Martin Buber
Nell’esperienza estatica non c’è assolutamente nulla che rimandi all’interno o all’esterno. Colui che vive l’unità di io e mondo, nulla sa dell’io e del mondo […]. L’uomo, che vive faticosamente giorno dopo giorno in funzione della propria corporeità e mancanza di libertà, riceve nell’estasi la rivelazione della propria libertà […]. Su di lui, che sempre percepisce e conosce di se stesso soltanto elementi singoli, limitati, condizionati, si abbatte una bufera di tale violenza e infinitezza da fargli perdere perfino la sua sicurezza originaria, ossia il confine tra sé e l’altro […]. La lingua non penetrerà mai nel regno dell’estasi, che è il regno dell’unità. Lingua è conoscenza […]. Ma l’esperienza vivente dell’estasi non è conoscenza […]. L’estasi si situa al di là dell’esperienza comune. Essa è unità, solitudine, unicità, è ciò che non può essere tradotto. È l’abisso, che nessun filo a piombo può misurare: è l’indicibile (Martin Buber; Confessioni estatiche, pp. 26-30).
Nessun commento:
Posta un commento