A Allen Ginsberg - New York [Milano, 18 ottobre 1967]
Caro, angelico Ginsberg, ieri sera ti ho sentito dire tutto quello che ti veniva in mente su New York e San Francisco, coi loro fiori. Io ti ho detto qualcosa dell’Italia (fiori solo dai fiorai). La tua borghesia è una borghesia di PAZZI, la mia una borghesia di IDIOTI. Tu ti rivolti contro la PAZZIA con la PAZZIA (dando fiori ai poliziotti): ma come rivoltarsi contro l’IDIOZIA? Queste sono state le nostre chiacchiere. Molto, molto più belle le tue, e te l’ho anche detto il perché. Perché tu, che ti rivolgi contro i padri borghesi assassini, lo fai restando dentro il loro stesso mondo… classista (sí, in Italia ci esprimiamo cosí), e quindi sei costretto a inventare di nuovo e completamente - giorno per giorno, parola per parola - il tuo linguaggio rivoluzionario. Tutti gli uomini della tua America sono costretti, per esprimersi, ad essere degli inventori delle parole! Noi qui invece (anche quelli che hanno adesso sedici anni) abbiamo già il nostro linguaggio rivoluzionario bell’e pronto, con dentro la sua morale. Anche i cinesi parlano come degli statali. E anch’io - come vedi. Non riesco a MESCOLARE LA PROSA CON LA POESIA (come fai tu!) - e non riesco a dimenticare MAI e naturalmente neanche in questo momento - che ho dei doveri linguistici.
Chi ha fornito a noi - anziani e ragazzi - il linguaggio ufficiale della protesta? Il marxismo, la cui vena poetica è il ricordo della Resistenza, che si rinnovella al pensiero del Vietnam e della Bolivia. E perché mi lamento di questo linguaggio ufficiale della protesta che la classe operaia attraverso i suoi ideologi (borghesi) mi fornisce? Perché è un linguaggio che non prescinde mai dall’idea del potere, ed è sempre quindi pratica e razionale. Ma la pratica e la ragione non sono le stesse divinità che hanno reso PAZZI e IDIOTI i nostri padri borghesi? Povero Wagner e povero Nietzsche! Hanno preso tutta la loro colpa. E non parliamo poi di Pound!
(in: Vita attraverso le lettere, a cura di Nico Naldini, Einaudi)
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