venerdì 27 gennaio 2017

I BESTIARI MEDIEVALI COME TESTIMONIANZA DI UN ALTRO MODO DI ACCOSTARSI ALLA NATURA




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L'uomo medievale pensava che l'impossibile non esiste. O, se si preferisce, pensava che quanto è impossibile all'uomo, è sempre possibile a Dio; e che, essendo ogni cosa soggetta al volere di Dio, l'impossibile può manifestarsi nella natura e fare irruzione nella vita quotidiana. La scienza medievale non aveva obiezioni di massima a ciò; solo con il tomismo, che è una forma di razionalismo tendenzialmente naturalista (per la quale l'uomo, ad esempio, sta a mezza strada fra l'angelo e l'animale), incominciano ad aprirsi le prime crepe in tale edificio; per esempio, laddove San Tommaso afferma che nemmeno Dio può far sì che ciò è accaduto, non sia stato (nella Summa Theologiae, I, XXV, 4).

La scienza medievale, erede di quella aristotelica, non osserva la natura con la pretesa di spiegarla, ma con l'obiettivo di comprendere a qual fine avvengano i fenomeni; conosce l'esperimento, ma non lo assolutizza; conosce anche le ipotesi e le teorie, ma non ritiene che esse debbano sempre accordarsi con i fatti, perché sa che taluni fatti, benché certi, non possono essere spiegati e tanto meno sottoposti a verifica sperimentale. La scienza medioevale dà grande peso alla tradizione e all'autorità; giudica che se una cosa è stata tramandata da molte generazioni o se gode della testimonianza di una fonte autorevole, non abbia bisogno di ulteriori verifiche per essere accettata come vera o, quanto meno, come probabile: angeli e demoni esistono, ma chi li può osservare e studiare da vicino, se non il mistico, il santo e l'esorcista?

L'ordine naturale è solo una parte della realtà: la parte visibile, la parte esperibile mediante i sensi; ma, accanto ad essa, vi è un'altra dimensione, quella preternaturale, in cui agiscono forze e spiriti di natura non umana; e, al di sopra di entrambe, la dimensione soprannaturale, che appartiene solamente a Dio. Noi le consideriamo come se fossero separate, ma in qualunque momento possono aprirsi dei varchi, e l'una può entrare di forza nell'ambito dell'altra. Prediamo il caso dell'uomo: in lui vi è una dimensione naturale, che corrisponde alla vita del corpo e, sul piano sociale e politico, segna l'appartenenza ad una comunità, ad una sovranità, a un sistema di leggi e consuetudini; ma vi è anche e soprattutto una dimensione soprannaturale, quella dell'anima, che, vivificata dalla grazia, può protendersi fino al divino, mediante la santità, o che, allontanandosi da Dio, può scegliere di precipitare nell'Inferno del peccato.

Per gli animali vale lo stesso ordine di ragionamento: quel che di essi vediamo è solo il corpo, la dimensione sensibile; ma in essi vi è anche una dimensione ulteriore, simbolica, attraverso la quale la sapienza divina ci comunica un messaggio, che noi dobbiamo saper riconoscere; allo stesso modo, il Diavolo può servirsi di loro per aprire un varco nelle difese dell'anima e infliggere all'uomo le terribili ferite del peccato. Per secoli, ad esempio, l'arte sacra medievale ha rappresentato Gesù Cristo come un agnello sacrificale e ha visto nel gallo, che canta prima della luce diurna, il simbolo delle forze del Bene, così come nella tartaruga le forze del Male; di un pesce misterioso si serve l'arcangelo Raffaele, nel Libro di Tobia, per scacciare il diavolo Asmodeo dalla camera nuziale di Sara, così come un serpente, nel Paradiso Terrestre, induce in tentazione i primi uomini, Adamo ed Eva, spingendoli a ribellarsi al divieto divino di mangiare i frutti dell'Albero del Bene e del Male e provocando, così, la caduta morale dell'intera umanità.


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I bestiari medievali, derivati da un fortunatissimo testo apparso, in lingua greca, nel tardo Impero Romano, il Physiologus, sono una delle più caratteristiche espressioni del sapere medievale intorno alla natura, assieme ai lapidari (atlanti del mondo minerale) e agli erbari (questi ultimi, essenzialmente concepiti in funzione pratica e officinale); non oseremmo dire della scienza medievale, perché non avevano alcuna pretesa scientifica, e sia pure di quella scienza che il Medioevo conosceva e praticava, assai diversa dalla scienza moderna, post-galileiana e newtoniana (meccanicista, riduzionista, tendenzialmente materialista).
Nei bestiari, sovente illustrati da splendide miniature, la vita e le abitudini degli animali sono accompagnate da spiegazioni di tipo moralizzante e da riferimenti alla Bibbia; più che opere di tipo scientifico – e sia pure di quella particolare forma o idea di scienza che è stata la "filosofia naturale" di aristotelica memoria – potremmo semmai parlare di un sapere popolaresco concernente la natura, alimentato da svariate tradizioni e sorretto, più che da una osservazione diretta, da un paradigma culturale basato sull'importanza fondamentale del segno e dell'allegoria, ovunque presenti nella realtà naturale come cifra di un insegnamento morale. […]

L'aspetto più sconcertante dei bestiari medievali, per la mentalità moderna, è la disinvoltura con cui animali reali vengono descritti accanto ad animali favolosi e leggendari, come se non vi fosse alcuna discontinuità fra le rispettive categorie. Mentre per la cultura moderna una cosa è un oggetto osservato e verificato come "reale", e un'altra cosa, completamente diversa, è un oggetto d'immaginazione o di origine fiabesca, dai bestiari risulta chiaramente che l'uomo medievale rifugge da distinzioni così nette e irrevocabili; e qui torniamo a quanto dicevamo all'inizio, circa il diverso atteggiamento dell'uomo medievale rispetto a ciò che è da considerarsi possibile o impossibile. […]

L'uomo medievale sa che il mistero è presente ovunque e, proprio per questo, non esclude nulla a priori; non dice che una cosa è impossibile solamente perché non rientra nelle sue categorie mentali; il che non equivale semplicemente a qualificarlo come un credulone, perché la sua non è solo – certo, è anche – credulità, ma una forma mentale più ampia e più elastica della nostra, imbrigliata e irrigidita da alcuni secoli di pensiero razionalista e scientista. Sfogliando le pagine di un bestiario medievale, insomma, si ricava una immagine viva e complessiva della mentalità, della psicologia e della cultura dell'uomo medievale, per certi aspetti così diverse dalle nostre, ma non necessariamente più "ingenue", qualunque cosa ciò significhi. L'uomo medievale possiede ancora l'incanto del mondo; in lui sopravvivono forme di pensiero magico, che coesistono con il pensiero logico e razionale: ancora nel Rinascimento, le due cose non si escluderanno affatto a vicenda, come prova, nell'ambito della cultura "alta", il caso dei maghi-scienziati del 1400 e 1500. […]

Andiamoci piano, dunque, prima di concludere, dalla lettura di un bestiario medievale, che i contemporanei di Alberto Magno, di Tommaso d'Aquino, di Dante, erano dei creduloni superstiziosi, solo perché avevano un'altra maniera di guardare al mondo degli animali e, più in generale, al mondo della natura. Non è detto che la loro maniera sia da considerarsi inferiore alla nostra, anche se era, certo, molto diversa.
Anche perché, a sostenere una cosa del genere, saremmo noi, all'interno del nostro paradigma culturale, dall'alto del quale pretendiamo di giudicare il loro; ma chissà cosa diranno del NOSTRO paradigma culturale, gli scienziati, o anche soltanto le persone comuni, fra qualche secolo o fra qualche millennio.




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