“L’<<Essere>> o <<ciò che è>> non può essere reale, è un ‘plenum’. È esteso, <<simile a una sfera>> nella sua intrinseca simmetria. Ma se è di per sé un ‘plenum’ e tutto di <<corpo reale>> (dobbiamo mettere queste parole fra virgolette, ma dobbiamo usarle, perché quanto viene aggiunto dai sensi è soltanto fenomenologico, Luce e Notte), è anche indistinguibile dallo spazio isotropico. È un genere ben strano di <<corpo>>, privo com’è di ogni concretezza. Sarebbe più aderente a questo stadio dell’ideazione chiamarlo non <<corpo reale>>, bensì <<corpo del mio pensiero>>; corpo di Verità, corpo di realtà; non Essere, bensì <<Ess-ente>>.
È dunque questa la <<Verità>>? Il poema risponde con assolutismo imperatorio che lo è, non essendovi altra via pensabile. Il non-essere <<non è dicibile>> perché, a stretto rigor di termini, non è in nessun posto. Essere è come dire che è. Ma da questo picco stratosferico di immediatezza logica non si fa ritorno, e neppure si può avanzare, se non nella teoria matematica; intorno a questo punto in ogni direzione si apre un abisso.”
G. de Santillana, “Prologo a Parmenide”
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