giovedì 30 marzo 2017

Le torri del silenzio

Mario Appelius

da India

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Benché l'antichissima religione di Zoroastro abbia perso la sua primitiva grandezza filosofica e sia ridotta ormai una serie di simboli e di formule, conserva però inalterato il culto del Sole ed è forse questa l'unica cosa che sia rimasta intatta, oltre ad un vago deismo e ad un codice millenario di morale che per il suo amore della Verità o della Solidarietà umana mal s'adatta alle esigenze del mercantilismo moderno esercitato dai parsi. Il rito simbolico che ha resistito ai secoli ed agli assalti coalizzati di Cristo e di Mohammed riunisce ogni sera accanto alla .spiaggia i parsi dinanzi ai quattro elementi fondamentali della Vita: il fuoco, l'acqua, l'aria e la terra.
Sulle torri parsi i sacerdoti di Zoroastro accendono i fuochi della notte. Solo la Torre del Silenzio rimane senza fuoco. E' quella in servizio per la consumazione dei morti. Sono cinque torri adoperate a turno una per volta. La religione vieta infatti ai Parsi di lasciare i cadaveri in contatto con uno dei quattro elementi essenziali della vita: non possono perciò né sotterrarli, né bruciarli, né buttarli in acqua, né lasciarli corrompere all'aria. Li espongono quindi in cima alla Torre del Silenzio e lasciano che gli avvoltoi distruggano la carne senza palpito.

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L'usanza ripugna a prima vista al nostro spirito occidentale, ma tutto è bene organizzato perché non sembri mucabra ai parenti ed agli spettatori. I convogli giungono al luogo della morte per una via secondaria parallela alla passeggiata aristocratica. Non vi sono né carri funebri, né marce di Chopin, né prediche o discorsi. Non vi sono neppure feretri. I morti sono portati su una barella avvolti in un semplice lenzuolo, il volto scoperto, un fiore sulla bocca. Parenti ed amici accompagnano il defunto senza lagrime leggendo, ognuno per conto suo, libri sacri di poesie o di leggende. Accanto alla torre v'è una piccola cappella, specie di battistero, nella quale arde il fuoco perenne. Ogni convoglio si sofferma un istante dinanzi alla fiamma, poi i congiunti consegnano il corpo alla Comunità e se ne vanno. Per una porta stretta e bassa il cadavere entra nell'interno della Torre. Ed è finita.

La torre è un blocco massiccio di granito senza linee architettoniche né motivi ornamentali. Non vi sono iscrizioni, né cippi, né steli, nulla che comunque ricordi l'estremo trapasso, anzi intorno al Granito del Silenzio i giardinieri hanno ammassato le piante più belle ed i fiori più rari, specialmente rose. Rose tea, rose bengala, rose del Gange e del Cachiamuri, bottoni e corolle, aiuole e spalliere, un profumo d'alcova sultaniale, una serra sfarzosa di tinte e di bellezze, tale che diffìcilmente una coppia d'amanti potrebbe desiderarne una più bella per incorniciare il suo amore. Molti uccelli cinguettano fra i rami, molte farfalle svolazzano sui fiori ...
In alto alla torre stanno gli avvoltoi, grandi rapaci dal piumaggio cupo, dal becco adunco e dal cranio calvo, immobili, del colore stesso della pietra. Sono i merli della fortezza. Aspettano. Contano forse i convogli che uno dopo l'altro penetrano sotto la piccola porta.

Un dispositivo meccanico solleva i cadaveri in cima alla torre dove sono tracciati tre larghi cerchi di muratura, ognuno suddiviso in ventiquattro scompartimenti orientati come i raggi d'una ruota ed inclinati verso un pozzo centrale. Il primo cerchio è per gli uomini, il secondo per le donne, il terzo per i ragazzi. Trenta giorni dopo l'esposizione i membri della Comunità funebre guantati di nero ed armati di lunghe pinzette precipitano i resti dello scheletro nel pozzo centrale. Eguale è il rito per i ricchi e per i poveri, per i grandi e per i piccoli, pel benefattore e per l'assassino.


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Quando l'ultimo spicchio di sole è sparito dalla linea dell'orizzonte, la Torre del Silenzio apre le sue saracinesche. Incomincia il pasto macabro . Alti muri nascondono lo scempio. I necrofori alati conoscono l'ora. Giù si levano a stormì dal granito, urlano al sole che s'attarda, roteano con larghi cerchi concentrici, si forbiscono i becchi ed i rostri, si preparano all'assalto. Nello splendore dorato del tramonto sono l'unica bruttura visibile. Scrivono nella porpora del cielo la parola Fine e la parola Fame.

Un coro d'urla rabbiose straccia il silenzio d'intorno. Un gran starnazzio d'ali frenetiche frulla nel pulviscolo d'oro. S'aprono le porte del macabro convito. Le saracinesche della Torre del Silenzio strisciano sugli spigoli scorrevoli. Velocissimi gli avvoltoi di Zoroastro stringono il loro cerchio e scompaiono nella mangiatoia tombale. Quando ricompaiono il sole s'è spento. Musulmani e parsi sono ritornati alle loro occupazioni. Carrozze ed automobili s'inseguono sulla strada di Bombay. Sembra un ritorno di corse dopo un gran premio d'Europa.
       
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La notte indiana scende ad avvolgere nei suoi crespi pesanti Malabar Hill e la spianata aristocratica diventata deserta. Solo ardono sulle Torri in riposo i fuochi di Zoroastro. Solo restano sulla Torre del Silenzio i necrofori alati che aspettano il domani, cioè altri morti ed altri banchetti, altre lagrime ed altre feste, la loro vita che è in fondo la ... nostra.


Mario Appelius, India - Edizioni Alpes Milano 1926 (pag. 33 e seguenti)

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