martedì 29 maggio 2018

La leggenda nera e la poesia amabile della Carpanea del poeta di Villa Bartolomea

Leggenda della Carpanea 

 


.LEGGENDE, LA CITTA' DI CARPANEA......

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Una leggenda del Basso Veronese, di quel territorio un tempo ricoperto per gran parte di paludi, chiamato ‘Grandi Valli’. Un tempo però, si racconta che al posto delle paludi esistesse una città con sette ordini di mura, difesa da cento torri altissime. Attorno, fiumi e fossati, regolate da dighe. Alle spalle della città, un lago conteneva le acque disordinate. Sulla parte più alta, sorgeva un tempio in onore del dio delle acque Appo, che proteggeva la città e la collina su cui sorgeva dalla forza devastante delle acque circostanti. Il tempio era incredibilmente grande ed il re della città, accompagnato dal suo popolo, doveva portate quotidianamente cibi e bevande in offerta al dio, per placare le sue ire. Ma un giorno, il re, pensando che così facendo i sacerdoti del tempio sarebbero ben presto divenuti più potenti e ricchi di lui, smise di perpetuare tale rito e il popolo lo imitò. I sacerdoti, compreso che quella sarebbe stata la loro fine, istigarono il popolo contro il proprio re: il dio Appo avrebbe con la propria ira causato sventure infinite alla città, fu quindi catturato, e messo in un’umida prigione.
Qui, vi meditò la sua vendetta e una notte, favorito dalle tenebre e dal sonno dei guardiani, fuggì, penetrò nel tempio e rapì la statua del dio. I sacerdoti, accortesi del furto, incitarono la folla contro di lui, colpevole di sacrilegio. Il re, vistosi perduto, corse verso il lago e vi gettò la statua e approfittando dello sbigottimento generale, fuggì nei boschi che sorgevano a fianco della città di Carpanea e corse poi al palazzo reale. La folla, esasperata dal fatto, in parte si gettava nel lago per cercar di recuperare il simulacro, affogandovi miseramente. Alcuni si precipitarono sulle dighe, aprendole con l’intento di prosciugare il lago. Ma così facendo, le acque improvvisamente inondarono il tutto, creando un immane gorgo. Così, tra le grida di disperazione, le genti di Carpanea scomparvero, mentre il re, dall’alto del pinnacolo del tempio, osservava lo scempio del suo popolo e fu anch’egli colto da disperazione. Cominciò a suonare la campana del tempio in un disperato tentativo di richiamare la folla sulla collina, ma anche questa, erosa dall’impeto delle acque, sprofondò nel gorgo. E’ così, che si formarono le Grandi Valli.
E la notte, chi percorre l’argine delle paludi, può udire ancora il pianto disperato che proviene dal profondo della terra. E la notte di Pentecoste, al lamento vi si aggiunge un suono lugubre che si spande su tutta la Valle: è la campana del tempio…

Da questa nera leggenda il poete Agnolo Poli riesce a trarne una visione più serena e solenne, di una romanità che ha lasciato un segno preciso della messa a coltura di queste terre paludose che divennero lande fertili baciate dall'organizzazione laboriosa e pianificata delle maestranze imperiali:

CARPANEA

"Qua gh'era la cità de Carpanea,
ch'el taramoto se l'à sprofondà";
cossì me poro Barba me disea,
passando via in careto par de là.

Carpanea, Carpanea, ghe sito stà?
O gera i veci, po', che i s'illudea?...
Sfoio le storie e lore no' gh'in sa,
gnanca me Barba, proprio, lo savea.

Mo co' se ara in vale a tiro oto,
opur co' la "Pavesi" meio ancora;
la gumera te svoltola par soto

Siabole vece e trvi carolà
e statue rote la te pesca fora.
No' gè questi i segnai de la cità?

Co' torno da in Lodeta, verso sera,
toco la Roma che me porta via;
la vale, a poco, a poco, se fa nera
e qua se svaia la me fantasia.

Carpanea, Carpanea! soto a 'sta tera,
longo el Misserio e la Lodeta mia,
te dormi, o gran cità, la pace vera
e mi me sento 'na malinconia.

Carpanea, Carpanea, cità Romana,
'desso el to' camposanto el pare on orto
cresse i racolti come 'na fumana.

Dormì fradei Romani i vostri soni,
che 'sto sangue latin no' ve fa torto:
pronto al varsoro e al'erta coi canoni!

Angiolo Poli

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