Rossi sarcofagi dell’antica Roma, in « La Stampa » domenica 26 gennaio 1986.
Uno degli autori delle Historiae Augustae, Giulio Capitolino, narra che l'imperatore Antonino Pio, recatosi in casa di un amico e avendo notato alcune colonne di porfido, alla domanda da dove venissero si sentì rispondere: «Quando sei in casa d'altri, rimani muto e sordo». Antonino, che non replicò, aveva tuttavia buone ragioni per porre il quesito: sostanza durissima cavata da un monte egiziano verso il Mar Rosso, il porfido, per il suo colore simile alla porpora, era simbolo del potere imperiale, e non era lecito a un privato possederlo o decorarne l'abitazione.
L'Arco trionfale di Costantino a Roma, con le sue colonne gialle (che alludono all'oro) e le specchiature porfiretiche, ostenta il simbolismo della sacra autorità imperiale, lo stesso dal quale trassero origine i colori dello stemma di Roma (e, più recentemente, il giallo-rosso della locale squadra di calcio). In grandiosi sarcofagi di porfido venivano sepolti gli imperatori del tardo Impero: tale era, presso la Chiesa dei Ss. Apostoli a Costantinopoli, quello di Costantino il Grande (con molta probabilità lo stesso oggi nell'atrio della locale Chiesa di Sant'Irene), mentre un curioso esemplare, con gli spigoli cilindrici del cortile del Museo Archeologico della città turca, quasi certamente fu destinato alle spoglie di Giuliano l'Apostata.
I due capolavori del genere giunti sino a noi in buoni condizioni (sebbene lucidati, purtroppo, nel Secolo XVIII), si trovano nei Musei Vaticani. il sarcofago della madre di Costantino, Elena (proveniente dal suo mausoleo a Tor Pignattara) e quello di Costantina figlia dell'imperatore, che per tutto il Medioevo rimase al suo posto, l'odierna Chiesa di Santa Costanza sulla Via Nomentana.
Quando cominciò l'usanza di seppellire gli Augusti e i loro familiari nella pietra purpurea? Tutto fa pensare che ciò ebbe inizio' verso la fine del III o gli inizi del IV Secolo il più amico esempio a me noto ne sono gli enormi blocchi di porfido trovati nei pressi della Cattedrale di Spalato, già mausoleo di Diocleziano e di sua moglie Prisca, che oggi vedono nel locale Museo.
C'è tuttavia una leggenda secondo cui il grande coperchio porfiretico, che nella Basilica di San Pietro in Vaticano serve quale fonte battesimale, sia il coperchio del sarcofago di Adriano, estratto dal suo enorme sepolcro diventato Castel Sant'Angelo.
Risalendo all'indietro, Traiano e Plotina furono cremati, e le ceneri racchiuse entro un'urna d'oro alla base della Colonna Traiana; mentre Augusto e i suoi familiari e di scendenti, anch'essi cremati con elaborate cerimonie, furono deposti nel Mausoleo che il fondatore dell'Impero aveva fatto innalzare nel Campo Marzio (meno Nerone che ebbe una tomba a parte dove oggi è la Chiesa di Santa Maria del Popolo). Rimane, della dinastia Giulio-Claudia, l'urna di Agrippina Maggiore nel Museo Capitolino: durante i secoli bui fu asportata e utilizzata come misura per il grano.
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Nel corso del III secolo, gli imperatori furono inumati in grandi sarcofagi di marmo bianco, ricchi di elaborati rilievi, dei quali restano due esempi. L'uno, nelle Catacombe di Pretestato, racchiuse le spoglie di Balbino, che fu Augusto per pochi mesi nel 239 d. C.; salvo un piccolo frammento della faccia anteriore (che appartiene al Museo di Cleveland nell'Ohio) ed eccettuate alcune lacune, esso era, sino a poco fa, in buone condizioni, specie nello splendido coperchio con le figure giacenti di Balbino e di sua moglie.
Era, perché si sente dire che, a causa della scarsa sorveglianza, il prezioso cimelio è stato sfregiato da vandali notturni, che avrebbero persino asportato la testa dell'imperatore, uno dei capolavori della ritrattistica antica (non si riesce a sapere se questo pezzo sia stato poi recuperato).
Il secondo sarcofago imperiale giunto sino a noi è in condizioni eccezionalmente buone, e ha una storia singolare sotto vari aspetti. E' il cosiddetto Sarcofago Ludovisi, scoperto nel Seicento e passato alla Collezione Ludovisi. Quando, all'inizio del nostro secolo, i luminari dell'archeologia nostrana procedettero alla scelta dei pezzi di quel l'importante raccolta per farli acquistare dallo Stato italiano, essi non si accorsero del rapporto tra il sarcofago vero e proprio (che entrò nel Museo Nazionale di Roma) e il suo coperchio, dato che quest'ultimo a Villa Ludovisi era stato sistemato in un diverso locale: e così il completamento di questo unicum venne lasciato libero per l'esportazione, e finì nel Museo di Magonza.
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Il sarcofago invece entrò nel patrimonio statale, e a lungo ci si è domandati chi potesse essere il generale romano che appare a cavallo al centro della faccia anteriore, dominando un'accanita battaglia contro i Barbari. Dopo molte e diverse ipotesi ne è stata avanzata una (da parte della dottoressa Von Heintze, una studiosa tedesca) che a me pare quella giusta: il giovane Generale sarebbe l'Imperatore Ostiliano, che regnò per breve tempo nel 251 d. C., nel momento cioè di massima turbolenza dell'Impero.
Come si è giunti a tale identificazione? Il Generale reca al centro della fronte, una piccola croce incisa, che a lungo si credeva fosse un segno di esorcismo cristiano apposto nel Medioevo sul monumento pagano. La Von Heintze ha scoperto che la stessa croce appare in vari ritratti marmorei del medesimo personaggio, la cui fisionomia risponde a quella di Ostiliano (nelle sue monete si ravvisa, di nuovo, la piccola croce). Non si tratta di un simbolo cristiano, bensì della cicatrice da cui venivano segnati i seguaci del Dio Mitra durante la confirmatio, una sorta di cresima con cui si passava ai gradi superiori di quella religione, molto diffusa nel III Secolo, specie tra i militari. Oltre a essere uno dei più importanti monumenti d'arte della civiltà romana, il Sarcofago Ludovisi è perciò un testo rarissimo per la storia dell'Impero e della sua religione: ciò non ha impedito che anch'es so sia stato coinvolto nel forsennato progetto di spedire la Collezione Ludovisi fuori del Museo Nazionale, sbattendola a decorare il Palazzo del Quirinale. Per giunta, in un dettagliato progetto diffuso alla stampa, il Sarcofago era destinato a rimanere all'aperto.
Ogni commento è superfluo; ma è da ricordare che tale folle proposta venne avanzata dal soprintendente La Regina, lo stesso che, a proposito della Colonna Antonina (il cui marmo è corroso dall'esposizione all'aperto), ha sollecitato un costosissimo marchingegno di vetri a scopo protettivo, di assai dubbia efficacia.
Del resto, come è noto, tutta la faccenda della Collezione Ludovisi e dei pericoli cui si diceva andasse incontro nel Chiostro piccolo del Museo Nazionale si rivelò poi pretestuosa; un'inchiesta effettuata da indiscusse autorità come l'ex direttore generale delle Belle Arti, Bruno Molajoli, e dal prof. Antonio Giuliano, indicò che le lesioni del Chiostro potevano essere riparate con pochi mesi di lavoro.
Non si riesce dunque a capir bene cosa si nascondesse dietro il disegno di allontanare dal Museo Nazionale una del le sue gemme; fra le unanimi proteste della stampa e della pubblica opinione, esso fu scartato, e non se ne sente più parlare.
Si riparla, invece, di un altro insensato progetto, quello degli scavi dei Fori Imperiali: i soliti, funerei personaggi del la sottocultura sono tornati all'attacco, e converrà quindi tornare sull'argomento. C'è da sperare che la nuova Amministrazione Capitolina non venga attirata nella trappola, e che la città di Roma non sia ulteriormente degradata da una costosissima impresa che, razionale forse sulla carta, si trasformerebbe in realtà in un'autentica catastrofe.
Federico Zeri
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