Napoli - Si chiamava Marcus Venerius Secundio l’inquilino della tomba a recinto rinvenuta a Pompei durante gli scavi compiuti nella necropoli di Porta Sarno. Era uno schiavo pubblico, custode del tempio di Venere. Una volta liberato aveva fatto fortuna, al punto da poter offrire spettacoli ai propri concittadini e poi permettersi una sepoltura monumentale in un luogo prestigioso. Nel sito vesuviano il ritrovamento ha causato meraviglia e sconcerto: decorato sulla facciata da piante verdi su fondo blu e sormontato da un’importante epigrafe, il sepolcro di Secundio è decisamente insolito e le sue caratteristiche rimettono in discussione conoscenze date ormai per certe sui riti funebri nel mondo romano.
Tomba di Marcus Venerius Secundio - Foto Cesare Abbate
Courtesy Parco Archeologico di Pompei
Lo scheletro disteso all’interno della piccola camera rettangolare è uno dei meglio conservati della città e risale agli ultimi decenni di vita di Pompei. Le sue ossa parlano di un uomo che al momento della morte aveva circa sessant’anni e che in vita non svolse lavori particolarmente pesanti. La testa appare ancora coperta di capelli bianchi e un orecchio si è conservato per duemila anni, così come parte del tessuto che avvolgeva il corpo. Che cosa c’è di strano? In primo luogo, nella Pompei romana i cadaveri venivano cremati, a eccezione di quelli dei neonati deceduti prima della dentizione. Non a caso, nella stessa tomba di Secundio sono state ritrovate altre sepolture, tutte a incinerazione: una di esse conserva in un bellissimo vaso di vetro i resti di una certa Novia Amabilis, forse la moglie o la figlia del “padrone di casa”. Perché invece Secundio si fece inumare, rinunciando al consueto rito del fuoco purificatore? Difficile dirlo. All’epoca la pratica dell’inumazione era diffusa in Grecia, mentre nel mondo romano sarebbe diventata usuale solo nel II secolo. Forse Secundio era in realtà uno straniero, ipotizza Massimo Osanna, per sette anni alla guida del Parco Archeologico di Pompei e oggi il direttore generale dei Musei Statali.
Ma c’è di più: la salma di Porta Sarno è giunta fino a noi parzialmente mummificata: è un caso o il frutto di un processo di imbalsamazione intenzionale? Intanto il ritrovamento annuncia di essere una miniera di informazioni nuove e preziose. “È chiaro che dietro a tutte le stranezze di questa particolarissima sepoltura deve esserci un motivo”, commenta l’archeologo Llorenç Alapont dell’Università di Valencia, che ha coordinato le attività di scavo e di recupero.
“Si tratta di una tomba a recinto, che dietro la facciata dipinta con una immagine tradizionale di un giardino felice nasconde una piccola cella destinata ad accogliere il defunto”, prosegue l’archeologo: “Questa camera sepolcrale è particolarissima, è stata sigillata con estrema accuratezza, proprio come se l'intento fosse quello di non fare entrare neppure un filo di aria". Sullo scheletro, poi, sono stati ritrovati i resti di una sostanza che potrebbe essere asbesto, “un tessuto particolare che si usava proprio per preservare i corpi o una parte di essi dalla decomposizione”.
Che sia stato trattato con l’asbesto o con unguenti naturali, un corpo imbalsamato è un fatto senza precedenti a Pompei. “Fino ad oggi c'era l'idea che nel mondo romano le regole dei riti funerari fossero molto rigide e che tutti le dovessero seguire, pena l'ira degli dei”, spiega Alapont: “Se però Secundio ha potuto scegliere una sepoltura così particolare questo potrebbe significare, al contrario di quanto abbiamo sempre pensato, che c'era una certa libertà. È straordinario: le cose che stiamo apprendendo possono rivoluzionare almeno in parte le nostre certezze sulle pratiche e i riti funerari romani”.
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