R. AMBELAIN, Dans l'ombre des Cathédrales (Éditions Adyar, Paris)
Dall'introduzione di R. Guénon
Questo libro presenta un sottotitolo piuttosto ambizioso: «Studio sull'esoterismo architettonico e decorativo di Notre-Dame de Paris in rapporto al simbolismo ermetico, le dottrine segrete, l'astrologia, la magia e l'alchimia», ma dobbiamo dire fin da subito che tutto ciò non è affatto giustificato dal contenuto, poiché in realtà qui ci si occupa quasi soltanto di magia, o, almeno, tutti gli argomenti affrontati sono ricondotti, in un certo senso per partito preso, a quella che si potrebbe definire una prospettiva magica. Nonostante ciò, si parla spesso di esoterismo e anche di iniziazione; ma il fatto è che quest'ultima viene confusa con la magia, con cui in realtà non ha nulla da spartire; ci siamo già spiegati a sufficienza su questa confusione in altre occasioni, perché i lettori sappiano che cosa conviene pensarne, ma non sarà inutile insistere un pò' su quello che qui la rende particolarmente pericolosa. In effetti, il punto di vista da cui si pone l'autore non gli appartiene interamente; vi ritroviamo (e senza dubbio la dedica «alla memoria di Fulcanelli» ne è un indizio abbastanza significativo) le tracce di una certa iniziazione che possiamo definire «deviata» e di cui peraltro conosciamo numerosi esempi, dal Rinascimento ai giorni nostri. Precisiamo che, in linea di principio, si tratta di'un'iniziazione di Kshatriya (o di ciò che vi corrisponde nel mondo occidentale), ma degenerata per la perdita completa di ciò che ne costituiva la parte superiore, al punto da aver perso ogni contatto con l'ordine spirituale, cosa che rende possibili tutte le «infiltrazioni» di influenze più o me no sospette. Va da sé che uno dei primi effetti di questa degenerazione è un «naturalismo» spinto alle estreme conseguenze; e vi si possono ricollegare le affermazioni «dualiste», come rileviamo a più riprese in quest'opera, in cui l'autore si spinge al punto di pretendere che «i quattro princìpi essenziali dell'Iniziazione» siano «l'esistenza di due forze contrarie, di due poli opposti, e dei loro due risultati» (p. 256); se l'unità del principio non è negata in senso assoluto, tuttavia viene considerata soltanto come una semplice possibilità, di cui non è il caso di occuparsi ulteriormente, cosa che in sostanza è espressione di un atteggiamento nettamente «agnostico» nei confronti di tutto ciò che attiene al campo metafisico. Un'altra conseguenza è il «luciferinismo», reso possibile dal dualismo stesso, e d'altro canto insito, in un cer to senso, in quella che si può definire «ribellione degli Kshatriya»; da questo punto di vista, noteremo in particolare l'importanza qui attribuita a una certa versione della leggenda di Hiram, la cui "fonte" si trova in Gérard de Nerval: che si debba soltanto alla fantasia di quest'ultimo, o che si basi, come sostiene, su qualche racconto che aveva sentito veramente (e, in questo caso, apparterrebbe con una certa verosimiglianza a qualche setta eterodossa del Vicino Oriente), in ogni caso non ha nulla in comune con la leggenda autentica di Fliram della Massoneria, e per giunta ha avuto il destino abbastanza spiacevole di diventare uno dei «luoghi comuni» dell'antimassonismo, che se ne è impadronito con intenzioni evidentemente dcl tutto diverse da quelle che la fanno utilizzare in questo libro, ma per arrivare in definitiva allo stesso risultato, e cioè, a parte ogni altra valutazione, ad attribuire all'iniziazione un carattere «luciferino». Segnaliamo anche, dallo stesso punto di vista, una specie di ossessione per il colore verde, che da una parte è presentato (p. 35) come «colore luciferino» (probabilmente perché è il colore di Venere, che i Latini chiamavano Lucifer in quanto «stella del mattino»), dall'altra invece (p.81) è il «colore dell'Iniziazione», accostamento di cui è facile trarre le conseguenze; lo sforzo fatto per dare un significato speciale a questo colore, ovunque lo si incontri, si collega, d'altro canto, a diverse storie veramente strane di cui abbiamo dovuto occuparci qualche anno fa...
Ambelain giunge perfino ad affermare, con tono molto serio, che le lettere «X» e «P» del Labaro di Costantino devono la loro importanza al fatto di essere «i due pilastri della parola "chlòros", che significa "verde" in greco» (p.73). Tutto ciò ci conduce a un altro tratto caratteristico di ciò a cui si ispira l'autore: il procedimento detto «Cabala ermetica» (sembrerebbe che, in questo caso, si debba scrivere «Cabala», per distinguerla dalla Kabbalà degli Ebrei), o anche «Cabala fonetica», che avrebbe dato il nome alla «Cabaleria», in altre parole alla Cavalleria! Ci si ricorderà, sicuramente, che spesso abbiamo dovuto rilevare l'abuso di questi accostamenti verbali da parte di
certi scrittori fin troppo dotati d'immaginazione, e peraltro abbastanza inconsapevoli di ciò a cui possono servire quando sono maneggiati da persone più «accorte», ma la cosa più importante è che questi «giochi di parole» non sono altro che la deformazione e quasi la caricatura di un procedimento interpretativo tradizionale fondato su un simbolismo fonetico reale, affine al nirukta indù; del resto, in generale, certe verità che, malgrado tutto, sussistono attraverso tutto ciò sotio a loro volta presentate in
un modo che le snatura completamente, talvolta fino a capovolgerne il significato legittimo... Sia come sia, pare che si debba trarre conseguenze notevoli dal fatto che l'«argot» è detto anche «lingua verde», e che foneticamente è l'«art goth», cioè non solo l'«arte gotica» delle cattedrali, ma anche l'«art goétique»' (p. 53), di cui ora parleremo. In effetti, qui non si tratta semplicemente di magia, ma più propriamente di «magia nera»; in fondo, l'autore stesso non dichiara forse che «qualsiasi magia pratica è e non può non essere satanica» (e precisa che lo intende nel senso che appartiene al regno del Seth egizio, che è, non dimentichiamolo, il «dio con la testa d'asino»!), e che «tutte le opere magiche, per quanto possano apparire altruistiche, appartengono al regno di ciò che il profano classifica con il termine di magia nera» (p. 147)?
È vero che si sforza di spiegare queste affermazioni in modo da attenuarne la portata, ma c'è molta confusione, volontaria o no; in ogni caso, per lui è certo che «i maghi di tutti i tempi si sono vestiti di nero» e hanno utilizzato solo accessori ugualmente neri, cosa che peraltro, dal punto di vista storico, ci sembra falsa, ma non meno significativa. S'intende che il colore nero ha un senso metafisico di cui abbiamo già parlato, e che è completamente diverso dal senso «sinistro» che di solito possiede; ma, dal momento che questo senso superiore è lontanissimo dal campo in cui si esercita l'attività del mago, non può essere messo in questione proprio qui; ed è molto sospetta anche la maniera stessa in cui l'autore vuol modificare il significato tradizionalmente riconosciuto a certi concetti, come quello di «Sole nero» o di «Satellite oscuro»... Nemmeno la giustificazione dell'uso dei ceri neri (pp. 224-225) è più felice; nei nostri ricordi (ricordi che peraltro risalgono a molto tempo fa, perché tutto ciò deve datare a più di quarant'anni or sono), questi ceri neri sono legati, in particolare, a una faccenda che riguarda un determinato gruppo, di cui si parla precisamente in un altro punto del libro (p. 243) e che si vuoI difendere dall'accusa di «satanismo», dicendo che «è semplicemente una società segreta occultista, null'altro»; ma, nella nostra epoca, non ci sono forse parecchi gruppi più o meno consapevolmente «satanisti» che, in effetti, non sono altro che questo? In questo campo, potremmo anche citarne almeno uno che, esso sì, rivendicava espressamente il suo carattere «satanista», e un'allusione che abbiamo incontrato da qualche parte nel testo ci ha dimostrato che non era sconosciuto all'autore; ma, allora, a che cosa tende questa giustificazione, che oltretutto mira a presentare tali gruppi occultisti come «circoli iniziatici seri», cosa che è una vera e propria presa in giro? D'altra parte, dobbiamo precisare che non vogliamo affatto confondere «luciferinismo» e «satanismo», che sono due cose diverse, ma dall'uno all'altro il passaggio rischia di compiersi quasi insensibilmente, così come una deviazione spinta sempre più lontano finisce ineluttabilmente per sfociare in un capovolgimento totale dell'ordine normale; e non è colpa nostra se, nel caso in questione, tutto è ingarbugliato a tal punto che non si sa mai esattamente a clic cosa ci si trova di fronte... Le applicazioni che vengono fatte del «dualismo» sono tutt'altro che coerenti: così l'iniziazione, assimilata alla magia, come abbiamo già detto, viene opposta alla religione, il che non
impedisce che i riti religiosi vengano poi identificati, con una fusione inversa, ai riti magici; d'altra parte, l'Ebraismo e il Cristianesimo, che rientrano incontestabilmente nella religio ne, sono però opposti l'uno all'altro; a quali «poli» possono corrispondere rispettivamente i due termini di queste diverse opposizioni? Non si riesce a vederlo, tanto più che, se il Cristianesimo è interpretato in un senso «naasseno» (pp. 256-257), il Dio di Mosé, per parte sua, è identificato con lo «Spirito della Terra» (pp. 204-205), per non parlare dell'insinuazione, più clic equivoca, secondo cui, nella lotta tra Mosé e i maghi di Faraone (p. 37), il ruolo del «mago nero» potrebbe benissimo spettare a Mosé! Sicuramente sarebbe estremamente difficile sbrogliare tutto questo caos, ma d'altronde non è affatto necessario, per rendersi conto che le pratiche descritte in questo libro, e senza che il lettore ne sia messo in guardia, come esigerebbe la prudenza più elementare, sono per la maggior parte pericolosissinie, e alcune di esse appartengono più che altro alla stregoneria. A proposito dei pericoli di cui si tratta, citeremo in particolare il modo in cui vengono considerate le pratiche divinatorie, che sarebbero «quasi sempre delle pratiche evocatorie» (p. 112), cosa che non assomiglia affatto alle antiche sciénze tradizionali, di cui sono soltanto residui spesso incompresi, ma la cui conseguenza logica è che, «quando si effettua un tentativo divinatorio, ci si mette in uno stato di ricettività, di completa passività» (p. 273). È fin troppo facile capire quali possono essere i nefasti risultati di un modo di agire del genere. L'autore manifesta una marcata predilezione per la geomanzia, che paragona, abbastaiiza a sproposito, alla «scrittura automatica» degli spiritisti, e che per lui pare essere un modo di comunicare con io «Spirito della Terra»; d'altronde, se ne fa un concetto tutto particolare (p. 98), che, nonostante le sue affermazioni, attiene soltanto alla «magia cerimoniale» più tipicamente occidentale, poiché non è certo in Oriente che hanno avuto bisogno di fare tante moine - passateci il termine - per praticare la geomanzia... aggiungiamo ancora che, se talvolta si rifiuta, per motivi più o meno oscuri, di vedere il diavolo dove in effetti è, viceversa gli capita anche di vederlo dove non è: «Mastro Pierre de Coignet» (pp. 24 1-242), che un tempo si poteva vedere a un angolo della tribuna dcl coro di Notre-Dame, non era affatto una raffigurazione del diavolo, ma semplicemente uiia caricatura di Pierre de Cugnières, avvocato generale del Parlamento sotto Filippo di Valois, esecrato dal clero del suo tempo perché, in un'assemblea tenutasi nel 1329, aveva combattuto l'estensione assunta dalla giurisdizione dei Tribunali ecclesiastici (vedi Mémoire sur les Libertés de l'Eglise gallicane, Amsterdam,1755, pp. 245-248); vuol dire che non fu certo il clero, nel XVII secolo, a voler farlo sparire, ma, al contrario, i partigiani della supremazia dcl potere civile, che potevano sentirsi colpiti da questo insulto permanente alla nienioria del loro lontano predecessore. Si tratta, quindi, di un grossolano errore, ed è veramente un peccato, perché si prestava perfettameiite all'intento dell'autore: «Pierre du Coignet», è la «pierre du coin», cioè la «pietra d'angolo» o «angolare», e scrive altrove che il diavolo «è veramente la base e la pietra angolare di tutta la Teologia» della Chiesa cattolica (p. 56), e si converrà che è un modo molto singolare di interpretare il simbolismo della pietra angolare; ecco un esempio abbastanza istruttivo di dove possono condurre gli abusi della cosiddetta «Cabala ermetica»! Ci sono anche, bisogna dirlo, altri errori, la cui ragion d'essere non appare altrettanto chiara: così, Valentin Andreae è dato come «pseudonimo» di un «autore tedesco anonimo» (p. 24), mentre si tratta del nome autentico di un uomo la cui vita e le cui opere sono ben conosciute; il grado massonico di Cavaliere Rosa-Croce è il settimo e ultimo del Rito Francese, e non «l'ottavo» (p. 25), che non è mai esistito; fu Platone, e non Pitagora (p. 61), a far scrivere sui frontone della sua scuola le parole: «Che nessuno entri se non conosce la geometria»; altrove, la festa di san Giovanni Battista è attribuita a san Giovanni Evangelista (p. 168), e si pretende anche di trarre da questo fatto qualche conseguenza non trascurabile... A fianco di questi errori di tipo storico, vi sono errori linguistici non meno curiosi: per esempio, «releabim», che peraltro è un plurale (ma qui il plurale delle parole ebraiche è continuamente scambiato per il singolare), non ha mai significato «bastone» (p. 11); «emeth» non vuoi dire «vita» (p. 124), ma «verità», e «nephesh» non indica affatto «lo spirito puro» (p. 153); la «heth» è scambiata più volte con la «he», cosa che falsa completamente l'analisi geroglifica delle parole in cui compare, così come tutte le deduzioni che ne conseguono. Del resto, l'ebraico non è la sola lingua che viene così maltrattata; sorvoleremo sulle numerose parole deformate che si potrebbero imputare alla stampa, anche se è abbastanza difficile farlo, poiché ricorrono invariabilmente sotto la medesima forma; non occorre essere un grande latinista per sapere che «Cristo Re» non si dice «Christum Rexus» (p. 283), o anche che «Omnia ab uno et in unum omnia» non significa «Uno è nel Tutto e Tutto in Uno» (p. 21), ma «Tutto proviene dall'Unità e ritorna all'Unità». Forse certuni potranno lasciarsi impressionare dalle apparenze di un'«erudizione» a prima vista alquanto considerevole; ma, come dimostrano gli esempi che abbiamo fornito, queste apparenze sono molto ingannevoli... Non è strano che abbiamo deciso di dilungarci tanto su un libro del genere e di entrare nei particolari come abbiamo fatto, perché è uno di quelli che possono soltanto contribuire ad aumentare il disordine e la confusione nello spirito di molta gente; per questo è necessario mostrare il più chiaramente possibile che cosa c'è sotto. Per concludere, si potrebbe dire, senza fare nessun «gioco di parole», che l'«ombra» di cui si parla nel titolo si deve intendere senza dubbio in senso «sinistro» e capovolto; ecco, a quanto pare, un bell'assaggio di ciò che ci riserva la famigerata «era dell'Acquario»!
R. Guénon
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