Nient'altro in Sardegna è coperto da un'omertà più tignosa. Il rituale – che cominciava quando i familiari del moribondo avvisavano la femina accabbadora e finiva quando questa lasciava la casa del lutto – veniva fatto fino agli inizi del Novecento in Gallura e in Barbagia, ma ancora oggi è praticamente impossibile conoscere i nomi delle sacerdotesse della morte.
Non ci è riuscito neanche Franco Fresi, scrittore e studioso di tradizioni popolari, che alla fine degli anni Settanta intervistò il nipote dell'ultima femina accabbadora della Gallura. "Era un'uomo che aveva quasi cent'anni e viveva in uno stazzo, su un'altura vicino al mare" - racconta . "Mia nonna era l'ultima di quelle donne che portavano consolazione ai malati che desideravano morire e conforto alle loro famiglie. La chiamavano perchè era decisa e forte: non andava volentieri, ma sapeva di dover fare un'opera buona. Non ti voglio dire come si chiamava" - mi avvertì il vecchio - "però ti posso dire che veniva chiamata Cunsuleddha, proprio perchè era una consolatrice". Il vecchio racconta che sua nonna, "nonostante la carità che fece per tutta la vita, alla fine soffrì molto per questa sua attività. Ne abbiamo sofferto tutti in famiglia. E proprio per questo una mia nipote si è fatta suora per espiare".
Quell'uomo, spiega Franco Fresi, sentiva ancora tutto il peso di quella eredità. Quando gli chiesi se potevo vedere il martello lui non fece una piega. Nonostante l'età salì come uno scoiattolo su una scala a pioli, arrivato in cima scoperchiò alcune tegole e porto giù una pesante mazzuola di legno coperta di fuliggine. Ci soffiò sopra e, svanita la nuvoletta, mi colpì la lucentezza del martelletto, come quella di un oggetto levigato dall'uso. Purtroppo ebbi la cattiva idea di tentare di fotografarlo. Il vecchio si infuriò e lo lanciò lontano, in fondo alla vallata. Sono tornato diverse volte , per tentare di recuperare la mazzuola. tutto inutile, forse il vecchio, che conosceva quei luoghi meglio di me, se l'era già ripresa.
In Gallura l'ultimo rituale fu fatto a Luras, nel 1929, quando la femina accabbadora accompagnò nell'ultimo viaggio un uomo di settant'anni. La donna, oramai anziana, finì davanti al procuratore del regno, ma il caso venne presto archiviato. E' questo il fascicolo che, da anni, studenti universitari e studiosi di tradizioni popolari cercano disperatamente tra i faldoni polverosì dell'archivio del tribunale di Tempio Pausania. Tra quelle carte ci dovrebbe essere anche il verbale dei carabinieri che, dopo aver interrogato i familiari del morto e diversi paesani, scrissero: E' appurato che i parenti del malato hanno datto il loro consenso
A Orgosolo, invece, l'episodio più recente in assoluto: si sa che avvenne nel 1952, il resto è coperto dal silenzio più ostinato. Nel Nuorese, comunque erano di Ottana le accabbadoras più ricercate. Venivano chiamate in tutti i paesi del circondario e loro - femmine alte, magre, il colorito giallo per la malaria - arrivavano e salutavano con un cenno del capo. Formule e gesti antichi, sempre uguali. Deu ci siada, sussurrava l'accabbadora. Che Dio sia qui. Arrivava sempre di notte e, dopo essersi assicurata che tutti erano d'accordo, veniva subito accompagnata al capezzale del moribondo. Con un gesto mandava via i parenti, chiudeva la porta, si faceva il segno della croce e, afferrato il martello che nascondeva sotto lo scialle, con un solo colpo sulla nuca del malato finiva il suo compito. Riapriva la porta, annunciava che quella era la casa del lutto, e andava via...
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