quando scoppiò. Fece di tutto per limitare i danni e pagò parte della ricostruzione con le sue risorse. Ospitò gli scampati nei suoi giardini ed ebbe l’idea geniale di riempire le paludi di Ostia con le macerie, così da bonificarle. Per la Roma del futuro, volle materiali ignifughi per le case, tanti porticati, strade più larghe e più punti di rifornimento per l’acqua”.
Che rapporti ebbe con le donne?
“Amò fino alla perdizione la seconda bellissima moglie Poppea. Con lei dilapidava interi patrimoni, circondandosi del lusso più sfrenato. E quando lei morì volle celebrare nuove nozze con il liberto Sporo perché vi trovava una somiglianza con Poppea. La prima moglie Ottavia, la sorellastra che sposò dodicenne, non venne mai amata, fu ripudiata e poi uccisa. Ma la donna che determinò il suo destino fu la madre Agrippina. Quando Nerone capì, certamente Seneca complice, che per ribadire il suo potere voleva usurparglielo, non si oppose alla sua morte. Dopo, fu perseguitato per sempre dal rimorso.
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