Marlene, la fabbrica della morte
Oltre cento tra malati e deceduti nella tintoria di Praia a Mare
di Georgia Schiavon
Oltre un centinaio di operai malati e deceduti per inalazione di sostanze tossiche e amianto e danni ambientali per sversamento ed interramento illeciti di rifiuti pericolosi. È attesa per il 7 ottobre, dopo due slittamenti, la prima udienza del processo che vede come imputati tredici dirigenti dell'ex stabilimento Marlane di Praia a Mare, nel litorale cosentino, rinviati a giudizio il 12 novembre scorso. Omicidio colposo plurimo, omissione dolosa di cautele contro gli infortuni sul lavoro e disastro ambientale i capi d'imputazione a loro carico. Tra i veneti inquisiti, Pietro Marzotto, a capo del gruppo Marzotto dal 1972 al 1998, Antonio Favrin, vicepresidente vicario di Confidustria Veneto, e Silvano Storer, già ai vertici di Stefanel e Benetton, 200 milioni di euro il risarcimento danni richiesto. Le accuse sono l'esito di un decennio di indagini, condotte dalla Procura della Repubblica di Paola (Cosenza), in seguito alla denuncia sporta nel 2001 da un gruppo di familiari degli ex operai della fabbrica. La vicenda è ripercorsa nel libro inchiesta «Marlane: la fabbrica dei veleni», scritto dai giornalisti Francesco Cirillo e Giulia Zanfino e dall'ex operaio Luigi Pacchiano, che sarà presentato sabato alle 16 in Villa comunale a Portogruaro. La storia della fabbrica di Praia a Mare comincia alla fine degli anni '50, quando il conte Stefano Rivetti di Val Cervo, fonda il Lanificio R2, secondo al Lanificio R1 di Maratea, nella confinante Basilicata. Alla fine degli anni '60 i due lanifici vengono acquisiti dall'Eni, allora detentore della Lanerossi, assumendo il nome di Marlane, acronimo di Praia a Mare e Lanerossi. L'Eni riunisce nell'unico stabilimento di Praia tutti i reparti di lavorazione. Nel 1987 la Lanerossi entra nell'orbita del gruppo Marzotto di Valdagno che diventa così proprietario della Marlane. La produzione prosegue ancora per una quindicina d'anni. Alla chiusura della tintoria, nel 1996, segue la cessazione definitiva dell'attività nel 2004. Con l'arrivo dei Marzotto vengono introdotte alcune misure di sicurezza prima non adottate, ma secondo l'accusa ancora insufficienti. Gli operai (circa un migliaio quelli avvicendatisi nella fabbrica) per anni sono stati esposti quotidianamente all'inalazione delle sostanze tossiche sprigionate dai coloranti, oltre che della polvere di amianto rilasciata dalla consunzione dei freni dei telai. Le prime morti per patologie riconducibili a tali condizioni risalirebbero ai primi anni '60, ma su di diesse è calata l'ombra della prescrizione, che si allunga fino alla prima metà degli anni '90. Proprio sulla negazione del nesso di causalità tra l'utilizzo delle sostanze tossiche e le patologie si reggono le argomentazioni dei legali della difesa, tra i quali il parlamentare Pdl Niccolò Ghedini. Gli scavi condotti nella zona circostante lo stabilimento hanno fatto emergere dei bidoni contenenti rifiuti tossici interrati qualche metro sotto il suolo, in prossimità del mare. Le analisi effettuate dall'Arpa Calabria su campioni di terra e di acqua di falda prelevati nell'area ne hanno dimostrato la contaminazione da metalli pesanti, quali cromo, nichel, piombo, zinco e arsenico. Essendo il sito ancora sotto sequestro, l'iter per l'avvio della bonifica è bloccato dal 2007, quando la Marzotto ha presentato alla Regione Calabria il «piano di caratterizzazione», prima tappa delle procedure di decontaminazione previste dal decreto legislativo 152/06. Il dilungarsi dei tempi del processo - iniziato a dieci anni dall'apertura delle indagini e la cui prima udienza, inizialmente fissata per il 19 aprile, ha subito due rinvii - preoccupa le parti civili, che affermano di lottare
con la prescrizione. Un'eventualità che il 7 ottobre gli avvocati delle famiglie, appoggiate dal sindacato Si Cobas, cercheranno di allontanare chiedendo al pubblico ministero la commutazione di uno dei capi d'imputazione da omicidio colposo plurimo a omicidio volontario plurimo con dolo eventuale.
Nessun commento:
Posta un commento