sabato 13 agosto 2016

NICCOLO’ PAGANINI, STORIA DI UN MITO

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Il fenomeno delle star, delle “vedette”, dei divi non è esclusiva della nostra società dello spettacolo. Anche in passato ci sono stati casi di personaggi del mondo dell’arte (in particolare della musica) che erano oggetto di culto da parte del pubblico. Nella musica questo fenomeno raggiunse l’apice nell’800, durante il romanticismo ed era legato al fenomeno del virtuosismo. Il tratto fondamentale era il fatto che la fortuna dei divi dell’epoca dipendeva sia dalla irripetibile maestria nel suonare il proprio strumento, sia dalla cura di aspetti particolari della propria persona che attiravano l’attenzione e l’interesse della gente comune, portando ad una vera e propria feticizzazione del corpo dell’artista. In questo articolo tratterò il caso straordinario di Niccolò Paganini.

E' necessario sottolineare che Paganini, grandissimo promotore di se stesso, sfruttò a proprio vantaggio le sue caratteristiche fisiche e, soprattutto, non smentì mai le voci che accostavano il suo nome a quello del diavolo. Nel 1812 Paganini assiste, alla Scala di Milano, ad uno strano balletto di Salvatore Viganò intitolato "Il noce di Benevento", che parla di streghe che si riuniscono nei pressi di un albero.
Una delle melodie di questo lavoro lo affascina a tal punto che incomincia ad inserirla nei concerti.
Diventa famoso e i media del tempo si occupano di lui, lo vediamo ritratto mentre suona circondato da diavoli. Paganini si trasforma in un fenomeno massmediatico e fioriscono le prime leggende metropolitane sulla sua chiacchierata persona. Le voci si rincorrono. Sembra che da bambino, a causa del morbillo, sia quasi stato sepolto vivo! Durante i suoi concerti c’è chi giura di vedere sinistri bagliori o di sentire odore di zolfo! In questo clima eccitato, persino il poeta Heinrich Heine, nelle Florentinische Nächte, descrive così il musicista durante un’esibizione:

Dietro a lui s’agitava uno spettro,
la fisionomia del quale rivelava
una beffarda natura di caprone
e talvolta vedevo due lunghe
mani pelose (le sue, pareva)
toccare le corde dello strumento
suonato da Paganini.
Talvolta esse gli guidavano pure
la mano onde reggeva l’arco e
risate belanti d’applauso
accompagnavano i suoni che
sgorgavano dal violino sempre
più dolorosi e cruenti.

Niccolò Paganini è stato il più grande violinista dell’Ottocento. Era dotato di una tecnica straordinaria e le sue composizioni erano considerate ineseguibili da un altro violinista. Era velocissimo, compiva salti melodici di diverse ottave, eseguiva lunghi passi con accordi che coprivano tutte e quattro le corde, alternava velocemente note eseguite con l’arco e note pizzicate alla mano sinistra. Eseguiva anche misteriosi e spettrali armonici artificiali. Ogni tecnica era portata all’eccesso e le sue violente esecuzioni finivano quasi sempre con la volontaria e progressiva rottura delle corde e la conclusione del concerto sull’unica corda superstite, quella di sol.

Oltre che questa forte componente virtuosistica, a determinare il suo successo era anche il forte alone di mistero che circondava la sua figura. Si diceva, per esempio, che avesse ucciso un rivale in amore e in prigione gli era stato concesso di suonare il violino. Naturalmente, con il passare del tempo, perse tutte le corde, tranne quella di sol, e fu costretto a suonare solo su quella corda. Da questo aneddoto si faceva derivare la sua particolare bravura sulla corda di sol. Un aneddoto ben più fantasioso e inquietante è quello che diceva di come Paganini ricavasse le corde del suo violino dalle viscere delle sue vittime.

La figura di Paganini era collegata a Satana: si diceva che avesse stipulato un patto con il diavolo per poter suonare in quel modo. In generale il violino stesso era considerato lo strumento del diavolo. Questa associazione con il diavolo era aiutata dalla sua immagine: era scarno, a causa della sifilide, vestiva interamente di nero. Il viso cereo e gli occhi rientrati nelle orbite. Aveva perso tutta la dentatura a causa del mercurio somministrato per curare la sifilide e la bocca gli era così rientrata e naso e mento si erano avvicinati (come i vecchi senza dentiera). Quando Paganini suonava sul palcoscenico sembrava davvero assomigliare ad uno scheletro in frack con un violino incastrato sotto la mascella.

Nonostante la sua brutta figura ebbe moltissime amanti. Grazie a tutte queste caratteristiche, l’immagine di Paganini era molto attraente e tutti accorrevano a sentirlo, o forse solo a vederlo. Ebbe un grande successo locale e internazionale. La sua apparizione faceva lievitare il prezzo del biglietto d’ingresso e la sua immagine era sfruttata per la vendita delle “caramelle Paganini”. Era in poche parole una “star”. L’espressione corrente “Paganini non ripete”, con la quale si esprime la negazione di replicare un gesto o una frase, venne coniata durante un’esibizione di Paganini di fronte al sovrano Carlo Felice (1825), quando il violinista rifiutò di eseguire il bis chiestogli dal re.

Tutto ciò potrebbe naturalmente stimolare l’idea che la sua fama era dovuta più all’immagine e al suo virtuosismo che al suo talento artistico nei panni di “creatore”. Ma ciò non è vero perché le sue composizioni sono comunque molto originali e profonde.

Le mani di Niccolo Paganini, che avevano possibilità di movimenti eccessivi, gli permisero di raggiungere quel virtuosismo acrobatico sullo strumento grazie al quale ha toccato traguardi mai più raggiunti. Lo attestano, in diverse forme, in primo luogo i giornali del tempo. «Non v'è nulla di più difficile che descrivere le prestazioni di Paganini sul violino per renderne comprensibile l'effetto a chi non l'abbia mai udito [...] La difficoltà e complessità dei passaggi ...sono davvero meravigliose, e ancor più ammirevole è la facilità con cui le supera.


Copertina dell'album Diabolus in musica, Accardo interpreta Paganini
di S. Accardo e London Philharmonic Orchestra diretta da Charles Dutoit (1996)
Immagine dal sito https://upload.wikimedia.org/

[...]Il suo violino, in questi passaggi, sembra una parte di lui stesso, il mezzo espressivo più adatto per comunicare ciò che la sua mente produce. Se un violino può sentire e parlare, è nelle sue mani che ciò accade. La delicatezza e verità dell'intonazione sono sempre straordinarie. La nota attenuata, ridotta a un filo, arriva distinta come quando egli strappa dallo strumento tutta la potenza del suono [...] La parte più caratteristica della sua tecnica è l'uso delle note prodotte dalle dita della mano sinistra, contemporaneamente a quelle date dall'arco, e le note armoniche che, prodotte da una leggerissima pressione sulle corde, rassomigliano per la loro nitidezza e dolcezza a quelle più alte del flauto [...] Con il simultaneo uso poi del pizzicato e dell'arco si può dire ch'egli fonda in un solo strumento il violino e la chitarra [...] I suoi arpeggi hanno una rapidità e un'esattezza senza confronto possibile. L'esecuzione dei tremoli in doppia e dei passaggi in ottava è bellissima, perfetta [...] Fa lo staccato in modo diverso da chiunque altro. L'arco colpisce le corde una volta sola, ma sembra invece che scorra vibrando su tutte le note che il musicista vuole, e fa questo con la rapidità del pensiero. Il suo modo di colpire le corde è caratteristico: adopera or l'una ora l'altra estremità dell'arco e lo fa in modo tale che, prima che l'arco tocchi la corda, l'esecuzione sembra debba riuscir pessima, e invece riesce perfetta»

Queste meraviglie nascevano da mani eccessivamente abili, mani non soltanto capaci di movimenti al di là della norma (come può accadere a mani abili divenute tali con l'esercizio continuo) ma dotate di caratteristiche anatomiche tali da permettere movimenti impossibili ai più: movimenti esasperati, ma non creati, con l'estenuante esercizio impostogli prima del padre, poi da se stesso.

«Niccolò va su e giù, per giornate intere, su quello strumento che ormai non è più un pezzo di legno, ma della sua stessa carne, e fa tanto male, per giunta: alle dita che, dopo una giornata di martellamento, pare ci sia caduto sopra un macigno, al cuore che, a tratti, per il semplice gemito delle corde, si mette furiosamente a ballare, ai nervi, che si tendono come spago»

C'è anche stato chi ha descritto proprio le sue mani dopo averle viste suonare: « I suoi gomiti, quando suona, sembrano rientrare e perdersi dentro il suo corpo, il suo polso è attaccato al braccio da articolazioni così elastiche, così mobili che io non trovo paragone migliore di quello di un fazzoletto legato all'estremità di un bastone, che il vento fa sventolare da tutte le parti. Le sue dita, già d'una lunghezza proporzionata al corpo, sono state senza dubbio ancora allungate dall'esercizio del violino, e non temo di affermare che la mano sinistra è più lunga della destra» «L'estensione dei legamenti capsulari delle due spalle, e la lassità dei legamenti che uniscono il polso all'avambraccio, il carpo al metacarpo e le falangi tra loro, chi lo presenterà, e avrà dunque la capacità di fare ciò che egli fa? La sua mano non è più grande del giusto, ma egli ne raddoppia l'estensione grazie all'elasticità che tutte le sue parti presentano. Così, per esempio, imprime alle prime falangi delle dita della mano sinistra, che toccano le corde un movimento di flessione straordinario che porta, senza che la mano si scomponga, nel senso laterale alla loro flessione naturale, e ciò con facilità, precisione e rapidità. Si dirà che tali facoltà fisiche non si sono sviluppate se non attraverso un lungo esercizio. Può darsi, ma bisognerà sempre convenire che la natura dovesse averlo mirabilmente conformato per arrivare a questo risultato. Essa deve averlo gratificato di disposizioni organiche che poi lo studio ha perfezionato. Così, per arrivare a essere Paganini, non gli sarebbe bastato il suo genio musicale: gli era necessaria la struttura fisica che ha, la poca larghezza del petto e l'estensione che può dare ai legamenti delle articolazioni in movimento» Sul rapporto tra disposizione naturale ed esercizio ecco un'altra interessante testimonianza: è in una lettera scritta in lingua slava dal magistrato raguseo Matteo Niccolò de Glataldi, che conobbe Paganini a Venezia nel 1824: «Alla sera mostrò la mano sinistra al dr. Martecchini che era giunto il giorno prima da Trieste. È straordinario quello che egli può fare con la mano. Piega lateralmente le dita.. .può allungare tanto il pollice a sinistra da avvolgerlo intorno al mignolo... muove la mano nell'articolazione in modo tale come se non avesse ne muscoli ne ossa. Quando il dr. Martecchini gli disse che questa facilità di movimento altro non era che la conseguenza del suo insensato furore di esercitarsi, Paganini lo contraddisse con veemenza. Anche i bambini sanno che Paganini ancora oggi si esercita sette ore al giorno, sebbene egli per vanità non voglia ammetterlo. Il dr. Martecchini però rimase fermo nella sua affermazione e allora Paganini cominciò a infuriarsi e a gridare tacciando il dottore di essere un ladro e un rapinatore»

È un peccato che l'autore della lettera, convinto che Paganini mentisse, non riporti le sue argomentazioni: ma è verosimile che egli, negando di esercitarsi sul violino così intensamente come si credeva, insistesse proprio sul fatto che quella straordinaria flessibilità e mobilità le sue mani l'avevano sempre avuta. Se infatti aveva ragione Bennati, che era medico e l'aveva osservato a lungo, queste doti (o difetti se si vuole: in ogni caso, certo anomalie) erano in lui costituzionali. A queste e a molte altre simili, descrizioni verbali di Paganini, delle sue mani e braccia e dei loro movimenti, fanno riscontro poche, ma eloquentissime immagini visive. II calco in gesso delle sue mani, conservato al Museo Masena di Nizza (la città dove Paganini morì), conferma la descrizione di Bennati, mani non straordinariamente grandi, ma di anomale proporzioni e in anomala postura, che fa intuire la lassità dei legamenti. Poi vi sono gli schizzi eloquenti e i precisissimi disegni di Ludwing Burmeister detto Lyser, un pittore sordo e un po' pazzo che, appassionato di musica, usava stare nei concerti vicino all'orchestra per leggere la musica sui volti e sulle mani dei musicisti, che spesso ritraeva sul suo taccuino. Il poeta Heine, che vide e descrisse Paganini, scrisse di Lyser: «Credo che a un solo uomo sia stato concesso di restituire sulla carta la vera fisionomia di Paganini». Della singolare apparenza fisica di Paganini, e dei molteplici gravi mali dei quali soffrì nella sua vita tormentata, sono state date le più diverse spiegazioni: è stato ritenuto tisico, epilettico, e persino adepto o stretto parente del diavolo.

NICCOLO' PAGANINI, STORIA DI UN MITO - http://www.primapaginaitaliana.it/

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