Ora c’è chi ha nelle vene del sangue di schiavo. Sono i più. E questi obbedirà, porterà il proprio fardello, allora si creerà una fede, un idolo, farà dell’arte, farà dell’amore, per illudersi; farà il giuoco dell’umanità, insomma, o della brutalità, il che è lo stesso, travestito in mille graziosi modi. Vi è invece chi non ha precisamente sangue da schiavo. Questi si oppone, nega. Uccide in sé ogni impulso naturale, ogni entusiasmo, ogni sentimento. Alla naturalezza, sostituisce la finzione; alla passione, il capriccio; all’idolo, sé stesso, infinito ed indicibile nulla. E, vivente, egli è un morto, vivente, ha nel sangue il germe della decomposizione, segno del suo alto e doloroso destino. Egli vive solo per negare e per distruggere e non ha altro scopo, per la sua pena di vivere. Ecco Dada”.
(Dal testo della conferenza tenuta da Julius Evola il 15 Aprile 1921, all’inaugurazione della mostra Dada nella casa d’arte Bragaglia a Roma)
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