giovedì 21 settembre 2017

Larth Porsenna, o Porsèna, il lucumone

di Fulvio Barni


Larth Porsenna, o Porsèna, il nome di questo leggendario lucumone di Chiusi risuona nelle nostre orecchie fin dall’età scolare.

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La ricostruzione della tomba di Porsenna


C’è però chi asserisce che tale appellativo sia probabilmente di una magistratura etrusca, Purthna, l’equivalente del latino Praetor. Dicono gli storici che furono proprio i romani a scambiarlo per il vero nome del grande condottiero che piegò Roma con il suo esercito.


In ogni modo, certi o meno di come si chiamasse questo potentissimo re, una cosa è sicura: al solo sentir pronunciare Porsenna, si drizzavano i capelli ai futuri padroni del mondo conosciuto. Infatti, Tito Livio(1), così ne parla: “non prima di allora così grande terrore aveva invaso il senato: tanto era potente lo stato di Chiusi e tanta la fama di Porsenna in quel tempo”.


In tutto quello che sto per raccontare c’è, ovviamente, un po’ di storia e un po’ di leggenda, come succede per tutti i grandi personaggi del passato. Il mito di Porsenna aveva raggiunto una popolarità tale che gli erano attribuite persino qualità magiche. Plinio il Vecchio(2) riferisce che fu lui ad uccidere con un fulmine un mostro chiamato Olta, che distruggeva la zona di Volsinii (Bolsena).


Il massimo della fama la toccò nel 506 a.C. circa, proprio quando Roma, rovesciato l’ultimo sovrano Tarquinio il Superbo, si apprestò a fondare la repubblica e i consoli L. Giunio Bruto e L. Tarquinio Collatino assunsero i poteri del re. Il Superbo non si dette per vinto e come prima mossa mandò a Roma due ambasciatori per chiedere al governo la restituzione di tutti i suoi beni. I consoli ebbero a discutere tra loro; Bruto era contrario alla restituzione, invece Collatino sosteneva che era il caso di accontentarlo, perché secondo lui un rifiuto avrebbe portato il re spodestato a muovere guerra contro Roma, aiutato da Veio e Tarquinia.


Intanto a Roma si era formato un partito che auspicava il ritorno dei Tarquinii. Era composto soprattutto da quei patrizi che temevano di perdere certi privilegi ormai acquisiti. Il console Collatino ebbe ragione: i Tarquinii, aiutati dai tarquinesi e dai veientani, dichiararono guerra a Roma, anche se poi furono sconfitti. Questa volta i Tarquinii si rifugiarono a Chiusi e chiesero aiuto a Porsenna. Il lucumone di Chiusi si lasciò convincere e a sua volta mosse guerra contro Roma.


La storia ci racconta che all’esercito di Porsenna si unì anche Ottavio Mamilio, il genero di Tarquinio, a capo dei tuscolani e dei latini che avevano giurato vendetta contro Roma.


Al primo assalto, Porsenna, dopo aver conquistato il Gianicolo, cercò subito di spingere i romani verso il Tevere. Lo scopo era di farli retrocedere per impadronirsi di Roma o, nella peggiore delle ipotesi, cingerla d’assedio. Dopo ore di battaglia gli etruschi riuscirono nel loro intento e gran parte dei soldati romani, ormai allo stremo delle forze, tentarono la ritirata attraverso il ponte Sublicio. Fu qui, in questo luogo, che accadde il primo degli atti eroici che la leggenda vuole. Ne fu protagonista Orazio Coclite, il valoroso soldato romano che da solo tenne a bada gli avversari mentre i propri commilitoni demolivano il ponte facendo in modo che il fiume divenisse ostacolo tra i due eserciti.


Porsenna, però, riuscì ugualmente a circondare Roma e piantò le tende del suo accampamento proprio sotto le mura. Dopo vari giorni, nei quali i romani erano bloccati dentro la città, e quindi ridotti alla fame, si presenta sulla scena un altro eroe: Caio Muzio, giovane nobile romano. Chiese di poter parlare al Senato per esporre un piano il cui fine era quello di uccidere Porsenna. Ottenuto l’assenso dei consoli e dell’assemblea, passò subito all’azione.


Nascose un pugnale sotto alle vesti e s’infiltrò nell’insediamento etrusco. Non gli fu difficile entrare, altri romani disertori si aggiravano per il campo. Muzio non aveva mai visto Porsenna e quindi non sapeva nemmeno che aspetto avesse. Entrato nella tenda del re di Chiusi, vide un uomo riccamente vestito, seduto sul trono reale e circondato da molti soldati. Pensò che fosse lui e lo colpì uccidendolo. Si trattava invece di un suo amministratore.


Fu subito arrestato e portato al cospetto del Lucumone perché lui stesso ne decidesse la condanna. Interrogato, il romano rispose: “mi chiamo Caio Muzio e sono venuto per ucciderti, ma ho fallito e quindi è giusto che punisca la mano che ha sbagliato”. All’interno della tenda che li ospitava c’era un braciere acceso ed il romano, incurante del dolore, pose la mano destra sui carboni ardenti e la lasciò bruciare.


La leggenda continua e afferma che Porsenna, dopo quest’atto eroico, inviò i suoi ambasciatori ai romani per trattare la pace. Le richieste degli etruschi non furono poi così sgradite alla controparte: essi avrebbero rinunciato a rimettere sul trono Tarquinio il Superbo, ma i romani avrebbero dovuto restituire ai Veienti i territori occupati. Inoltre, la ritirata delle truppe etrusche dal Gianicolo, sarebbe avvenuta in cambio della consegna di giovani ostaggi. Le condizioni furono accettate e i romani inviarono a Porsenna numerosi adolescenti, maschi e femmine.


Del folto gruppo faceva parte anche una ragazza di nome Clelia, che a distanza di poco tempo dall’inizio della sua prigionia, riuscì a fuggire con altri compagni, eludendo la sorveglianza. Porsenna protestò e pretese che la fanciulla, lei soltanto, gli fosse riconsegnata. Clelia fu rispedita da lui, ed il Lucumone, dopo averla lodata per il suo coraggio, la lasciò libera di tornare indietro in compagnia di alcuni ostaggi, che lei stessa scelse tra i più giovani.


Non è mia intenzione distruggere una leggenda che si perpetua ormai da decine di secoli, ma gli avvenimenti che avete appena letto, quelli di Orazio Coclite, Muzio Scevola, Clelia, sono stati certamente inventati, o perlomeno esagerati dagli scrittori romani dell’epoca. La realtà è senz’altro un’altra e a sostenerla sono storici famosi come Tacito, Plinio il Vecchio, Plutarco, Dionigi. Infatti, loro stessi, affermano che Porsenna non fu affatto malvagio. Lasciò intatto l’ordinamento repubblicano e pretese soltanto i territori riconquistati dei Veienti. E’ vero però che proibì loro l’uso dei metalli per fabbricare armi, concedendogli solo la possibilità di costruire utensili da usare in agricoltura.


Non v’è dubbio che al Lucumone etrusco furono offerti dal Senato di Roma la sedia d’avorio e lo scettro, segni del comando, e fu innalzata una statua in suo onore. E’ certo anche che non era sua intenzione rimettere sul trono Tarquinio il superbo: da vincitore avrebbe potuto tranquillamente farlo. Un’altra cosa da dire, a proposito di questo mitico personaggio, è che a causa delle sue mire espansionistiche è sfatato, almeno in parte, quel modo pacifico di vivere degli etruschi, tanto sbandierato da moltissimi scrittori antichi e moderni. A conferma di quello che ho appena detto, circa il suo spirito bellicoso, basti pensare alla guerra da lui dichiarata ai latini di Ariccia, dalla quale il suo esercito uscì sconfitto e suo figlio Larth Arunte, che ne deteneva il comando, rimase ucciso in battaglia.


Pochissime altre sono le certezze storiche sul grande re di Chiusi, e tra l’altro anche molto contestate dagli studiosi contemporanei. Il patrimonio letterario etrusco, andato quasi del tutto disperso in epoche lontane da noi, non può quindi venirci in soccorso. Dobbiamo allora accontentarci solo delle leggende? Purtroppo si, anche se queste, com’è risaputo, nascono sempre da un fondamento di verità. Forse, una soluzione che porrebbe fine a questi dubbi potrebbe anche esserci: trovare il leggendario mausoleo di Porsenna contenente il favoloso tesoro di sepoltura.


Sono sicuro che a nessuno di noi dispiacerebbe se una mattina sulla prima pagina di tutti i giornali leggessimo: “Ritrovato a Chiusi il mausoleo di Porsenna”. Torniamo però con i piedi per terra e accontentiamoci ancora una volta di quello che ci dice la narrazione tradizionale in proposito. Fu Plinio il Vecchio a parlarne per primo e lo fece nella sua opera “Historia Naturalis”, descrivendo i più famosi labirinti del mondo antico: d’Egitto, di Creta, di Lemno, e Italico, vale a dire quello di Porsenna. Lui stesso però confessava di aver appreso a sua volta la notizia da un lavoro di Marco Terenzio Varrone(3) . 


Quelli d’Egitto e di Lemno esistevano ancora quando egli compose il suo testo letterario, mentre degli altri due, di Porsenna e di Creta, non vi erano più tracce. Racconta Plinio: “ Porsenna, re d’Etruria, fece costruire questo mausoleo non solo per la sua sepoltura, ma anche per ambizione e per superare in grandiosità i re stranieri. Fu sepolto sotto la città di Chiusi, all’interno di un monumento in pietra con base quadrata, i cui lati erano lunghi 300 piedi e alti 50. All’interno del basamento si trovava un labirinto intricatissimo, tanto che chiunque vi si fosse introdotto non ne sarebbe uscito senza l’aiuto di un gomitolo di filo. Sopra la base, una per ogni angolo ed una al centro, c’erano delle piramidi larghe 75 piedi e alte 150. Sulla sommità di queste costruzioni, stava un globo di bronzo ed un’unica cupola dalla quale scendevano delle catene alle cui estremità erano appesi dei campanelli, che agitati dal vento emettevano suoni udibili da molto lontano. Sopra alla sfera altre quattro piramidi alte 100 piedi ognuna e sopra di loro, poggiate su un’unica base, ancora cinque piramidi”.


Talmente alte che Varrone, narra ancora Plinio, ebbe vergogna a riportarne l’altezza. Dalla descrizione che Plinio fa di tale edificio, non potremmo supporre altro che fosse stata proprio una cosa grandiosa. D’altro canto, non potendo avere nessun riscontro con la realtà, dobbiamo fidarci di quello che gli storici antichi ci hanno tramandato, sommandolo alla fantasia popolare che in ogni caso ha sempre un forte legame e un filo diretto con la storia. Fiumi d’inchiostro si sono riversati sulla carta da parte dei moltissimi scrittori, antichi e moderni, che si sono cimentati nel corso dei secoli in ricostruzioni grafiche e letterarie.


Svariate tonnellate di terra sono state maneggiate nel tempo da archeologi convinti di averne individuato l’ubicazione, ma del labirinto di Porsenna e del suo tesoro non è mai stata trovata la minima traccia. Già, il tesoro. Favoloso anche quello, a dar credito a ciò che hanno sempre raccontato i vecchi e non solo di Chiusi, ma di tutta la zona. Si, perché tale leggenda è legata all’intero territorio che le ricerche archeologiche ci hanno confermato essere appartenuto alla lucumonia di Chiusi.


La tradizione vuole che a chiunque avesse tentato di penetrare dentro il labirinto, non sarebbe stato possibile ritornare indietro. Mostri, fantasmi, trabocchetti e perdita della memoria glielo avrebbero impedito. Si dice anche che insieme al Lucumone fossero stati seppelliti dodici cavalli trainanti un cocchio, che fungeva da bara, circondati da una chioccia con cinquemila pulcini. Naturalmente…tutto in oro massiccio!


(1) Padova 59 a.c. – 17 a.c.


(2) Como 23 a.c. Morto durante l’eruzione di Pompei il 23 agosto del 79 d.c.


(3) Rieti 116 a c. – 27 a.c.




Larth Porsenna tra leggenda e realtà | CHIUSIBLOG

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