lunedì 9 luglio 2012
Siria: audacia russa, cecità occidentale
Riporto questo interessante articolo di M. Blondet che fotografa la
situazione e ci informa di fatti che la quasi totalità dei giornalisti omette.
Se non ci riusciranno entro l'estate ogni altra opzione è possibile, compresa
una guerra apocalittica, che vede il nostro paese esposto in prima
linea a causa delle innumerevoli basi Nato disseminate sul territorio.
Siria: audacia russa, cecità occidentale
Maurizio Blondet 26 Giugno 2012
Dopo lo F-4 SuperPhantom abbattuto dalla contraerea siriana il 22
giugno, un altro aereo turco (di soccorso) è stato preso di mira: così
dice il governo di Ankara, con l?aggiunta: l?azione «non resterà
impunita». La situazione si arroventa di nuovo, dopoche sembrava
essersi placata. Con strani ondeggiamenti da parte del governo
Erdogan. Da una parte, la proclamata decisione di invocare gli
articoli della NATO che obbligano i membri dell?alleanza a entrare in
guerra accanto all?alleato colpito; dall?altra qualche ammissione che
sì, l?aereo abbattuto era entrato nella spazio aereo siriano, però
«per sbaglio», e «solo per cinque minuti».
Con curiosa insistenza si ripete che l?F-4 era un aereo da
ricognizione. Invece è un caccia-bombardiere supersonico, vecchio sì,
ma rammodernato nell?avionica dagli israeliani.
Ciò che non si dice, e che non troverete sui nostri media, è che
l?aereo turco stava partecipando ad una delle più grandi manovre
militari congiunte tenute dagli americani e dai suoi alleati musulmani
nell?area, Arabia Saudita e Turchia, Giordania e persino Pakistan,
francesi, italiani, eccetera. Si parla di 12 mila uomini di 19 Paesi,
navi e aerei tutti a ridossso della Siria . La colossale esercitazione
si chiama qualcosa come «Leone all?Erta», ma ha un nome arabo,
«El-Assad el-Mutaahib», tanto per mandare un messaggio al dittatore di
Damasco, che si chiama Bashar Al-Assad. La parte che riguarda i turchi
si chiama Anatolian Eagle 2012/2 (una Anatolian Eagle 2012/1 è già
avvenuta a marzo: queste manovre si susseguono senza sosta) e, come si
legge nel comunicato ufficiale del Pentagono, il suo scopo è il
seguente:
«Condurre tutta una serie di missioni aeree comprese l?interdizione
(sottinteso di sorvolo, ossia la «no fly zone»), l?attacco, la
superiorità aerea, la soppressione della difesa aerea, il ponte aereo,
il rifornimento in volo, la ricognizione» . Un programma completo di
invasione ? naturalmente umanitaria.
Ecco, il F-4 turco ben fornito di elettronica rasentava lo spazio
aereo siriano «in ricognizione».
Interessante anche il comunicato della US Air Force, che non troverete
sul Corriere della Sera, e che spiega il gioco di guerra: «La Forza
Blu, che comprendono gli Usa, l?Italia, gli Emirati, la Spagna, la
Turchia e la NATO, perfezioneranno le capacità delle loro forze
allargate contro la Forza Rossa di F-16, F-4 e F-5 guidati da piloti
turchi». (L?Avion Turc Abattu En Syrie Ses Deux Pilotes UneTentative
Avortée De Pénétrer La Défense Aérienne Syrienne)
Farà piacere ai patrioti sapere che anche le nostre forze aeree
partecipano a questo programma di intimidazione; e che siamo i «Blu»,
il che nelle manovre militari è il colore dei Buoni.
«Una provocazione capace di scatenare una guerra», così su RiaNovosti
ha detto Leonid Ivashov, il noto presidente dell?Accademia dei
problemi geopolitici a Mosca: «Hanno utilizzato la stessa tattica in
Libia e in Yugoslavia (...) Se il governo turco non cede alle
pressioni americane, questo incidente sarà risolto per via pacifica.
Ma se approfittano di questa provocazione per scavalcare le forze di
sicurezza dell?Onu ed attaccare, la guerra sarà inevitabile».
Che non si tratti di una valutazione privata di Ivashov (generale
dell?epoca sovietica, nello Stato Maggiore), lo ha confermato il
ministro della Difesa russo Sergei Lavrov: «Una replica dello scenario
libico in Siria non sarà ammesso, e noi (i russi) lo possiamo
garantire». E non ha mostrato alcuna simpatia quando, dopo
l?abbattimento, il ministro degli esteri turco Ahmet Davutoglu gli ha
telefonato a Mosca. Se sperava che da Mosca venisse una censura a
Damasco, è rimasto a bocca asciutta.
Tanto più che ? come ha subito precisato il sito israeliano DEBKA
Files ? a centrare il SuperPhantom turco è stato uno dei nuovi sistemi
di contraerea fornito dai russi anche per difendere la loro base
navale di Tartus (l?abbattimento è avvenuto sopra Latakia, che sta a
90 chilometri dalla base russa). (Newly-supplied Russian Pantsyr-1
anti-air missile used to down Turkish warplane)
Si tratta «dei missili Pantsyr-1, autopropellenti e a medio raggio»,
ha scritto DEBKA, «un?arma capace di tirar giù un aereo che voli a
quota superiore a 12 chilometri, come un missile da crociera. L?unità
responsabile dell?agguato (sic) è la 73ma brigata della 26ma Divisione
Anti-Aerea dell?esercito siriano...». E poi il sito ebraico aggiunge:
«siccome questo sofisticato armamento è stato consegnato al regime di
Assad solo da poche settimane, si deve ritenere che l?equipaggio
locale non abbia finito l?addestramento e sia ricorso all?assistenza
degli istruttori russi per spararlo (...) ultimamente, aviogetti
militari turchi compiono missioni quasi quotidiane lungo la costa
siriana. Apparentemente, Mosca e Damasco hanno deciso che era tempo di
finirla con queste missioni, che fra l?altro spiavano i rifornimenti
di armi russe transitanti dalle basi russe di Tarus e Latakia».
Giudiziosa deduzione.
È da mesi ? da quando Vladimir Putin è stato rieletto alla presidenza
? che Washington (e i suoi servitorelli) tratta il governo russo come
se non ne riconoscesse la legittimità, anzi se nemmeno esistesse. La
Cia ammette pubblicamente di armare i cosiddetti ribelli in Siria.
Hillary Clinton accusa il Cremlino di inviare ad Assad elicotteri da
combattimento «per stroncare la rivolta» (mentre in realtà sono
consegne di un vecchio contratto). I legittimi interessi della Russia
in Siria non vengono riconosciuti. All?interno stesso della Russia,
l?ambasciatore americano McFaul (un esperto in rivoluzioni colorate)
coltiva ostentati rapporti con la variegata «opposizione» anti-Putin,
la quale viene in molti casi finanziata da fondazioni americane
collegate ai due partiti, repubblicano e democratico. Da ultimo
Londra, obbedendo con zelo alla richiesta americana, ha cancellato
l?assicurazione di una nave russa partita dal porto baltico di
Kaliningrad sospettata di portare armamenti in Siria.
Una serie di umiliazioni deliberate, inflitte perchè a Washington si
calcola che Mosca, potenza in declino, non possa nè voglia rischiare
una guerra guerreggiata con l?immane superpotenza.
Eppure il calcolo s?è mostrato ripetutamente sbagliato.
Nel 2008, quando Usa e Israele armarono la Georgia fino ai denti,
addestrandone le truppe, e spingendola a riprendersi manu militari le
due provincie russofone di Abkazia e Sud-Ossetia, sicuri che Mosca
avrebbe subito con la coda fra le gambe; e Mosca invece accettò la
sfida con mano pesante, con mezzi aeronavali e di terra imponenti, non
limitandosi e difendere le due enclaves ma passando all?offensiva
nella Georgia stessa con l?occupazione della città di Gori, e
praticamente schiacciando l?esercito georgiano coi suoi «istruttori»
israeliani (anche allora l?attaco era stato preceduto da una grande
manovra militare americo-israeliana in Georgia, chiamata Caucasian
Milestone: ciò aveva messo sull?avviso i russi, che per questo avevano
già posizionato notevoli forze a ridosso della zona).
Un?altra lezione dimenticata fu l?audace colpo di mano russo in piena
guerra del Kossovo, mentre la NATO bombardava Belgrado ed entrava con
le sue truppe nel Kossovo. Era il giugno 1999, e la vittoria
occidentale sembrava completa, quando 200 commandos russi
(originariamente stanziati in Bosnia-Erzegovina come Caschi Blu)
operarono una penetrazione-lampo ed occuparono di sorpresa l?aeroporto
di Pristina (la capitale kossovara), impedendo di fatto l?atterraggio
degli aerei logistici americani e occidentali.
Il vostro sottoscritto giornalista era lì, e si ricorda ancora l?aria
strafottente, da veterani, dei soldati russi a cavalcioni sui loro
vecchi cingolati, e fu impressionato della loro ? come definirla? ?
attitudine bellica: sapevano quel che facevano, quel che rischiavano,
ed erano pronti ad andare fino in fondo, se ne ricevevano l?ordine. Di
fatto, erano circondati dalle forze Nato, assolutamente preponderanti.
Ma i nostri soldati, al confronto, sembravano soldatini di piombo:
belli, con le loro mimetiche ed automezzi nuovi fiammanti e mai usati,
prontissimi ad una grande esercitazione militare; ma quelli a
cavalcioni sui vecchi cannoni, non stavano facendo un?esercitazione.
Facevano la guerra.
Sappiamo adesso che il comandante supremo americano della Nato, Wesley
Clark, fuori di sè (una carriera rovinata...), ordinò di riconquistare
l?aeroporto con la forza ? ingiungendo l?attacco a 500 teste di cuoio
britanniche e francesi; ma allora furono gli inglesi a disobbedire
all?ordine, e il generale britannico Mike Jackson disse a Clark: «Non
ho intenzione di cominciare la terza guerra mondiale per voi».
Anche quella volta la Russia reagiva ad una umiliazione deliberata:
aveva chiesto di partecipare alla operazione di peacekeeping
(successiva alla sconfitta serba) in un suo settore indipendente dalla
Nato ? a garanzia del regime di Belgrado ? e ricevuto un oltraggioso
rifiuto ? dopotutto, la Russia era economicamente un paese in rovina,
debole e costretto alla passività, secondo le valutazioni Usa. Invece,
col colpo di mano di Pristina, Mosca rovesciò la situazione ed
inflisse una umiliazione vergognosa a chi voleva umiliarla.
Temo che gli americani non capiranno mai queste genere di lezioni, per
via dell?ineliminabile «angolo cieco» insito nel loro
iper-militarismo. Dall?episodio di Pristina, è parso evidente a chi
scrive che nelle accademie di Russia le sorprese temerarie, le astuzie
audaci, gli stratagemmi sostenuti dal coraggio estremo sono imparati
come parte integrante del mestiere delle armi, e vi si apprende
«l?arte della guerra» secondo Lao Tsu e secondo Clausewitz, ossia
senza mai dimenticare che la guerra deve giungere ad un risultato
politico. Insomma tutto ciò di cui manca la dottrina militare
americana, e che cerca di sostituire con la forza schiacciante e la
superiorità assoluta, la tecnologia avanzata e costosissima, e ? da
ultimo ? la forza bellica non come strumento, bensì come surrogato
unico della politica.
L?abbattimento dell?F-4 turco da parte dei siriani (o meglio, dei loro
istruttori russi) ha dimostrato che Mosca ha piazzato in Siria un
sistema anti-aereo dall?archiettura a maglie mobili, dunque non
facilmente localizzabili (ciò ha sorpreso gli occidentali) ? e capace
di sfidare la loro pretesa supremazia aerea. Ha mostrato che non
occorre una forza assoluta per strappare un successo politico. Ha
intaccato la presunzione su cui si basa tutta l?aggressività americana
nei numerosi teatri in cui opera, di possedere la assoluta dominance
del cielo, e certo ha fatto tremare qualche alto burocrate in divisa
al Pentagono che pensa alla carriera: «far paura», dopotutto, non è il
cuore dell?arte della guerra?
Inoltre, per dirla con Bhadrakumar (che è stato ambasciatore indiano
ad Ankara ed oggi è un acutissimo analista), «ha mandato una serie di
segnali alla Turchia e ai suoi alleati occidentali»:
«Che il sistema di difesa anti-aerea siriano è efficace e letale», e
può infliggere gravi perdite ad una no-fly zone sul modello di quella
attuata in Libia;
«Che la Turchia pagherà un prezzo se intensifica la sua interferenza
in Siria; che la superiorità turca ha dei limiti, e che la crisi
siriana può far esplodere una crisi bellica regionale». (Syria puts
double whammy on Turkey)
Ovviamente questo è il rischio: che il gioco combinato dell?astuzia
audace contro la presunzione di superiorità totale occidentale finisca
per scatenare anche senza volerlo la «terza guerra mondiale» paventata
dal generale britannico che si rifiutò di attaccare i russi a
Pristina. Del resto, il sistema di comando occidentale, in questa fase
di crisi profondissima dell?impero americano, non è affatto unitario:
e se certo Obama non vuole una nuova guerra mentre affronta le
elezioni presidenziali, e persino Israele è prudente sulla questione
siriana, non mancano forze (Da Wall Street alla lobby petrolifera) a
cui invece una crisi «regionale» pare utile ? se non altro perchè il
prezzo del petrolio cala e, siccome la quotazione del dollaro è
agganciata al greggio, è necessario rincararlo. C?è da tremare quando
si comprende che ad Obama, queste forze non obbediscono e puntano sul
suo successore, un qualunque guerrafondaio repubblicano che prosegua
le politiche neocon. È ancor più agghiacciante constatare che gli uni
e gli altri poteri americanisti sono mossi da motivazioni futili,
senza visione.
Le reti dedicate alla «demolizione soft» della Russsia di Putin sono
pienamente all?opera, continuano a mestare per il «regime change» a
Mosca, e sono fra quelle che non obbediscono ad Obama (ma chi gli
obbedisce, dopotutto, in America?). La loro psicologia è ben
illustrata da un articolo di tale Pavel Felgenhauer, un pubblicista
russo molto (troppo) esperto di cose militari che ora è passato nella
Jamestown Foundation (un think tank americanista molto ostile a Putin)
ed ospitato in Asia Times: Internal crisis shapes Putin's foreign
policy
In breve, Felgenhauer punta il dito sulla situazione sociale interna
alla Russia, che ritiene gravissima ed esplosiva; cita a sostegno
della sua tesi un Center for Strategic Studies (CSS) basato a Mosca ?
creazione di Mikhail Dimitriev, un economista ed ex parlamentare russo
oggi anti-Putin, il quale è stato uno dei capi del Carnegie Center di
Mosca ? un?emanazione della Fondazione Carnegie americana:
praticamente, uno dei centri della sovversione anti-russa cita un
altro dei suoi centri, e per concludere quanto segue:
Vladimir Putin sta «cercando di compensare i suoi fallimenti politici
interni con una politica estera populista» e aggressiva, rendendo la
suddetta politica estera «meno realistica e sempre più dottrinaria»,
anzi «erratica e irrazionale». Senti chi parla, verrebbe da dire. Ma
non basta.
«Invece di perseguire pragmaticamente gli interessi nazionali russi di
lungo termine,», scrive Felgenhauer, «il Cremlino di Putin tende a
sfidare cocciutamente gli Stati Uniti praticamente su ogni questione
regionale o globale, sapendo che il pubblico russo approverà. Il
Cremlino cerca di raffigurare il movimento pro-democrazia in Russia
come una trama occidentale (americana) e parte di un complotto globale
anti-Russia (...) È possibile che lo stesso Putin creda a questa
narrativa».
È un?accusa comica, dato che è Washington a sfidare cocciutamente il
cremlino, e visti comprovati finanziamenti che i «movimenti
pro-democracy» ricevono dalle fondazioni Usa. Ancor più comica se si
riflette alle «narrative» che le centrali americane, israeliane e
neocon hanno fatto digerire all?Occidente: l?11 Settembre come
mega-attentato compiuto a New York e Washington da 17 sauditi guidati
da un Bin Laden rifugiato in una caverna in Afghanistan, le famose
«armi di distruzione di massa» di Saddam Hussein, il pericolo per la
sicurezza nazionale rappresentato da «Al Qaeda in Africa», l?attentato
«islamico» nel metrò di Londra nel 2005 di cui il Mossad sapeva tutto
prima, il rischio mortale che la fantomatica atomica iraniana fa?
correre al mondo intero... e via paranoicamente inventando, per
giustificare sovversioni, guerre preventive, assassinii mirati
illegali ed invasioni continue da dodici anni.
Ma c?è poco da ridere, perchè l?articolo di Felgenhauer mostra che,
negli ambienti da cui è pagato, la diagnosi è sempre quella che gli
americani hanno visto smentire tante volte: non solo Putin è un illuso
irrazionale (come Ahmadinejad?), e la sua autorità è transitoria,
perchè minata dalla vittoriosa opposizione interna; non solo gli
occidentali gli possono dare con degnazione dei consigli sugli
«interessi nazionali» russi da perseguire; la Russia non conta nulla,
il suo arsenale è un vecchiume, la si può mortificare e non
riconoscere impunemente.
È questo angolo cieco invincibile ad essere sommamente pericoloso.
Magari, il petrolio rincarerà secondo gli auspici. Se ci sarà un dopo.
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