Con la sua bellezza algida ed altera Guidobaldo da Montefeltro, Duca di Urbino, ci rivolge uno sguardo distaccato, quasi assente, come se fosse concentrato su chissà quali pensieri.
Sbarbato, con gli occhi azzurri e gli zigomi pronunciati assomiglia a uno di quei modelli diafani che calcano le passerelle delle nostre sfilate di moda maschile. Baldassarre Castiglione, autore del famoso “Cortegiano”, che lo conosceva bene avendo vissuto a lungo presso la Corte urbinate, scrisse che il suo era uno dei “più belli e disposti corpi del mondo”.
Eppure Guidobaldo, come dice il ritornello di una famosa canzone, oltre che “bello” era anche “impossibile”, specie per il pubblico femminile, perché nascondeva un segreto indicibile di cui però presto s’iniziò a bisbigliare, finché divenne di dominio comune.
Come infatti scrisse dopo la sua prematura scomparsa il letterato e futuro Cardinale Pietro Bembo, altro assiduo frequentatore della Corte feltresca, a causa di una disfunzione organica egli non poté “cum foemina coire unquam in tota vita”. In altre parole, era impotente.
Forse anche per questo nel dipinto Guidobaldo ci appare, oltre che malinconico, in abiti preteschi, vestito di nero e con in testa un tricorno di stile prelatizio.
Ad abbandonare la corona ducale per indossare la berretta cardinalizia, così abbracciando la carriera ecclesiastica, a un certo punto ci pensò per davvero, quando lo scambio gli fu ventilato nel 1502 da Papa Alessandro VI Borgia.
Quest’ultimo, che pur essendo prete e Papa era dominato da una sensualità strabordante e ingorda, che l’aveva reso padre di una nutrita schiera di figli naturali e portato ad intrattenere un harem personale nei Sacri Palazzi durante tutto l’arco del suo pontificato, faticava infatti a credere che un bel principe come lui non potesse godere dei piaceri di Venere, generando così un erede, donde l’idea di proporgli quel singolare baratto anche per favorire le mire predatorie nutrite da suo figlio Cesare Borgia, guarda caso, proprio nei confronti del ricco Ducato di Urbino.
A respingere però con orrore quell’eventualità si levò la voce di Elisabetta Gonzaga, che di Guidobaldo era la tanto innamorata, quanto sfortunata consorte.
Seppure frustrata nella sua femminilità e nel desiderio di diventare madre, mai avrebbe accettato l’annullamento canonico del matrimonio che dal 1488 la legava a quel marito-fratello, che non avrebbe più abbandonato neppure se, a causa delle prepotenze del Borgia, “dovessimo morire in uno hospitale”.
Unico figlio maschio del grande Federico da Montefeltro e di Battista Sforza, che prima di lui aveva dato alla luce almeno sei figlie femmine, Guidobaldo era nato il 24 gennaio 1472 nel Palazzo Ducale di Gubbio.
Al colmo della felicità per quella nascita ormai insperata, Federico scrisse il nome del bambino su un prezioso manoscritto dell’Eneide accanto ai versi “breve et inreparabile tempus / omnibus est vitae; sed famam extenderefactis / hoc virtutis opus”, che significano “il tempo della vita è breve e irrimediabile per tutti; ma tramandare la propria fama coi fatti, questa è un’opera virtuosa”, proprio perché con l’arrivo di Guidobaldo si avveravano i suoi sogni sulla continuità dinastica.
Affidato alle cure dei migliori istitutori del tempo, Guidobaldo rimase orfano della mamma quando era ancora in fasce e del padre a soli dieci anni, diventando così fin da bambino il nuovo Duca d’Urbino sotto la sapiente ed amorevole guida di Ottaviano Ubaldini della Carda, ex luogotenente generale dello Stato.
Ammalatosi di gotta e spesso lontano da Urbino a causa delle numerose e ben remunerate condotte militari nelle quali era impegnato al soldo ora di Firenze, ora di Venezia ora ancora degli Stati Pontifici, affidò spesso e volentieri l’amministrazione del Ducato alla saggia reggenza dell’adorata consorte Elisabetta, con la quale condivise i disagi e le umiliazioni patite in esilio durante la momentanea occupazione dello Stato da parte delle truppe di Cesare Borgia.
Solo con l’ascesa al soglio pontificio di Giulio II della Rovere il barometro per la coppia feltresca volse di nuovo al bello, seppure in maniera non gratuita, perché in compenso della restituzione del Ducato familiare Guidobaldo dovette stringere col Pontefice un accordo di mutua assistenza conclusosi con la solenne celebrazione, tenutasi il 18 settembre del 1504, dell’adozione con diritto di successione di Francesco Maria della Rovere, nipote sia del Papa che di Guidobaldo stesso.
Quando però poteva godere un po’ della ritrovata serenità, a causa del rapido progredire della malattia e ormai “deformato e guasto nella sua verde età”, Guidobaldo morì a soli 36 anni l’11 aprile del 1508, devotamente assistito dalla moglie Elisabetta che per il dolore si chiuse in una stanza buia, senza mangiare nulla per otto giorni di fila. Nonostante le numerose proposte e l’ancor giovane età, non si sarebbe mai più risposata.
Accompagna questo scritto il “Ritratto di Guidobaldo da Montefeltro”, attribuito a Raffaello Sanzio, 1506 circa, Gallerie degli Uffizi, Firenze.
(P.S.: testo scritto dal non-professore Anselmo Pagani )
Nessun commento:
Posta un commento