lunedì 30 luglio 2012
Il labor-intra
Andrea Maugeri
IL LABIRINTO DELLA CATTEDRALE DI CHARTRES
I labirinti sono tanto antichi quanto multi-culturali; ma in una cattedrale medievale sono caratterizzati da un significato tipicamente religioso, cristiano, altrimenti non si troverebbero in questi luoghi. Sfortunatamente, tra il diciassettesimo ed il diciottesimo secolo, il loro significato spirituale si è andato perdendo ed è stato per lungo tempo misconosciuto e non completamente compreso, anche dal clero stesso, e molti esempi di queste realizzazioni sono andate perdute.
Nei suoi scritti, Jean Baptiste Souchet, un canonico della cattedrale di Chartres morto nel 1654, considerava il labirinto "un gioco senza senso, una perdita di tempo". Nonostante questo, il labirinto di Chartres è sopravvissuto ed è uno dei meglio conservati e il più grande giunto dall'epoca medievale ai nostri giorni. Risalente all'incirca al 1200, inserito nel pavimento della navata raggiunge una circonferenza di 12,85 metri mentre il percorso interno misura complessivamente 261,5 metri.
Il suo disegno circolare, così come avviene per il labirinto della cattedrale di Sens, prevede un'entrata, un percorso e una fine, collocata al centro del labirinto stesso. Caratteristica questa comune, indipendentemente dall'andamento geometrico del percorso, a tutti i labirinti. Sia il labirinto di Sens che quello collocato nella cattedrale di Chartres sono stati assimilati ad un viaggio verso Gerusalemme, che potrebbe simboleggiare un pellegrinaggio penitenziale verso la Città Santa, che nelle mappe medievali era collocata al centro del mondo. Ma la Gerusalemme in questione non è certo la Gerusalemme terrestre, bensì quella dei Cieli, della quale la stessa cattedrale è un simbolo, come testimoniato dal Libro della Rivelazione; pertanto, il viaggio attraverso il labirinto rappresenta il nostro viaggio attraverso la vita, culminante non nella morte, come nella tradizione Greco – Romana, ma, nel contesto cristiano, nella vita eterna in Paradiso.
Al centro del labirinto di Chartres era collocata una placca di bronzo, rimossa e fusa nel 1792, durante le guerre napoleoniche. I fermi metallici cui era ancorata sono ancora visibili nella pietra. Stando a quanto afferma Charles Challine, morto nel 1678, la placca avrebbe rappresentato Teseo e il Minotauro. Alle loro spalle era Arianna, che reggeva in mano il famoso gomitolo di lana, con il quale, secondo la leggenda cretese, ella condusse Teseo presso il Minotauro, affrontando un altro celebre labirinto, quello di Dedalo.
La battaglia fra Teseo ed il Minotauro, come quella tra San Giorgio ed il drago, simboleggia, nell'interpretazione cristiana, una sorta di psicomachia, una lotta che si svolge nell'anima, proprio dentro di noi, fra le forze del bene e del male, lungo il percorso che compone il labirinto delle nostre vite; una lotta che ha avuto inizio con il peccato originale di Adamo ed Eva che è riprodotto nella vetrata del XIII secolo collocata nell'abside meridionale proprio al di sopra del labirinto.
La maggior parte dei labirinti, cristiani e non, ha un solo complicato percorso, che conduce lentamente ma inevitabilmente ad una destinazione finale, divenendo simbolo del viaggio dell'uomo dalla nascita alla morte. I labirinti cristiani, in ogni caso, vogliono significare che la morte non costituisce la fine, ma la porta attraverso la quale l'uomo può pervenire alla contemplazione della Gerusalemme Celeste. Arianna, con il suo filo, personifica Ecclesia, la Chiesa e la Grazia Divina, attraverso la quale l'uomo può ottenere la salvezza.
La distanza del centro del labirinto di Chartres dalla porta ovest è più o meno la stessa che separa la porta ovest dal rosone occidentale sopra di essa, che raffigura il Giudizio Universale, formando così una sorta di triangolo, la cui ipotenusa è la distanza che separa il centro del rosone dal centro del labirinto. Quindi, se la facciata ovest posasse sul piano della navata, la vetrata del rosone dovrebbe cadere esattamente sul labirinto; e il Giudizio Universale, del resto, vuole significare il momento in cui i redenti trascendono il Tempo e la Morte, ed entrano nella Gerusalemme Celeste.
Il labirinto della Cattedrale di Chartres | Luoghi, Insediamenti | Medievale.it
Sorpresa : chi è il padre di Holmes?
LA STRAGE IN COLORADO E’ LEGATA ALLE FRODI BANCARIE
26 luglio 2012 | Autore Lino Bottaro | Stampa articolo
Grazie al lettore Edoardo per la traduzione.
Obama con i parenti delle vittime
25 luglio 2012. Una relazione preoccupante del Ministero delle Finanza sulla frode bancaria più grande nella storia, sta circolando oggi al Cremlino e avverte che è “nel regno delle possibilità” che lo scioccante massacro nel cinema in Colorado la scorsa settimana non sia che un altra “parte integrante” di un deliberato piano messo in atto dalle élite bancarie occidentali e dai loro alleati prossimi al collassare l’economico.
Il massacro citato nella relazione è stata denominato “2012 Aurora Shooting”, in cui il sospetto James Holmes è accusato di aver aperto il fuoco durante la prima del film “Batman” uccidendo 12 persone, ferendone 58 in una delle peggiori stragi di massa nella recente storia degli Stati Uniti.
È interessante notare che in questo documento , James Holmes viene definito come estremamente intelligente, uno scienziato dotato, cresciuto in un quartiere benestante, con una inquietante somiglianza che condivide con gli altri noti assassini americani degli ultimi 3 decenni, tra cui Andrew Cunanan, John Gardner, John Hinckley, Timothy McVeigh , Ted Kaczynski, Eric Harris e Dylan Klebold.
La cosa più importante da notare circa James Holmes, sostiene il documento, è che suo padre, Robert Holmes, è stato chiamato per testimoniare nelle prossime settimane davanti alla Commissione del Senato statunitense, che si occupa del più grande scandalo nella storia del mondo finanziario e relativo alle frodi bancarie, scandalo che minaccia di destabilizzare e distruggere il sistema bancario occidentale.
Robert Holmes, è conosciuto nella comunità bancaria a livello internazionale, come il creatore di uno degli algoritmi informatici più sofisticati mai sviluppati , ed è accreditato dello sviluppo di modelli predittivi per i servizi finanziari, modelli di rischio credito e frode , modelli di applicazione per prevenire frodi su Internet / on-line.
Educato presso la Università della California, Berkeley e Stanford University, Robert Holmes è attualmente lo scienziato senior di punta nella società americana di credito FICO score, che è formalmente conosciuta come Fair, Isaac and Company, alla quale ogni cittadino americano diviene legato nel caso in cui debba prendere denaro in prestito.
Il reato oggetto di indagine da parte del Senato degli Stati Uniti è chiamato il lo scandalo LIBOR in cui le banche del Regno Unito fissavano il tasso di prestito interbancario a Londra con la complicità della Bank of England, Federal Reserve (che conosceva il reato da 4 anni e non lo ha mai segnalato) e molte altre grandi banche occidentali.
Non è noto alla maggioranza delle persone colpite dallo scandalo LIBOR (chiunque nel mondo) che la impostazione di bassi tassi di interesse sin dall’inizio della crisi finanziaria mondiale tra il 2007 e il 2012 ha distrutto i risparmi di una vita e gli investimenti azionari della classe media Americana.
Ancora peggio, secondo questa relazione, Holmes ha recentemente completato il suo lavoro su quello che viene chiamato uno degli algoritmi informatici più sofisticati mai sviluppati ,che non solo ha scoperto il vero intento di questa frode di massa, ma è anche, in grado di tracciare migliaia di miliardi di dollari “persi” presso i conti bancari delle classi d’élite che li hanno rubati.
Le note dei Funzionari del Ministero dell’intelligence riportano che “non è una coincidenza” che questo massacro in Colorado si sia verificato pochi minuti prima che The Guardian di Londra rilasciasse lo scorso Sabato 21 luglio lo sconvolgente rapporto dal titolo ” Wealth Doesn’t trickle Down – It Just Floods Offshore, Research Reveals “, nel quale si puntualizza che siano stati usati gli algoritmi di Robert Holmes a scoprire questa massiccia frode.
Altra nota curiosa di questo massacro è che il sito americano di intelligence TheIntelHub.Com nel articolo del 23 Luglio dal titolo “caratteristiche di un false flag: “Hallmarks of a False Flag: Colorado University Held Identical Drill on Same Day as Aurora Theater Mass Shooting, Mind Control, and Multiple Suspects” ” afferma che solo poche ore prima che questo sconvolgente crimine venisse commesso il Rocky Vista University College di Medicina Osteopatica era in possesso di una identica simulazione con un tiratore in una sala cinematografica.
Il popolare sito web infowars.com osserva inoltre che gli eventi “false flag” come il massacro di Colorado sono previsti nel manuale di formazione dell’esercito americano con il titolo “Foreign Internal Defense Tactics Techniques and Procedures for Special Forces.”
Anche se il vero obiettivo di questo massacro non sarà mai conosciuto, è più che interessante notare che alcuni “mainstream” americani non accettano la “linea ufficiale”, come il reporter di Fox News Ben Swann che dalla sede di Cincinnati, Ohio, si domanda:
“Perché Holmes ha avuto la premura di riempire il suo appartamento con una serie di esplosivi mortali e poi quando è stato arrestato ha raccontato alla polizia delle bombe? Se Holmes voleva uccidere più gente possibile, perché mettere in guardia i poliziotti prima del tempo?
“Considerato che Holmes era uno studente laureato in neuroscienze, come ha fatto ad ottenere le competenze necessarie per creare un labirinto di bombe così complesso che ci sono voluti due giorni all’FBI per disarmarli? Secondo gli esperti, la complessità delle bombe ricordava una zone di guerra – come potrebbe quindi Holmes aver creato tutto questo senza l’aiuto di un esperto di esplosivi?”
Nonostante la polizia affermi che “ogni singolo indicatore” porti a pensare che la sparatoria fosse un attacco di lupo solitario, numerosi testimoni hanno descritto la presenza di più complici. I primi rapporti della polizia hanno suggerito il coinvolgimento di due o più tiratori, ma sono stati fatti sparire rapidamente per lasciare spazio alla storia del lupo solitario.
Come Swann sottolinea, nell’intervistata dopo la sparatoria al testimone oculare Corbin Dates , afferma che Holmes ricevette una telefonata da qualcuno mentre era all’interno del teatro e una volta risposto si spostò verso l’uscita di emergenza,cosa che suggerisce che la chiamata era di un complice per coordinare l’attacco.
Dates afferma anche di aver visto Holmes alla porta di uscita ” come segnalare a qualcuno o in attesa di qualcuno.”
Un altro testimone oculare ha aggiunto: “Da quello che abbiamo visto non era solo – c’era qualcuno con lui. Dato che il secondo candelotto di gas lacrimogeno non è venuto da lui. “
Libera traduzione da:
domenica 29 luglio 2012
La via di mezzo degli Alauiti è ormai superata
La tribù degli Alauiti ha tenuto il potere in Siria da più di 40 anni. Per l'Occidente era una via di mezzo, una religione che si trovava fra l'Islam e il Cristianesimo, anche Israele preferiva questa egemonia nella Siria confinante piuttosto che altri regimi, ma ormai i tempi incalzano e la strategia richiede una stretta verso quel Medioriente fondamentale per l'area petrolifera, ma anche il cuscinetto verso quella Cina e l'ex Russia. Il vero obbiettivo è l'Iran, unico alleato ora che la Libia è stata spazzata via e nuovi padroni si dividono l'oro nero, il capo tribale Gheddafi era ormai inadeguato e pericoloso. Ricordo a braccio quella tentata federazione fra Libia e Siria Baatista finita nel nulla, ma il legame resta. La Siria dei Alauiti è ormai morta, ma chi ne prenderà il potere? A questo punto bisogna assolutamente attaccare l'Iran, dato che lì è il problema fondamentale. Siamo alla svolta finale, tutto è possibile. Certo che la nostra povera Italia è sicuramente uno dei paesi più esposti, le basi americane in Italia sono in massima allerta. Saremo il capro espiatorio?
Guardate i "confini" tracciati dopo la caduta dell'Impero Ottomano. Fra Siria , Iraq, Iran, Giordania, Israele (confini segnati anche dopo la II G.M.): sono tracciati con il righello, un retaggio demenziale dell'Impero Inglese!
sabato 28 luglio 2012
E' la FIAT ha esportato in Cina
Siamo intorno al 2003 e la Fiat è convinta di iniziare
il "business" in Cina, in realtà l'industria nata a Torino è ben consapevole di produrre automezzi per pianificare la pena di morte, grave se pensiamo alle altre attività devastanti della Fiat legate alla produzione di efficenti mine antiuomo della Valsella, e attualmente la produzione di elicotteri da guerra Augusta! Cosa non si farebbe per l'utile. Produrre e guadagnare in nome del progresso....
Risparmio, efficienza, utilità sociale e poco stress: questo il motto cinese nella gestione delle condanne a morte.
Cominciamo da capo: la Fiat pensava di essere importante in Cina, ma probabilmente non sapeva quanto; infatti sono suoi i furgoni utilizzati come camere della morte ambulanti. Il Dipartimento di Giustizia dello Yunnam ha "adottato un metodo per giustiziare i condannati a morte anche nei piccoli centri, sveltendo così le procedure burocratiche per i trasferimenti, e riducendo le spese per la collettività. Sono stati attrezzati 17 furgoni per fungere da 'camera della morte' ambulanti".
Così, fatto il processo, emessa la condanna a morte non c'è bisogno di trasferire il prigioniero prima in carcere e poi in una struttura pubblica per eseguire la condanna; esce dal tribunale, sale sul furgone, gli si fa un'iniezione letale e, opera benemerita, lo si disseziona immediatamente per l'espianto degli organi.
Sembra una leggenda metropolitana e invece è una notiza vergognosamente vera, riportata dai quotidiani di Pechino e ripresa dalla France Press.
Uccidere immediatamente il condannato - l'appello è un'utopia - serve a soddisfare la domanda d'organi. Quando è necessario un soggetto più giovane o con altre caratteristiche basta mandare il prigoniero adatto a processo e la condanna viene emessa ed eseguita in tempi strettissimi.
Le autorità ovviamente, giustificano l'esecuzione immediata come atto destressante per il reo e per i suoi familiari.
Fino a tre anni fa i prigionieri venivano uccisi mediante un colpo di pistola alla nuca con proiettili di piccolo calibro, affinchè il condannato non morisse subito e potesse venire caricato su speciali ambulanze che provvedevano immediatamente all'espianto. L'iniezione letale è stata adottata oggi, con ritardo, perchè andava studiato prima il cocktail giusto, che non rovinasse gli organi.
Guido Lo Forte e Roberto Scarpinato
questo documento è la richiesta di archiviazione delle indagini che voleva fare Falcone, archiviate da... leggete bene la firma.. e LEGGETE BENE LA DATA .
giovedì 26 luglio 2012
Gli Oracoli Caldei
Tratto da Conférence de Helmut Seng
Gli Oracoli Caldei sono un poema d’ispirazione medioplatonico ( II secolo dC) di cui restano solo dei frammenti. Una caratteristica della dottrina è la distinzione tra un primo dio e un demiurgo che è al secondo posto nella gerarchia degli esseri e allo stesso modo di un mondo "igneo", che consiste d’idee generali e in cui la dea Ecate è l'ipostasi che si distingue da un mondo d’idee particolari che corrisponde ad un livello inferiore. Una singolarità della cosmologia caldea è l'inserimento di un mondo etereo intermediario tra il mondo intelligibile e il mondo terreno. La dottrina della discesa dell'anima dalla sua origine celeste, seguito dal suo ritorno post-mortem , è completata dalla teurgia, un rito che anticipa l'ascesa dell'anima, nel tempo della sua vita nel mondo terrestre.
I. Introduzione
Il titolo Χαλδαϊκὰ λόγια (Caldaicalogia) appare in Proclo nel In Parm. 800, 19 C., ma è insolito nell'antichità. Molto spesso, invece di questo titolo, si trova più sovente un’attribuzione degli Oracoli agli stessi Dei. Queste denominazioni sono integrate da riferimenti al(ai) teologo(teologii) o al(ai) "teurgo(-ghi)”.
Secondo la Souda (ι 433, II 641, 32s.; ι 434, II 642, 1-4 Adler), si tratta di Giuliano il caldeo e Giluliano il teurgo, padre e figlio, che vissero al tempo dell'imperatore Marco Aurelio. E 'chiaro che il soprannome di "caldeo", qualunque sia l'origine, dà al suo titolare, o alle dottrine che professava, un’autorità superiore a quella di un semplice filosofo, ma il ricorrere a questo termine già suscita la curiosità del pubblico.
Alcune evidenze suggeriscono che Plotino (205-270) conosceva gli Oracoli Caldei. Il primo autore a dare loro una particolare attenzione è Porfirio (c. 233-305/310). Giamblico (probabilmente 240-325) fa ampio riferimento agli oracoli ma nelle sue opere non ci sono citazioni vere e proprie. Proclo (412-485) cita diversi Oracoli Caldei centinaia di volte, ma ha espresso la sua stima per quelle scritture in un altro modo: la sua impresa d'armonizzazione del sistema degli Oracoli Caldei con quello Orfico dà agli Oracoli Caldei un grado molto elevato ma questo principio di sistematizzazione è un problema fondamentale per una comprensione obiettiva. C’è il rischio di una loro reinterpretazione quasi completa alla luce della filosofia neoplatonica. La situazione è simile in Damascio (circa 462-dopo il 532).
Sinesio di Cirene (c. 370 a 412) conosce altrettanto bene gli Oracoli Caldei e le loro varie forme di esegesi. La posizione di Mario Vittorino è vicina a quella di Sinesio, ma il valore della sua testimonianza, tuttavia, è molto più ridotta, contribuisce certamente il fatto che egli ha scritto in latino. La stragrande maggioranza di riferimenti cristiani antichi agli Oracoli Caldei sono sicuramente polemici, o almeno negativi e contribuiscono poco alla conoscenza del testo o del contenuto degli Oracoli Caldei in sé.
Il testimone principale nel Medioevo è Michele Psello ( XI ° secolo), che ha lasciato quattro sintesi del sistema caldaico neoplatonica, che tuttavia, si differenziano per una serie di dettagli. Ha lasciato anche una raccolta di testi oracolari, con il commento, dal titolo Ἐξήγησις τῶν χαλδαϊκῶν ῥητῶν (= oracoli caldei commento, op. phil. II 38). Questi frammenti sono accompagnati da testimonianze sulla loro esegesi neoplatonica, però le spiegazioni personali di Psello adottano una prospettiva cristiana.
Il passaggio dal Medioevo ai tempi moderni è segnato dalla figura di Giorgio Gemisto Pletone (circa 1355-1452), che attribuisce agli Oracoli Caldei - che conosce attraverso Psello - la dignità di un grande antichità, perché li attribuisce a Zoroastro e li interpreta come la fondazione di una filosofia e una religione universale con cui tutte le altre religioni saranno sostituite. Nel 1438-1439, Pletone prende parte al Concilio di Ferrara e Firenze. Questo fa di lui un importante precursore del neoplatonismo che prenderà forma nel XV° secolo, con Marsilio Ficino (1433-1499) in particolare.
Ficino sfrutta gli Oracoli Caldei principalmente nella Theologia Platonica . Agostino Steuco (Steuchus, 1496/1497-1548), che cerca nel suo philosophia perennis di sviluppare una nuova dottrina sistematica complessiva del cosmo, utilizza l'Oracoli Caldei, come Francesco Patrizi (1529-1597) nella sua Nova de universis philosophia . Il Zoroastro e eius cccxx Oracula chaldaica , di Patrizi, pubblicato nel 1591, è la prima redazione dei frammenti caldei di Proclo, di Damascio, Simplicio, e Sinesio di Olimpiodoro - una realizzazione pionieristica in materia di filologia.
Lo studio storico-critico degli Oracoli Caldei inizia con il Commentatio di coelo empyreo di Carl Thilo (Halle 1839-1840), seguita da Wilhelm Kroll ( Da oraculis chaldaicis , Breslau 1894). Tra i principali studi dei dettaglio, si dovrebbe ricordare lo studio di Willy Theiler: Die chaldäischen Orakel und die Hymnen di Sinesio (Hall 1942). Ma è di Hans Lewy il lavoro più ambizioso sugli Oracoli Caldei: Gli Oracoli caldei e la Teurgia, Il Cairo 1956 (1978 2 2011 3 da Michel Tardieu). Tuttavia, il suo interesse si perde sistematicamente in qualche speculazione che, alla luce dei testi, non convince.
La ricerca corrente è stata particolarmente segnata dalla pubblicazione del Oracoli Caldei di Edouard des Places (1971 , 1996 3 ), che comprende in aggiunta gli scritti caldaici e altri estratti dallo stile caldeo citati da Psello e altre fonti ancora, ma questa edizione è considerata incompleta. Un’editio maior dovrebbe idealmente dare tutte le citazioni e le storie con i loro rispettivi contesti.
II. Teologia e metafisica
1. Πατήρ, δύναμις eνοῦς
Patér, dinamis e nous
La teologia e la metafisica degli Oracoli Caldei sono essenzialmente determinate dal desiderio fondamentale di attribuire al creatore del mondo il secondo posto nella gerarchia metafisica, e di supporre l'esistenza di un intelletto primo, che si distingue dal creatore per un livello più elevato di trascendenza (Oracoli Caldei 7). Questa distinzione è presente anche in Numenio (metà del II ° secolo) e in Alcinoo, e prefigura la ἕν, "l’Uno" di Plotino. Un'altra entità si distingue dal Padre, la Dynamis (Oracoli Caldei 3). Nel contesto degli oracoli , la Dynamis si pone tuttavia come l'energia creativa del Padre, che viene trasmesso dall’Intelletto alla materia.
La posizione e la funzione mediatrice della Ragione appare con particolare chiarezza negli Oracoli Caldei 8, 2s. : Secondo questo testo il demiurgo è rivolto sia al mondo della νοητά (noeta), che contempla, sia al mondo della percezione sensoriale, al quale egli dona una forma sulla falsariga del primo.
2. Ἅπαξ ἐπέκεινα, Ἑκάτη, δὶς ἐπέκεινα
apas, epekeina, Ekate, dis, epekeina
I termini e le ἅπαξ(apas), ἐπέκεινα (epekeina),δὶς (dis), ἐπέκεινα sono comuni nella tradizione calde-a. Secondo la testimonianza dei neoplatonici, ἅπαξ ἐπέκεινα significa "semplicemente trascendente": un νοῦς (nous) e semplice nella sua essenza, che si concentra esclusivamente su se stesso, in una prospettiva trascendente. Al contrario, δὶς ἐπέκεινα νοῦς designa come "doppiamente trascendente" il “nous” demiurgico al di là del mondo, la cui essenza riunisce i due aspetti che la collegano, uno all'intelligibile e l’altro alla percezione .
Padre H. D. Saffrey ha sviluppato una tesi secondo cui queste formule devono essere considerate come interpretazioni delle parole caldee siriane "had" e "Hadad", che provengono dalla teurgia, la prima significa "uno", l'altra è utilizzata come abbreviazione del nome divino Ba’al Hadad, interpretato come "Had-ha" , "uno-uno". Eppure è facile vedere che le espressioni di ἅπαξ ἐπέκεινα e δὶς ἐπέκεινα non sono in grado di spiegare "had" e "Hadad". La parola chiave è in realtà "had", o ἕν. Un’esegesi sostituendo ἕν a ἐπέκεινα lascerà precisamente cadere il fattore determinante. Al contrario, l'uso di "had" e "Hadad" può quindi essere inteso come un tentativo di interpretare i significati forniti negli Oracoli Caldei .
In Proclo, (Crat. 51, 26 - 52, 3,) che cita gli Oracoli Caldei (5), νοῦ νόος e δὶς ἐπέκεινα, intese come denominazioni del demiurgo sarebbero identifiche. E 'possibile che una tradizione antica di esegesi oracolare come già gli stessi oracoli identifichino δὶς ἐπέκεινα e νοῦ νόος, che dovrebbe però essere inteso come un'entità superiore, che è ancora al di sopra della νοῦς semplice. Questo “semplicemente trascendente” è oltre il mondo materiale o ἐπέκεινα o ἅπαξ ἐπέκεινα. Il νόος νοῦ per contro, è ancora al di là ed è doppiamente trascendente ἐπέκεινα τοῦ ἐπέκεινα o δὶς ἐπέκεινα.
In questo senso, il termine δὶς ἐπέκεινα, ma anche l'espressione di complementare ἅπαξ ἐπέκεινα, diventano immediatamente comprensibile.
Ecate appare come la terza entità e, quindi, l'equivalente di Dynamis . Ma mentre questa denominazione associasotto forma triadica di nomi ritorna in modo dominante nella tradizione caldea, la menzione di Ecate è rara nei stessi frammenti superstiti. Come prova della sua posizione in una triade potenziale, si può citare Oracoli Caldei 50. Ecate / Dynamis , è spesso legato, nella tradizione caldea, con la vita o la sua produzione.
3. Triadologie
Il Padre e l'Intelletto, che con la Dynamis compongono la triade, sono identici al Padre e all'intelletto degli Oracoli Caldei 7. Ma in Oracoli Caldei 7, la distinzione tra il Padre e l'Intelletto si basa proprio sulla dicotomia tra l'intelletto come una seconda entità subordinata, e il Padre come prima entità superiore. Questo non lascia spazio a un'altra entità precedente la triade come nei sistemi del più tardo neoplatonismo.
Il commento di Proclo ( In Parm . 1070, 15-29 C.) merita più attenzione degli anonimi filosofi, che attribuiscono effettivamente il primo posto della gerarchia metafisica al Padre, che è con la Dynamis e l’Intelletto una triade. Chiaramente, gli Oracoli Caldei sono stati spiegati come abbiamo detto. Pierre Hadot ha dimostrato che attraverso i filosofi citati in forma anonima, Proclo cita Porfirio, soprattutto il commento di Parmenide,soprattutto gli viene attribuito il palinsesto di Torino. La testimonianza dei commenti sugli Oracoli si riferiscono specificamente al rilascio di una trinità che coinvolge Padre,Dynamis e intelletto, e il loro rapporto con la trascendenza assoluta del Padre. Fino a che punto si tratta di una interpretazione pertinente degli Oracoli Caldei , lo stato della conservazione non lo può decidere. Nella recensione precedente, cerchiamo di comprendere la nascita dell'intelletto dal Padre, o, per dirla con le parole di Plotino, la ἕν come parte della triade. Tuttavia, la questione non è affrontata esplicitamente negli Oracoli Caldei, almeno non nelle formulazioni ambigue. Se non in Porfirio, le cui spiegazioni sono - è vero - conservate in modo frammentario, né in Proclo che si cimenta nel provare i loro rispettivi punti di vista rispetto a tale testo oracolare.
III. Cosmologia
1. L'anima del mondo
Nell’oracolo 35, il "vento forte[potente, pulsante]" dovrebbe essere interpretato come l'anima del mondo: l'uso del termine πνεῦμα [pneuma] per designare l’anima si ritrova in Sinesio, che fa spesso riferimento gli oracoli. E 'allo stesso modo negli Oracoli 38 e 53 bisogna intendere: l'anima è posta al di sotto dell'Intelletto demiurgico. Secondo l’oracolo 51, l'anima originale esce da Ecate, dea e anima del mondo, quindi, non sono identici. Nel neoplatonismo posteriore a Plotino, la parte inferiore dell'anima è designata come φύσις [fisis = natura], tutto porta a credere che gli Oracoli utilizzano già questa parola in un modo simile (vedi Oracolo 70).
2. Αἰών[Aion = Eone]
Si trova in Proclo ( In Tim III 14, 3-10.) che lo ricollega agli Oracoli Αἰών, è in questo contesto la stretta relazione dell’ Αἰών con il cosmo intelligibile. Ma non c'è un singolo frammento che contiene quella frase.
3. L'espressione νοῦς πατρικός [Nous Paterikos]
Si potrebbe considerazione che siano designati con il nome νοῦς πατρικός tanto il Padre quanto l’Intelletto” (Oracoli 37.e 39), o l'intelletto stesso, il cui speciale rapporto con il Padre potrebbe essere evidenziato così. Ma l'espressione potrebbe invece esprimere il ruolo di "padre" esercitato dall’Intelletto stesso in rapporto alle entità subordinate (Oracoli 38. 53. 108).
4. Ἰδέαι, πηγαί e ἀρχαί [Ideai,pegai e archai = idea, sorgente e governo]
In Oracoli Caldei 37 si distinguono due tipi di Idee. Le Idee generali la procedono dal Padre e sono spiegate e suddivise in varie idee per l'attività specifica dell’Intelletto (v. 4-5).
La produzione delle idee dal Padre è descritta come proveniente da una "fonte". Ma questa formulazione metaforica non è di un’univocità completa: anche Rhea/Ecate nell’Oracolo 56 è definita come νοερῶν μακάρων πηγή τε ῥοή τε, [noerhon makaron pege te roe te], e come πηγαί [pegai] [cioè fonte o sorgente] nell’Oracolo 49 pur dovendo essere considerate entità che stanno emergendo da altre realtà. Il tardo neoplatonismo farà di questa espressione un termine tecnico attribuendo alla gerarchia degli esseri un luogo proprio a πηγαί [pegai, fonte], diverso da quella degli altri ἀρχαί [archai, governo], nominati nell’Oracolo 49 nello stesso tempo che πηγαί.
5. Ὑπεζωκώς τις ὑμὴν νοερός et ὑπεζωκὸς πυρὸς ἄνθος
Upezokos tis umen noeros e upezokos puros arthos
processo ......... e processo fiore del grano
La rilevante espressione dell’Oracolo 35: ὑπεζωκὸς πυρὸς ἄνθος (upezokos puros arthos) è ripresa da Proclo ( In remp. II 225, 3-4, cf anche. Th Pl V 39 p 146, S. 17-20 - W..).Questa è messa particolarmente in relazione al Demiurgo, che potrà indicare una identità originale del ὑπεζωκώς [Upezokòs] con lui. È nella stessa direzione che dobbiamo interpretare gli Oracoli 35 e 6: ὑπεζωκὸς πυρὸς ἄνθος [ Ùpezoròs puros arthos](Oracolo 35) e ὑπεζωκώς τις ὑμὴν νοερός [ùpezokòs tis ùmèn noeros] (Oracolo 6) sono espressioni che denotano l'Intelletto, nominando la sua essenza di separazione o dissociazione, è la stessa cosa che appare nell’Oracolo 37.
6. Ἔρως
L’oracolo 39 (Proclo Tim . II 54, 5-16) combina tre frammenti isolati di Eρως [Epos], di cui anche nell’oracolo 42. Eρως si presenta come un ente che, procedendo dal Padre e inviato da Intelletto, regola sia il mondo intelligibile sia il mondo materiale, garantendo la loro coesione.
7. Συνοχεῖς
23 I συνοχεῖς [sunocheis] connettivi sono entità che devono essere considerate come particolari tipi di Ἔρωτες [epotes]. C'è qui una certa analogia con le idee generali e le idee specifiche e al tempo stesso un grado di complementarità: l’aspetto di separazione, poiché corrisponde con il pensiero / νοεῖν, appartiene inizialmente alle Idee generali poi alle idee specifiche, allo stesso modo in cui la coerenza del Tutto appartiene all’ Ἔρως come entità attiva della forma universale e agli συνοχεῖς [sunocheis] come entità attive particolari , di forma particolare .
8. La dottrina Caldea dei tre mondi: ἐμπύριος, αἰθέριος, ὑλαῖος κόσμος
Anche se non ci sono frammenti corrispondenti, i fondamenti della dottrina dei tre mondi può essere dedotta da prove conservate. Secondo loro, il πύριος ἐμπύριος κόσμος [purios, empupuros,kosmos] è il regno delle Ιdee intelligibili, mentre il mondo è ὑλαῖος κόσμος [ulaios kosmos] il mondo materiale terrestre. La terza sfera dell’ αἰθέριος κόσμος [aitherios kosmos] differisce da loro in quanto sfera delle stelle, che occupa una posizione intermedia. Senza dubbio questa organizzazione sistematica costituisce una realizzazione specifica dell'idea che le stelle appartengono in parte al corpo visibile e materiale e, dall'altra, agli esseri intelligibili.
9. Strutture e le forze del cielo
L'idea di diverse sfere celesti appartiene ad una rappresentazione del mondo ampiamente diffusa nell'antichità. La classificazione di consueto prevede il firmamento delle stelle fisse come la sfera più esterna e le sfere dei sette pianeti - tra cui il sole e la luna - disposte concentricamente nell'ambito finale. La disposizione delle sfere Caldaica corrisponde a uno dei due ordini possibili:
ORDINE PLATONICO: ORDINE CALDEO:
LUNA LUNA
SOLE MERCURIO
VENERE VENERE
MERCURIO SOLE
MARTE MARTE
GIOVE GIOVE
SATURNO SATURNO
Le denominazioni ζωναῖοι ἄζωνοι [zoraios e azorois] si riferiscono ai pianeti e stelle fisse. Corrispondono alle ζωναῖοι ζῶναι [zoraios, zorai], le "zone", o più letteralmente, "cinghie" o "cinture", ossia traiettorie che disegnano una cintura. Per contro, gli ἄζωνοι [azoroi] non corrispondono a "zone", ma ruotano intorno alla terra come costellazioni fisse, e sempre nello stesso modo.
Infine, il termine κοσμαγοί [kosmagoi], che non è esplicitamente attestato in qualche frammento, ma è regolarmente assegnato agli Oracoli Caldei come espressione isolata, designa delle entità astrali, nessuno può comunque dire nulla di più preciso su questo argomento.
10. Materia (Πατρογενὴς ὕλη)[patrolenes ulè]
La sfera sublunare è designata come cosmo materiale o ctonia. Secondo gli Oracoli Caldei, la materia è πατρογενής [patrogenes] (Oracolo 173; πρωτογενής dei posti). Alla base, sembra esserci l’Oracolo 34: il frammento descrive la nascita della materia e delle Ιdee, che in questa azione, in modo vale a dire fecondante, ribadisce la rappresentazione platonica della materia e delle Ιdee in quanto principi materni e paterni, rispettivamente, del mondo visibile.
IV. L’Anima, l’uomo, la salute
1. L'origine dell'uomo
L'uomo in quanto essere animato nato da una sorta di atto creativo divino realizzato dal demiurgo, che prende l'anima individuale umana dall'anima del mondo, l’oracolo 94 (l'anima e il corpo umano) è in gran parte basato su ciò che dice Platone nel Timeo (30b5-6) sull'anima del mondo e l'universo: l'intelletto si trova nell'anima, l'anima nel corpo. L’oracolo 44 stabilisce un ulteriore elemento, la scintilla dell'anima, ψυχαῖος σπινθήρ [psichaios opinther]. Secondo l'esegesi neoplatonica, questa rappresenta in qualche modo "l’uno in noi".
2. L'impulso alla discesa dell'anima
La sede originaria dell'anima è nella sfera delle stelle fisse, al di sopra dei pianeti. Questo corrisponde analogicamente al posto dell’anima del mondo di sopra delle stelle. Le anime singole si trovano immediatamente sotto. La discesa dell'anima è vista sotto due aspetti contraddittori. Da un lato, si presenta come un servizio temporaneo, più spesso, è rappresentato come una sorta di scivolata o caduta.
3. La discesa dell'anima e il suo veicolo
Durante la discesa, l'anima subisce un cambiamento caratteristico. Attraversando le sfere, l’anima annette alcune delle particelle che le compongono e le accumula intorno a se come un involucro che viene chiamato il "veicolo" dell'anima, o πνεῦμα [pneuma]. Questo "veicolo" non è completamente immateriale, ma non è formata di materia terrena. L’anima diventa corporale solo grazie all’assorbimento di queste particelle.
La discesa attraverso le sfere porta al trono di Necessità (Ananke), il regno di Εἱμαρμένη (Destino) o Natura, che Psello oppose alla Provvidenza: "Dipendiamo Provvidenza quando agiamo intellettivamente; dalla sorte, quando agiamo come corpo "( op.cit. phil . II 38 p. 143, 24-144, 1 O'M. cf. anche Proclo, Th Pl. . V 24 p. 297, P. 32-35 = 87, 22-88, 1, SW).
4. Il punto più basso della discesa dell'anima
Le avvertenze circa la discesa nel mondo terreno hanno già mostrato l'immagine negativa di quest'ulti-mo. Troviamo altre conferme negli oracoli 134 e 163. Tra i motivi tipici associati con l'idea della materia e del mondo materiale, vi è quello della morte e del mondo sotterraneo, che è la rappresentazione tradizionale della vita terrena come morte, e della morte terrestre come vita. Il termine χθών [chthon] come designazione di terrestre-materiale, non solo significa "terra", ma associa con questo significato anche il termine "sotterraneo" (vedi Oracolo 114). L'aggettivo si applica ai demoni χθόνιος [chthonios] che sono particolarmente pericolose durante il rituale.
5. Teurgia come temporaneo aumento
3La nozione di teurgia è strettamente legata ai riti degli Oracoli Caldei e alla tradizione caldea. I termini composti da θεός [theos] e ἔργον [erion] o ἐργάζομαι [eriazomai], vengono inteso nel senso di azione esercitata sugli dèi , il rituale è intesa come il ravvicinamento degli dèi e del teurgo e, quindi, come l'ascensione dell'anima.
Oltre alle azioni di culto, il rituale comprendeva anche alcune parole che dovevano includere tra altre enumerazioni alcuni nomi divini esotici che son meglio conosciuti dai papiri magici. L'anima che ha dimenticato la sua origine nel suo passaggio al mondo terreno (secondo la teoria Platonica), deve ricordare e pronunciare la giusta parola del passaggio (Oracoli Caldei 109) - motivo ripetuto nelle rappresentazioni antiche dell'Ascensione dell'anima. Il τελετάρχης [teletarches], "maestro della consacrazione", può anche riferirsi a un sacerdote di un'entità celeste associata al rituale umano..
6. Il ritorno del veicolo dell 'anima
Il ritorno dell'anima nella sfera dell’etere include quindi anche il ritorno del πνεῦμα [pneuma] e la sua dissoluzione in conformità con la logica inerente alla discesa e risalita.
7. Il corpo dei teurghi
Informazioni sulla precarietà della carne (Oracoli Caldei 157) potranno valere per i comuni mortali, ma non per teurghi, gli Oracoli 128 e 129 sembrano andare in questa direzione. I due frammenti sono tradizionalmente associato alla salute del corpo. Tuttavia, un rapporto originale con la sorte del corpo dopo la morte sembra prevalere: e questo è soprattutto il corpo di teurgo. La possibilità di tale speciale trattamento è particolarmente indicato dall’oracolo 158 e il suo commento di Sinesio ( da ins . 9, p. 161, 12-162, 5, 162, 12-18 T.).Non possiamo sapere con certezza come l'idea di un corpo materiale nell'aldilà s’integri nella visione del mondo degli Oracoli Caldei , o se sia da attribuire ad un suggerimento ebraico o cristiano.
mercoledì 25 luglio 2012
Lo gnosticismo in Paolo di Tarso
di Musashi - 24/07/2012
Fonte: Centro Studi La Runa
Generalmente si pensa a San Paolo come il “vero inventore” del
cristianesimo quale noi lo conosciamo (Nietzsche) o più in generale
come dello strenuo difensore, “apostolo”, del cristianesimo e della
sua dottrina, suo convinto apologeta.
Tuttavia, gli studi pionieristici di Marcello Crateri, nonché le più
recenti ricerche di Elaine Pagels, hanno messo in luce il carattere
tipicamente gnostico di alcune importanti lettere di Paolo di Tarso.
Queste osservazioni però non sono mai state tenute in gran conto
perchè la biblistica di estrazione cattolica ha sempre visto
nell’insegnamento di Paolo di Tarso l’insegnamento anti-gnostico per
eccellenza. Inoltre, un altro elemento favorente il “mutamento di
paradigma”, sia in sede propriamente filologica sia nel contesto più
ampio della storia delle religioni, può essere il ritrovamento del
Codice Manicheo di Colonia (Codex Manichaicus Coloniensis), che
evidenzia l’influsso paolino sullo sviluppo dell’illuminazione del
profeta Mani, il Vivente, fondatore della corrente manichea.
Riassumendo lo “stato dell’arte”: vi sono tracce gnostiche rilevanti e
significative in alcune lettere di Paolo. Nella prima ai Colossesi
(1,19) si parla di Dio come del Pleroma, usando un termine tecnico
degli gnostici. Dunque, Paolo enuncia un tema tipico della teologia
gnostica. Purtroppo l’infelice traduzione attuale proposta dalla
Chiesa fa perdere completamente il sapore originario, e appare
piuttosto edulcorata: vi si legge che in Gesù Cristo dimora la
“pienezza” (non si capisce di cosa…). Si suole forse sottintendere la
“pienezza divina”. Ma questo ha poco senso. Non si capisce perché
parlare di pienezza, termine fra l’altro assente dalla teologia
cattolica.
Se invece assumiamo l’espressione per quello che è, cioè Pleroma (come
termine tecnico teologico, in effetti ancora in uso nel cristianesimo
ortodosso), tutto trova pieno significato e chiarezza. Secondo la
gnosi valentiniana Gesù è chiamato il “fiore del Pleroma” in quanto
ultimo Eone ad essere emanato dopo la caduta. Esso sarebbe stato
emanato dalla totalità degli altri eoni, da tutto il Pleroma nella sua
interezza. Ecco perché in lui risiede il Pleroma. Ovviamente la
traduzione “addomesticata” proposta oggi cela la malizia
interpretativa per non far emergere questi significati e questi
richiami. Tuttavia è di una evidenza lampante la ricchezza di
significato che assume ogni singola espressione se sottoposta alla
giusta esegesi.
Ancora: Paolo accetta la tripartizione degli uomini tipica degli
gnostici. In Corinzi 2, 11-15
“Esponiamo sì la sapienza ai perfetti (i perfetti sono, secondo la
Gnosi, gli pneumatici quelli che hanno ricevuto l’iniziazione segreta
cioè il Battesimo di Fuoco, N.d.R.)…ma non una sapienza di questo
mondo… esponiamo una sapienza velata di mistero. [….]. L’uomo psichico
(psychòs) non accoglie le cose dello Spirito: per lui sono follia e
non le può intendere… L’uomo pneumatico giudica ogni cosa ma da
nessuno egli è giudicato”.
Più gnostico di così…
Ancora: San Paolo nel parlare della natura del Corpo di resurrezione,
lo chiama Corpo Glorioso, facendo intendere che non sarà un corpo
fisico, perché “la carne e il sangue non possono ereditare il Regno di
Dio” (II corinzi 3,7; I corinzi 15, 50). Precisa anche che esiste una
distinzione fra un il “corpo animale” e il “Corpo Spirituale” (I
cor.15,44), proprio come nelle cosmologie gnostiche!
Il “corpo glorioso” paolino è un tema che non ricorre in nessun altro
testo canonico: esso invece è ben presente agli autori gnostici e se
ne dà ampia descrizione nella Pistis Sophia e nell’Inno alla perla.
Infine quando Paolo parla del Corpo Spirituale lo chiama “seminarium”
perché esso è un seme da far germogliare dentro di noi, come insegnano
l’ermetismo (che parla di Hermes come genio interiore, in-genium=
generato dentro) e quasi tutta la tradizione esoterica in genere.
Inoltre sembra che Paolo usasse una ben nota terminologia tipica degli
gnostici per caratterizzare le potenze ostacolatici. Mentre usa
raramente il termine ebraico “Satana” sembra più volte parlare di
“arconti” come uno gnostico.
“Nessuno degli Arconti di questo mondo ha potuto conoscere la nostra
Sapienza: se l’avessero conosciuta non avrebbero crocifisso il Signore
della gloria” (I Corinzi 2: 8), nonché: “La nostra lotta non è contro
la carne ed il sangue, ma contro i Principati e le Potestà, contro i
dominatori (Arconti) di questo mondo di tenebre, contro gli spiriti
del male sparsi nell’aria”. (Efesini 6. 12 ). Da notare che i nemici
qui non sono esseri del mondo infero o sotterraneo ma aerei, cioè
potenze del mondo intermedio, celesti. A conferma di ciò egli li
chiama Potestà e Principati cioè con i nomi che più avanti la Chiesa
userà invece per definire gli ordini angelici.
Non è peregrino notare dunque che le gerarchie angeliche usualmente
designate come “celesti” potessero essere intese da Paolo quali
angelici diabolici servitori del Demiurgo, quello che gli Gnostici
sapevano essere il falso dio dell’Antico Testamento. Se consideriamo
l’insofferenza di Paolo per la Legge ebraica veterotestamentaria, ecco
che il cerchio si chiude!
Il tema del Demiurgo, si badi, ricorre con una certa coerenza, anche
negli scritti apocrifi attribuiti all’Apostolo: nell’Apocalisse di
Paolo si fa menzione all’incontro con un vegliardo che presiede al
Settimo Cielo ed incapace di guardare in alto. Secondo la buona
interpretazione del Moraldi si tratterebbe del demiurgo Sebaoth, qui
reso con le caratteristiche iconografiche del Dio ebraico (cfr.
Apocalissi gnostiche, Adelphi.)
Ricorderei anche che uno dei primi a segnalare l’incompatibilità tra
il Dio veterotestamentario e quello di cui si fa testimone il Cristo,
fu il vescovo Marcione. E’ controverso ancora se Marcione debba essere
considerato propriamente uno gnostico. E’ certo però che egli denuncia
tutti gli aspetti del Dio ebraico che gli gnostici dichiaravano
“arcontici”. Ora, Marcione, seppur ritenuto in seguito “eretico”, fu
il primo a cercare di definire quali scritti cristiani fossero
canonci. Nel canone egli inserì proprio le lettere di Paolo; inoltre,
secondo la tradizione della Chiesa marcionita (in pratica estintasi
nel VI secolo) Marcione sarebbe stato discepolo diretto di Paolo.
A ben intendere Paolo doveva essere uno gnostico che la sapeva lunga,
oppure uno che condivideva buona parte di ciò che era patrimonio delle
comunità cristiano-gnostiche del suo tempo. Di sicuro però fece delle
scelte che lo portarono in una certa direzione che vedremo,
soprattutto alla luce del materiale documentario di recente
ritrovamento.
In effetti, la lotta di Paolo contro la comunità essena di Giacomo e
la fazione di apostoli che lo seguiva – Filippo, Tommaso ecc… – si
esprimeva nelle lettere paoline in un atteggiamento di chiusura verso
certe comunità del nascente mondo cristiano, che riconoscevano
l’autorità di Giacomo e che non a torto sono state identificate con le
prime comunità gnostiche scontro peraltro che si concretizzò anche nel
primo “concilio” di Gerusalemme (Atti, 15).
Il “gruppo di Giacomo” seguiva la corrente propriamente “essena”,
mentre lo stesso Gesù, impropriamente detto “nazzareno”, era un
Nazira, cioè seguace di una linea nazorea, piuttosto autonoma
all’interno del mondo esseno rispetto all’ortodossia ebraica, mentre
gli esseni tout court, pur essendo un ordine esoterico, erano
fortemente ancorati agli aspetti dell’ortodossia formale
dell’ebraismo. Così il gruppo esseno di Giacomo voleva ad esempio
mantenere la circoncisione ed altre usanze religiose e formali del
popolo ebraico, che poco avevano a che vedere sia con la Gnosi in
senso eminente sia con le aspirazioni di una religione
universalistica.
L’esoterismo nazoreo, diversamente da quello esseno, era assai più
autonomo rispetto all’ortodossia formale.
La lotta latente tra Paolo e le prime comunità esseno-gnostiche, che
emerge un po’ in tutte le lettere paoline, specie nella Lettera ai
Galati, non era dovuta però soprattutto a motivi di ordine
squisitamente teologico, tanto più che i contenuti gnostici in Paolo
sono così evidenti che nessuna traduzione edulcorata può nasconderli.
Qual’era dunque la linea di faglia fra le due posizioni?
Vi sono documenti come il già detto Codex Manichaicus Coloniensis, e
l’Apocalisse gnostica di attribuzione paolina (sopra citata) che
provano senza dubbio che sia Paolo sia i suoi avversari gnostici o
esseni gnosticizzanti, basavano il proprio insegnamento su dottrine di
tipo gnostico, forse già presenti in parte nella mistica giudaica del
tempo, assai più che sui testi convenzionali dell’Antico Testamento.
Vi è poi, ad ulteriore sviluppo e conferma, la “pista manichea”,
finora appena accennata. Si tratta cioè di riconoscere l’importanza
del pensiero paolino sullo sviluppo della gnosi manichea, a cui si
accennava prima. A ben guardare, questa filiazione dottrinale la
segnala proprio uno studioso cattolico, teologo e storico delle
religioni, l’arcivescovo Mons. Julien Ries, che segnala propriamente i
debiti del manicheismo verso la predicazione e le lettere di S. Paolo,
nonché la venerazione e l’emulazione di Mani nei confronti
dell’Apostolo, che si riflette in tutta una serie di dati,
dall’inclusione di alcune lettere di Paolo nel Canone Manicheo, sino
al tema della “visio Pauli”, esperienza mistica ripetuta dallo stesso
fondatore del Manicheismo.
Se si legge nel Codex Manichaicus Coloniensis ciò che afferma il
vescovo manicheo Baraia, non si hanno dubbi al riguardo. Fra l’altro
segnaliamo l’importanza di questo riferimento testuale perché Mani ha
mutuato dalla setta cristiana degli Elcasaiti una antica tradizione
che faceva risalire l’origine di certi insegnamenti segreti proprio a
Paolo di Tarso. Mentre non è da escludere che gli Elcasaiti fossero
una delle prime comunità cristiane a seguire Paolo, è quasi certo che
Mani, in gioventù aderì alla setta elcasaita. Questa linea di
collegamento è peraltro segnalato nella stessa opera di Ries.
Nello specifico, nel Codex Manichaicus Coloniensis, il manicheo Baraia
riporta alcuni passi paolini contestualizzandoli nell’insegnamento
esoterico dei principali testi dell’apocalittica e della mistica del
tempo, che i manichei accoglievano nel loro Canone.
Riportiamo qualcuno dei passi di Paolo citati da Baraia.
Paolo nella II Lettera ai Corinzi scrive:
“Verrò di nuovo alle visioni e rivelazioni del Signore. Conosco un
uomo in Cristo […] che fu portato in paradiso e udì parole segrete che
non è lecito agli uomini proferire” (II Cor. 12 – 2,4).
Baraia riporta anche come anche Paolo affermi di avere ricevuto egli
stesso certe rivelazioni di ordine spirituale in un momento di
rapimento estatico e di contatto diretto con Dio:
“Allo stesso modo in cui sappiamo che l’apostolo Paolo fu portato nel
terzo cielo, come egli stesso racconta nella Lettera ai Galati”. In
effetti è più probabile che il riferimento esatto fosse a Corinzi2 13,
2-4 [nota mia].
Risulta da questi passi, specie dal primo, che l’insegnamento di Gesù
è un insegnamento segreto, ottenuto in stati di elevazione
coscienziale se non di estasi. Tale comunque era il senso di queste
parole, nell’interpretazione del Canone manicheo. E in effetti vi
troviamo un tema ricorrente nella gnosi dei primi secoli, per cui
l’insegnamento esoterico non è un insegnamento che può essere compreso
da tutti. Solo gli “pneumatici”, dotati di una particolare
qualificazione legata all’anamnesi effettiva della loro origine
divina, possono giungere alla comprensione dei misteri celesti della
Gnosi, qui definite dal termine paolino di parole segrete (il
riferimento a parole segrete di Gesù è presente in tutte le fonti
gnostiche). Questi insegnamenti segreti sarebbero dunque stati in
possesso di Paolo, come degli gnostici, e in parte attraverso Paolo,
in parte per rivelazione diretta ricevuta da Mani, sul modello della
“visio Pauli”, sarebbero passati nella religione esoterica dei
Manichei.
Del resto il nome dei seguaci dell’eresia, o meglio della religione
manichea, di epoca medievale, fu quella di “pauliciani”: appunto da
Paolo, essendosi conservata memoria all’interno del movimento
manicheo, di questa filiazione paolina, alla luce delle conoscenze
attuali assai più chiara e giustificabile che non in passato.
Se assumiamo la presenza di una vena gnostica nella primitiva
predicazione paolina, dobbiamo però spiegare in cosa essa si
differenzi da quella di altre correnti gnostiche e soprattutto perche
essa sia stata poi facilmente assorbita dalla nascente ortodossia di
quella che gli gnostici chiamavano Grande Chiesa.
Le differenze appartengono all’ordine della teologico-politico e, de
relato, al ruolo che una struttura organizzata (settaria o ecclesiale)
avesse nei confronti dell’escatolgia.
Paolo di Tarso volle dare alla nascente Chiesa Cristiana una struttura
unitaria e gerarchica, cosa che né il gruppo esseno di Giacomo né le
comunità gnostiche (più o meno “imparentate con esso) erano disposte
ad accettare.
Questo è il motivo per cui l’insegnamento esoterico di Paolo è stato
accettato in seno a movimenti gnostici come la Chiesa di Mani, che
coniugavano il principio della Reintegrazione o restaurazione dell’
Unità primordiale con lo sforzo di creare una struttura ecclesiale
organizzata, che preservasse la purezza dell’insegnamento esoterico di
tutti i grandi iniziati che hanno svelato all’essere umano la via
della Gnosi (fra i quali Mani inseriva Zoroastro, Buddha, Gesù e
Paolo); questo approccio veniva per lo più rifiutato da numerose altre
comunità gnostiche come quella che ha espresso l’Apocalisse di Pietro,
ostili alla creazione della Grande Chiesa burocratica e centralizzata,
statalizzata, nella consapevolezza che questo avrebbe impedito ai per
i membri della comunità cristiano-gnostica di giungere in maniera
autonoma alla reintegrazione pneumatica.
Mani optò per l’approccio ecclesiale “strutturato” sulla scia della
teologia politica paolina, prendendo a modello il sacerdozio
zoroastriano, e soprattutto il sangha buddhista, che in quei secoli
andava assumendo una fisionomia marcatamente monastica. La Chiesa
cristiana nascente si appoggiò invece al modello burocratico imperiale
romano.
Posta così la differenziazione fra Paolo di Tarso, e dopo di lui Mani,
rispetto agli altri gnostici fu prevalentemente sul fronte politico
organizzativo, o più nobilmente sul versante teologico-politico di una
dottrina soteriologica.
Dal II-III secolo in poi, i membri della nascente “ortodossia”
(prevalentemente legati alla comunità cristiana di Roma), lasciando da
parte il carattere esoterico dell’insegnamento paolino, ne ha
sviluppato ed esaltato unicamente gli aspetti politici, che ben si
adattavano alla svolta che si stava producendo allora e alla nascita e
giustificazione di una burocrazia clericale.
L’esito di questa impostazione è stato il rafforzamento degli aspetti
exoterici, del resto facilmente assimilabili in una struttura “ampia”
a scapito della componente esoterica, pur ben presente sul piano
dottrinale alla mente di Paolo e in grado, come abbiamo visto
all’inizio, di fornire “sponde” dottrinali alla stessa scuola
valentiniana, e a quella marcionita. Per converso la chiesa manichea
rimase orientata come chiesa gnostica ed esoterica, anche se come
struttura essa assomigliava già ad una Chiesa gerarchizzata e
burocratizzata (si estendeva dalla Cina alla Spagna) più che ad una
semplice “comunità”. Tuttavia rimase sempre ancorata a livelli
iniziatici e con gradi di rivelazione segreta.
La cristianità ormai stabilizzatasi nella sua “ortodossia” ha invece
unicamente sviluppato gli aspetti ecclesiologici della teologia
paolina, dimenticando (o forse misconoscendo) gli elementi
tecnicamente gnostico-esoterici.
Si noti che, secondo le osservazioni di Elaine Pagels, sarebbero
proprio quelle lettere di Paolo di più certa provenienza (le sette
lettere di quasi certa attribuzione paolina) a contenere i lineamenti
gnostici suddetti. Mentre sarebbero le altre, più incerte per stile e
contenuto, nonché quelle chiaramente pseudoepigrafiche- le cosiddette
“pastorali- ad essere più in linea con la versione cattolica. In
particolare le due a Timoteo e la Lettera a Tito furono degli apocrifi
a lui attribuiti dai Padri della Chiesa in modo da far credere che
Paolo appoggiasse la loro interpretazione piuttosto che quelle
gnostiche.
Bibliografia:
The Gnostic Paul: Gnostic Exegesis of the Pauline Letters, Elaine
Pagels, Fortress Press, 1975
L’eresia. Dagli gnostici a Lefebvre, il lato oscuro del cristianesimo,
Marcello Craveri, Arnoldo Mondadori Editore, Milano, 1996
Le Apocalissi Gnostiche, Luigi Moraldi, Adelphi, Milano 1987.
Gnosi e manicheismo, Julien Ries , Milano, Jaca Book,2010, voll. 1-2
The Cologne Mani Codex (P. Colon. inv. nr. 4780) “Concerning the
Origin of His Body” Edited and translated by Arthur J. Dewey & Ron
Cameron. Society of Biblical Literature Texts and Translations Series
15. Missoula MT, Scholars Press, 1979.
Der Kölner Mani – Kodex. Über das Werden sciabiche Leibes, L. Koenen
Römer , Kritische Edition (Abhandlung Reinisch – Akademie der
Wissenschaften der Westfälischen: Coloniensia Papyrologica 14),
Opladen, Germania 1988.
Elchasai e gli Elchasaiti. Un contributo alla storia delle comunità
giudeo-cristiane, L. Cirillo, Cosenza, Marra Editore 1984.
sabato 21 luglio 2012
HENRY KISSINGER E IL GRUPPO BILDERBERG DIETRO ALL'OMICIDIO DI ALDO MORO
Articolo strano, con qualche spunto interessante, ma altrettanto con delle congetture leggermente avventate, condito da una verità di fondo. scomode!-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.
«Nel 1982, John Coleman, un ex agente dell'intelligence che poteva accedere a tutti gli stadi del potere e a tutte le carte segrete, rivelò che l'ex Presidente del Consiglio italiano Aldo Moro, «un alto esponente della Democrazia Cristiana, che si opponeva alla “crescita zero” e alle politiche di riduzione della popolazione, pianificate per il suo Paese, fu ucciso da killer gestiti dalla loggia massonica P2 [di Licio Gelli, amico di Henry A. Kissinger, membro del R.I.I.A. e del Gruppo Bilderberg , allo scopo di piegare l'Italia ai voleri del “Club di Roma” e del Bilderberg, volti a deindustrializzare il Paese e a ridurne in modo considerevole la popolazione».
In La Cerchia dei Cospiratori1, Coleman afferma che le forze della globalizzazione volevano utilizzare l'Italia per destabilizzare il medio Oriente, il loro obiettivo principale.
«Moro progettava di dare stabilità all'Italia attraverso la piena occupazione e la pace industriale e politica, rafforzando l'opposizione cattolica al comunismo e facendo in modo che la destabilizzazione del Medio Oriente fosse più difficile da ottenere»2.
Coleman descrive con dovizia di particolari la sequenza di eventi che paralizzò l'Italia: il rapimento di Moro e la spietata esecuzione della sua scorta, da parte delle Brigate Rosse [collegate, almeno per quanto riguarda la figura di Franceschini, con i vertici dei Liberali al Parlamento Europeo, esattamente con un funzionario del Parlamento Europeo, amico di Gaetano Martino, di Antonio Martino (membro della P2) e del padre di Alessio Vinci, come provano le lettere originali di cui sono in possesso , nella primavera del 1978 alla luce del giorno, e la sua successiva uccisione. Il 10 novembre 1982, in un'aula del tribunale di Roma, Corrado Guerzoni, un intimo amico della vittima, testimoniò che Aldo Moro – che è stato un leader politico per decenni – «fu minacciato da un agente del “Royal Institute for International Affaire” (RIIA), mentre era ancora ministro».
Coleman racconta che, durante il processo ai membri delle Brigate Rosse, «molti di loro testimoniarono di essere venuti a conoscenza dell'implicazione di un alto funzionario degli Stati Uniti nel pieno per uccidere Moro». Tra il giugno e il luglio del 1982, «la vedova di Aldo Moro testimoniò che l'omicidio di suo marito era stato il risultato di una serie di minacce alla sua vita, mosse da qualcuno, che lei definì una figura molto importante della politica degli Stati Uniti».
Quando il giudice le chiese se poteva dichiarare alla Corte cosa aveva detto precisamente questa persona, Eleonora Moro ripeté esattamente lo stesso concetto espresso da Guerzoni: «Se non cambi la tu alinea politica, la pagherai cara».
In una delle pagine più emozionanti del libro, Coleman scrive: «A Guerzoni, richiamato dal giudice, venne chiesto se era in grado di identificare la persona, di cui aveva parlato la signora Moro. Guerzoni rispose che si trattava di Henry Kissinger, come aveva già detto precedentemente».
Perché un importante uomo politico statunitense minaccia un leader di una nazione europea indipendente? La testimonianza sensazionale, e potenzialmente distruttiva delle relazioni tra Stati Uniti e Italia, di Guerzoni fu immediatamente diffusa da tutti i media dell'Europa occidentale, il 10 novembre 1982. curiosamente, nessun canale televisivo americano pose l'attenzione su quella notizia, anche se Kissinger venne condannato per complicità in omicidio. Ma questo silenzio non è poi tanto sorprendente, come capiremo meglio nella seconda parte del libro, quando parleremo del “Council Foreign Relations” [C.F.R. (Nota di Andrea Di Lenardo)]»3.
Daniel Estulin
L'eterno moribondo con una salute di ferro, ovvero questo ha una sua immortalità (o immoralita che lo fa vivere come Faust)
di Antonio Margheriti Mastino
L’ETERNO MORIBONDO
In questi giorni penso spesso a Giulio Andreotti. Cresciuto pure io come lui in mezzo a preti, sacrestie, suore, seminaristi, vecchie bigotte acide e amare, politici democristiani, storie dei papi, credo di capirlo al volo come pochi della mia età.
Penso a lui perché, proprio un anno fa, chi poteva saperlo (e furono parecchi) mi diede la ferale notizia: “Il Divo Giulio sta malissimo: è prossimo a spirare”. Si era in ottobre. Guardavo ogni mattina appena sveglio l’Ansa, per sapere se dovevo prepararmi l’abito buono per far visita alla cara salma nella sala nobile di Palazzo Madama. Passato ottobre, si fu in novembre: ancora niente! Passato novembre fu dicembre e, nel frattempo, cambiata la stagione, non era più buono manco l’abito che avevo preparato per il primo autunno. Chiamai chi poteva sapere e chiesi: “Ma insomma, il presidente muore o non muore?”. La risposta: “Muore, muore. É agli sgoccioli: spirerà da un momento all’altro. Questione di ore”. Ripreparo il vestito invernale, per essere pronto al momento della ferale notizia, ormai imminente. Infatti arrivò primavera: erano morti parecchi altri nel frattempo, lui no. Ritelefonai: “Porca miseria! Che sta spirando a rate?! Spira o non spira insomma?”. Risposta: “Spira, Spira. Questione di settimane”. Annamo bene: la prima volta era questione di minuti, la seconda di ore, la terza di giorni, la quarta di settimane. Va da sé che a luglio era già diventata questione di “mesi”. Ed è lecito sospettare diventerà di anni. Nel frattempo ho dovuto cambiare abito di circostanza quattro volte al mutar delle stagioni… e lui sempre lì, immobile, eterno, sfinge, a sfidare i secoli, disumano pure in quello che per tutti è il momento più umano. L’unico di una intera vita, per taluni. Non per lui.
Andreotti… Andreotti! Era lui il capo del governo quando io sono nato. Era lui il premier la prima volta che mi sono reso conto che esisteva la politica. Averlo rivisto un paio di anni fa, essermi emozionato e di nuovo meravigliato del fatto che me lo immaginavo sempre piccolo ma poi ogni volta era alto quanto me (1.82)… tutto questo l’ho sempre davanti gli occhi!
E’ disumano? E’ marziano come vorrebbe Bocca? No, è solo un “prelato” romano.
Mi meraviglio della gente che parla del “mistero” antico, impenetrabile e tremendo, di Andreotti. Profani! Non lo capiranno mai se per lui usano i comuni parametri per una carriera istituzionale laica qualsiasi, invece che i parametri clericali. Se non lo pensano e non lo vedono nell’agire, nella gestualità minimalista, nella modulazione della voce, nei pudori e nelle malignità della sua ironia gentile e velenosa, soprattutto nello scetticismo verso il mondo e nella diffidenza verso chiunque, nell’anaffettività… se non lo vedono, dico, per quel che è: un esponente del clero romano carrierizio d’altri tempi. La sua infanzia? Giocava coi seminaristi di Segni, tutti futuri cardinali. E’ tutto qui: un cardinale laico, al potere a vita come fin poco fa a vita e in aeternum si era preti, vescovi titolari, cardinali curiali, papi. Chiaro che proprio dalle stesse parrocchie e conventi ciociari e romani siano venuti tanti dei suoi voti.
TU PREGA, E STA ZITTO!
Oro, incenso e mafia. I voti della mafia? Quelli c’erano. Andreotti, però, non c’entra: ha lasciato che la storia e il triste carrozzone della commedia umana facesse il suo corso, che i capponi di Renzo si beccassero a vicenda mentre andavano al macello: lui non era né un pollo né il macellaio, neppure un cliente della macelleria; ma una persona rispettabile a cui un cliente del macellaio dei polli ha fatto “disinteressato” dono di due ottimi capponi. Lui che c’entra? A gallin “donata” non si guarda in culo. Altre parole per spiegarsi non serviranno tra loro: i gesti e il silenzio, dicono tutto; le parole, invece, compromettono. E questo è tutto. La storia “mafiosa” di Andreotti è tutta qui. Tutto e niente.
Capiamoci. Dentro il potere non ci stanno reati che non si possano commettere per mantenerlo: basta non commetterli mai in prima persona, non lasciare prove, tracce; soprattutto la fottutissima carta (cibo per i moralisti scrupolosi e giacobini) quella deve essere sempre a posto, immacolata, sulla carta tutto deve risultare in regola. Pulitisi con la “carta”, inizia la vita vera, la commedia della politica, il dramma del potere. Ecco: punto e a capo.
Diciamolo quindi. L’uomo di potere vero sa due cose: che i voti non hanno odore e non si respingono mai; che non si deve mai personalmente zozzare le mani, ma deve delegare sempre (distrattamente e come non lo riguardasse) lo zozzo a chi zozzo è già. Senza nominare mai l’innominabile. L’uomo di potere vero si fa capire dai silenzi, parla e acconsente coi silenzi, senza dire una parola accetta il male: “sceglie” dostoieskamente il male, se ne può trarre il suo bene o un bene maggiore del male. Per tutti (e se sono magistrati, a maggior ragione), egli “vede” fin dove è lecito vedere, “sa” finché è conveniente sapere. Accetta; in silenzio, senza dire una parola, lasciando che l’orribile, quasi per volontà degli arcana imperia, si faccia sotto, ricavando da esso moltiplicazione di pani e pesci, accetta il mistero tragico e glorioso del potere. Per un uomo di potere così, per un cardinale laico come lui, per un esponente del “clero” di quella stazza, a capo di un aleggiante redivivo Stato Pontificio (che pure in certe pratiche e liturgie temporali romane sembra persistere), l’importante è non dare mai pubblici scandali e il cattivo esempio. Che non deriva (ecco il prete romano) dal praticare certe cose, ma dall’ammetterlo pubblicamente. Dal nominare l’innominabile. Ecco allora la consegna del silenzio. Tu, prega e sta zitto. Eventualmente nega!
“Si non caste, tamen caute”, dicono i Gesuiti. E questo Giulio lo sa da quand’era chierichetto. Prega e fotti. Tacendo.
Persecuzione democratica di Andreotti!
Condannate Julius Evola!
24 aprile 2009 (18:09) | Autore: Marco Iacona
Ovvero: apologia di fascismo, Cassazione, condanna, Evola, FAR, fascismo e sentenza-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-
Purtroppo la storia della destra italiana è ancora piena di lacune, di episodi importanti mai del tutto chiariti, di questioni rimaste in sospeso addirittura da più di mezzo secolo.
Sul processo dei “Fasci di azione rivoluzionaria” o semplicemente Far (sentenza di primo grado novembre 1951), ad esempio, se ne sono scritte e dette tante. Negli anni sono stati pubblicati libri di valore assai diseguale, fra questi quello oramai storico di Pier Giuseppe Murgia (Ritorneremo!, SugarCo) e quello assai più recente di Antonio Carioti (Gli orfani di Salò, Mursia), in questi giorni poi è stato pubblicato il fascicolo speciale di marzo de l’Europeo diretto da Daniele Protti (L’estrema destra. Da Salò a Fiuggi), contenente anche cronache degli anni Cinquanta in verità ben informate.
Francamente non sappiamo bene perché di questo processo -parte essenziale di una lunga e complessa vicenda politico-giudiziaria- che vide coinvolti 36 giovani e meno giovani dell’allora neonato Msi e con essi il cinquantenne Julius Evola, si è quasi sempre scritto in relazione alle indagini della questura romana (il questore era allora il dottor Saverio Polito) e della sentenza di primo grado, ma non si è mai fatto riferimento (e non si è mai entrati nel cuore di alcune decisioni importanti), alle due successive sentenze che forniranno indicazioni altrettanto rilevanti (soprattutto il II grado): quella di appello (luglio 1954) e quella della Cassazione (dicembre 1956).
Forse perché i documenti sono tuttora in parte ignoti o forse perché, fino ad oggi, più che voler ricostruire una storia -anche giudiziaria- della destra si è preferito saltare di qua e di là alla ricerca di argomenti sui quali erigere il totem di un passato “accettabile” dalla sinistra ma anche, tutto sommato, da certa destra. Così facendo però ci si è andati ad infilare nel vicolo cieco di veri e propri paradossi. Per non dire di falsità.
Prendiamo come esempio, ed in breve, il caso Evola, d’altra parte il più emblematico ed interessante. Da decenni si legge anche nelle biografie più accreditate che Evola sarebbe uscito dal processo dei Far assolto con formula piena, ed evoliani, evolisti, evolini ed affini (ma anche, purtroppo, studiosi molto seri), si sono sempre accodati a questa versione in verità parziale delle vicende giudiziarie di Evola. Facendo sorgere l’ulteriore paradosso di plaudire ad una sentenza di uno Stato italiano non certo amico, che mandava assolto uno dei suoi più convinti critici ed oppositori. Come a dire: Evola era innocente, ovviamente e per fortuna…
Nello specifico, la versione ufficiale ma vera solo a metà è che Evola sarebbe stato assolto dal reato previsto dall’art 1 della legge 1546/47 (in tema di ricostituzione del disciolto partito fascista) per «non aver commesso il fatto» e dal reato di cui all’art 7 della stessa legge (aver difeso idee proprie al fascismo per mezzo di azioni esecutive di un medesimo disegno criminoso tramite le sue collaborazioni ai periodici La sfida e Imperium diretti da Enzo Erra e -soprattutto- con la pubblicazione, alla fine del 1950, degli 11 punti di Orientamenti), «perché il fatto non costituisce reato».
Fascicoli giudiziari alla mano, però, la questione è invero più complessa. Torniamo ai primi giorni dell’affaire-Evola. Dopo l’ondata di arresti del 23-24 maggio 1951 (Evola viene prima piantonato e poi prelevato dal suo appartamento romano), il 12 giugno successivo la questura di Roma lo presenterà come «Maestro e padre spirituale» di una «conventicola di esaltati». E poi dirà ancora, come si può leggere fra le carte processuali: «L’Evola aveva goduto, in passato, una modesta e ristretta fortuna e popolarità come cultore di pretenziosi studi esoterici (cioè scienza dei pochi) e di discipline magiche di origine orientale. L’attività dell’Evola in campo culturale era stata proteiforme, ma, in qualunque settore, di scarso successo: si atteggiò anche a poeta e pittore e, nel campo delle arti figurative, si fece diffusore in Italia della tendenza pittorica del dadaismo. Politicamente fu fervente sostenitore del fascismo ed, in particolare, della politica razziale (per lungo tempo fu collaboratore della nota rivista di Preziosi, “La vita italiana”) ed anzi, in tal campo, fu talmente oltranzista, da destare la preoccupata attenzione delle gerarchie del tempo; recatosi, infatti, in Germania, durante la guerra, vi tenne un ciclo di conferenze sul problema razziale».
I toni usati della polizia non sono dei più lusinghieri, e proprio per questo Evola terrà a precisare durante l’interrogatorio «l’arbitrarietà» del giudizio della polizia e «l’alta estimazione da lui goduta nel mondo culturale». Insomma si tratta di due mondi -di due culture (delle parti di due “barricate”)- che si scontrano e che continueranno a scontrarsi ancora per lunghissimo tempo…
Il filosofo verrà difeso da due grandi giuristi: da Francesco Carnelutti e dall’ex ministro della Rsi Piero Pisenti (e non solo dal primo come si è sempre scritto!); alla fine del processo di I grado la sentenza ne riabiliterà la figura, tanto che per riassumere si può dire che l’Evola “maltrattato” da una polizia romana tutt’altro che tenera, si trasformerà in poco più di qualche mese, per la I sezione della Corte d’Assise di Roma presieduta dal dott. Angelo Sciaudone, in un «profondo pensatore». La difesa riuscirà a smontare pezzo dopo pezzo l’impianto dell’accusa, e porrà sotto la luce dei riflettori la fama di grande saggista di cui godeva Evola fin dagli anni Trenta.
Ma la “novità” se di novità si può parlare a ben 55 anni dagli avvenimenti qui narrati, è che la procura della Capitale non si accontenterà per niente di quella sentenza assolutoria, e deciderà di ricorrere in appello.
Durante il nuovo processo, conclusosi nell’estate del 1954, il pubblico ministero Pietro Manca terrà ad analizzare fin nei particolari il contenuto di Orientamenti: «l’opuscolo si concretizza in un inno a quelle che furono idee proprie al fascismo…»; le frasi di Orientamenti somigliano sin troppo a quelle della “Dottrina del fascismo” di Mussolini (pietra di paragone utilizzata dall’accusa): la condanna del liberalismo, della democrazia e del socialismo, l’esaltazione dell’idea e della religiosità, la condanna della “vita borghese” sembrano elementi fin troppo comuni ai due scritti, in più Evola avrebbe esaltato «le persone del fascismo» e offeso la democrazia. «Né vale dire», come era stato fatto durante il I grado, continua il dottor Manca, «che l’Evola è un tradizionalista ed un controrivoluzionario o che le idee così dette “fasciste” sono difese da lui non in quanto “fasciste” ma nella misura in cui sono anche controrivoluzionarie, perché anche nel caso in cui taluna delle ideologie esaltate, non possa considerarsi propria la fascismo, l’esaltazione di tali ideologie, in quanto collegate con il fenomeno del fascismo, costituiscono pur sempre il reato di apologia el fascismo». Quest’ultima affermazione si riferisce peraltro ad una recente sentenza della Cassazione datata 5 maggio 1954.
È il capovolgimento della sentenza del ’51 che aveva definito Evola un «profondo pensatore». La Corte d’appello assumerà in pieno le motivazioni del P.M. e nella sentenza d’appello giudicherà Evola reo di apologia del fascismo. Così Evola (ma non solo lui), andrebbe condannato «in ordine al delitto di apologia del fascismo» ma ad impedirlo c’è la recente amnistia (datata 19 dicembre 1953), per i reati di cui agli articoli 1 e 7 della legge 1546/47.
L’avventura giudiziaria di Evola si conclude così, con questo tipo di soluzione. Nella sostanza Orientamenti pur sposando idee “tradizionaliste” è uno scritto che inneggia al fascismo. La sentenza -figlia del suo tempo, come peraltro lo era stata anche quella del ’51- appare non poco singolare ove non riconosce che idee “tradizionaliste” possano non essere considerate “fasciste”. La tradizione storica che si oppone alla democrazia è dunque meritevole di condanna, poiché ad essa lo stesso fascismo (o parte di esso), si riferì a più riprese. Condannando il fascismo si condanna dunque anche ciò che storicamente lo precedette.
Nelle «bassure attuali», commenterà Evola nella sua autobiografia (Il cammino del cinabro), ove tuttavia manca qualsiasi cenno alla sentenza di II grado, «pei più altro non esisteva che l’antitesi fascismo-antifascismo, e non essere democratici, socialisti o comunisti equivaleva automaticamente ad essere “fascisti”».
Alla fine del 1956 la suprema Corte di Cassazione esaminerà i ricorsi degli ultimi protagonisti del processo dei Far. Evola è già uscito di scena ma le sentenza riguardano ancora sei iscritti al Msi. La Cassazione accoglierà solo in parte i ricorsi di due di loro, rinviando così il giudizio alla corte di Assise di appello Perugia. Altri dettagli su questa vicenda, finora quasi del tutto oscura, si trovano all’interno di due saggi che verranno presto pubblicati dall’editore Giovanni Oggero, Arktos-Carmagnola (su Studi evoliani) e soprattutto sul bimestrale Nuova storia contemporanea.
La degenerazione del cristianesimo: oggi come ieri
IL CULTO DEI SANTI
Scrive Karlheinz Deschner nel volume primo (parte prima) della sua monumentale ed eccellente Storia criminale del Cristianesimo :
Paolo, l'apostolo dei gentili, con Giovanni pose le basi del cristianesimo, egli era in guerra ideologica e di potere con gli ebrei e alleato con i gentili convertiti, i cristiani presero a chiamare gli ebrei assassini di profeti, però anche la chiesa avrebbe sterminato profeti cristiani, come anche Elia aveva sterminato 450 sacerdoti di Baal.
Per Giustino gli ebrei avevano meritato la loro sorte, per Eusebio essi erano responsabili delle colpe di tutto il genere umano, alle fine furono accusati di aver ucciso Dio, Tertulliano diceva che gli ebrei non erano destinati al paradiso, nel IV secolo, l'epoca di Costantino e del cristianesimo trionfante, l'ostilità verso gli ebrei divenne sempre più violenta, per opera di Ippolito, Attanasio, Ambrogio e Agostino.
Cipriano, nel terzo secolo, odiava gli ebrei, Efrem (306-373) chiamò gli ebrei assassini di Dio, Crisostomo (354-407) chiamò gli ebrei criminali e assassini, per lui la sinagoga era un bordello e un covo di briganti, per Clemente d'Alessandria, Origene e Crisostomo gli ebrei dovevano essere schiavi dei cristiani, allora ad Antiochia, Roma e Alessandria vi erano importanti comunità ebraiche.
Il sinodo di Elvira del 306 proibì ai cristiani, con aspre pene, di mangiare con gli ebrei e di celebrare con loro matrimoni misti, il sinodo successivo di Antiochia proibì di celebrare assieme a loro la pasqua e di fare visita alle sinagoghe, nel 315 Costantino dichiarò la conversione alla religione ebraica un delitto capitale e proibì i matrimoni misti con gli ebrei.
Progressivamente gli ebrei furono privati della capacità di fare testamento, allontanati dagli impieghi, dalla corte, dall'esercito e nel 438 furono dichiarati inabili a ricoprire qualsiasi incarico statale, perciò furono costretti a dedicarsi alle attività finanziarie e commerciali.
Sotto i romani, le persecuzioni legali, cioè non spontanee, degli ebrei della diaspora, iniziarono nel IV secolo, agli ebrei fu proibito di possedere schiavi, le loro sinagoghe erano incendiate e i loro beni espropriati dai cristiani, è accaduto per tutto il medioevo e anche sotto il nazismo, anche i pogrom sono stati spontanei od organizzati dallo stato.
Nella seconda metà del II secolo Marcione fu l'autore della versione più antica del Nuovo Testamento, Marcione sosteneva che il dio del vecchio testamento aveva creato il mondo e quello del nuovo testamento, che era diverso, lo aveva salvato dal peccato.
La chiesa cattolica sorse tra il 160 e il 180, quando fu definito il canone cattolico, in questa evoluzione Paolo era stato in aperto contrasto con i cristiani ebrei, ebioniti e nazareni, che non credevano alla divinità di Cristo.
Tra i cristiani già nel II secolo erano tante le sette in lotta tra loro e con i Giudei, fino all'eliminazione fisica, per la sua propaganda Paolo iniziò a ricorrere alle falsificazioni, come la chiesa cattolica avrebbe continuato nei secoli successivi, Paolo diceva espressamente: "Se grazie alle mie menzogne la verità di Dio ha trionfato, perché io devo essere biasimato?".
Paolo era anche accusato dagli ebrei cristiani d'imbrogli finanziari, l'amore di Paolo era riservato solo agli elementi del suo partito e a chi condivideva la sua opinione, grazie alla sua predicazione, ad Efeso i cristiani distrussero un patrimonio in libri, questa pratica cristiana sarebbe continuata seguita anche nei secoli successivi.
Cerento sosteneva che Gesù non era nato da una vergine ed era solo un uomo saggio, era la tesi di ebioniti e nazareni, però, a causa delle dispute su Cristo, i figli si divisero dai genitori, d'altronde Cirillo d'Alessandria diceva che il timore reverenziale verso i genitori era inopportuno se portava danno alla fede, in pratica i genitori andavano onorati dai figli solo fino a che non si mettevano contro la chiesa.
[...]
Nelle dispute teologiche la diffamazione diventava più importante di qualunque prova, come accade oggi in politica, anche il veleno era usato per eliminare gli avversari, com'è stato abbondantemente usato nei secoli dalla curia romana e ai vertici degli stati.
Nel II secolo Ignazio di Antiochia sancì che ogni comunità doveva essere presieduta da un vescovo, Ireneo attaccò duramente lo gnosticismo, ne fu distrutta la sua ricca produzione letteraria, accusò ingiustamente gli gnostici di lussuria, erano uomini che non credevano alla gerarchia religiosa, inseguivano la conoscenza ed erano asceti, lo gnostico Bordesane (154-222), condannato dalla chiesa, fu un pensatore originale, capace di fondere il pensiero cristiano con la filosofia greca.
All'inizio del III secolo Tertulliano elaborò la dottrina della grazia, del battesimo, della penitenza, della cristologia e della trinità, fissando altri principi al protocattolicesimo di Paolo e Giovanni, lottò per eliminare fisicamente i suoi avversari, naturalmente eretici per lui, alla fine della sua vita però anche lui aderì all'eresia montanista, i montanisti erano asceti che annunciavano, dopo la rivelazione di Cristo, quella dello spirito.
Cirillo accusava i montanisti di uccidere i bambini e di mangiarli, un'accusa che i romani all'inizio avevano rivolto ai cristiani e che poi il cristianesimo istituzionalizzato rivolse agli ebrei, nel IV secolo Pacomio, fondatore del monachesimo cristiano, odiava gli ebrei come la peste. Efrem diffamò il persiano Mani, fondatore del manicheismo, che era contro il servizio militare, la venerazione delle immagini, l'idolatria.
Chi la pensava diversamente dai padri cattolici era trascinato nel fango, nel IV secolo Ilario denigrava ebrei, pagani ed eretici ariani. Girolamo era contro le eresie ed esaltava la verginità, come Agostino ricordava i giorni dissoluti della sua giovinezza, comunque definì i cristiani eterodossi bestie da macello.
Origene nello stesso secolo sosteneva che il figlio era subordinato al padre e lo spirito santo al figlio, non credeva al fuoco eterno dell'inferno, per lui incompatibile con la misericordia di Dio, perciò alla fine anche lui fu condannato dalla chiesa trionfante.
Girolamo accusò Rufino di aver usato il denaro per appropriarsi del seggio episcopale romano, questa prassi si ripeté nei secoli successi, la simonia a Roma era sempre condannata e sempre praticata, comunque era chiaro che la lotta alle eresie era pura lotta per il potere.
All'inizio del V secolo il sacerdote Vigilanzio attaccò con veemenza il culto delle reliquie e dei santi, che favorivano le truffe e lo sfruttamento della credulità popolare, il santo Girolamo disse che i libri da lui scritti erano stati vomitati nell'ebbrezza del vino, egli tentava sempre di far apparire come abietti furfanti i suoi avversari. Girolamo era ben introdotto presso l'aristocrazia romana, falsificò documenti e fece delazioni.
A causa della divisione dei cristiani, ufficialmente per ragioni ideologiche, in realtà per ragioni economiche e di potere, Giovanni Crisostomo affermava che non si potevano convertire i pagani con la condotta di vita dei cristiani, che avevano essi stessi bisogno di essere salvati.
Fortunatamente di lì a poco il cristianesimo, nella sua opera d'evangelizzazione sarebbe stato soccorso dalla spada del braccio secolare, accadrà anche con Maometto, comunque anche Nazianzeno denunciava le divisioni e le rivalità che divoravano i cristiani.
Nel 372 d.c. San Basilio diceva che il più grande bestemmiatore era il candidato ideale a ricoprire la carica di vescovo, destinato a sperperare il denaro che doveva essere consegnato ai poveri, comunque anche San Basilio era contro la libertà di pensiero, cioè era contro l'eresia degli altri.
Ai cristiani trionfanti stavano a cuore la distruzione dei luoghi di culto concorrenti e la persecuzione dei seguaci delle altre confessioni religiose, i templi antichi hanno sempre attirato ricchezze, tra loro si facevano concorrenza e di denaro non ce n'era mai abbastanza per i dirigenti cattolici.
Nel quarto secolo i cristiani erano urbanizzati, entrati nelle istituzioni e civilizzati, mentre i pagani erano più rurali e considerati selvaggi, cioè erano regrediti, perché in epoca ellenica avevano coltivato arti e cultura e abitato anche nelle città.
Prima di Costantino i padri della chiesa predicavano la tolleranza e reclamavano la libertà di culto, invitando a non odiare nessuno, all'inizio anche Tertulliano era a favore della libertà di culto, le sue prese di posizione però erano state solo tatticismo politico verso il potere romano.
Una volta ottenuta la libertà di culto, i cristiani iniziarono le polemiche contro i pagani, come prima avevano fatto contro ebrei ed eretici cristiani, attaccarono l'idolatria perché i miti antichi erano scandalosi, gli dei pagani non erano altro che cani e maiali.
Sottolineavano che le rondini facevano cadere escrementi sulle statue degli dei, per Tertulliano era peccato anche fabbricare statue agli dei, com'era peccato portare i processione gli dei e baciare le loro statue, Agostino affermava che le immagini degli dei non proteggevano gli uomini in battaglia.
Alla metà del II secolo Aristide condannava l'uso egiziano di divinizzare le forze della natura e gli animali, per lui il regno animale e vegetale non significavano nulla, i cristiani non si sentivano naturalisti, ma superiori alla natura.
Taziano criticò costumi e filosofia pagana, diffamando la cultura pagana, del resto tutti i padri della chiesa come Policarpo, Ireneo, Teofilo definivano la filosofia pagana come una frottola menzognera e folle.
Tertulliano riconosceva che gli dei erano una personificazione e divinizzazione delle forze della natura e ne denigrava il carattere osceno, perciò proibì ai cristiani di fabbricare statue e proibì il servizio militare. Alla fine del IIII secolo, Clemente d'Alessandria condannava la mitologia, classica con la divinizzazione degli astri, Attanasio vi vedeva solo immoralità e depravazione sessuale.
Visto che gli uomini con la religione si mettevano in relazione con l'aratura, la semina e la nascita dei frutti della terra, Clemente si chiedeva perché gli uomini abbandonavano il cielo per venerare la terra, lui la terra la calpestava con i piedi e non l'adorava, era inoltre scandalizzato dalla riproduzione della sessualità, voleva sostituire il cosmo dominato dalle forze di natura con un cosmo controllato dalla chiesa.
Quando il cristianesimo divenne lecito, iniziò la persecuzione del paganesimo, il sinodo di Elvira nel IV secolo colpì l'idolatria e le usanze pagane. Le vittime delle persecuzioni romane dei cristiani nei primi tre secoli furono poche migliaia, infatti, Origene, morto nel 254, affermava che i martiri cristiani erano un numero piccolo e facile da calcolare(1).
Una volta assunto il potere, il cattolicesimo fu capace di superare quella cifra, tra i nemici della sua fede, in un solo giorno. I cristiani furono perseguitati sotto Marco Aurelio (177), sotto Diocleziano, Massimiano e Valeriano, morto Diocleziano, i cristiani si vendicarono trasformando il suo mausoleo di Spalato in una chiesa cristiana.
Le varie versioni di Aiala
Non c’è la prova" che la borsa con la quale il colonnello Arcangioli era stato ripreso allontanarsi dalle auto ancora in fiamme sotto la casa della madre del giudice Borsellino.Difatti nell’agosto di quest’anno la sesta sezione penale della Corte di Cassazione ha depositato le motivazioni della sentenza con cui era stato prosciolto il colonnello Giovanni Arcangioli che vediamo nell'immagine sopra.
Giuseppe Ayala ha fornito diverse e contrastanti versioni sulla scomparsa della valigia di Borsellino, ecco un che ci sottolinea le contraddizioni.
di Lorenzo Baldo e Maria Loi - 23 maggio 2012
Palermo. “La mattina di quel 19 luglio Lucia Borsellino vede l’agenda del padre sopra la scrivania”. Pioviggina, è la notte del 22 maggio 2012, siamo in piazza Magione, nel quartiere di Falcone e Borsellino, sul palco c’è il gruppo palermitano delle Malerbe (Cristiano Pasca, Gero Guagliardo, Claudio Casisa e Giovanni Mangalaviti) noto al grande pubblico per le sue performance graffianti riprese nel programma di Italia1 “le Iene”.
Questa volta l’intervento è mirato a porre alcune domande su uno dei misteri più inquietanti legati alla strage di via D’Amelio: la scomparsa dell’agenda rossa di Paolo Borsellino. Le anomale e differenti versioni dei fatti fornite dall’ex pm Giuseppe Ayala e dall’allora capitano dei carabinieri Giovanni Arcangioli (filmato e fotografato mentre si allontanava da via D’Amelio reggendo in mano la valigetta di Paolo Borsellino) vengono elencate con grande schiettezza. “Quando Paolo si reca a Villagrazia di Carini per accompagnare la moglie Agnese – spiega Cristiano – la figlia Lucia si accorge che l’agenda non è più lì e quindi si trova dentro la valigetta di Paolo. Poi di ritorno da Villagrazia di Carini Paolo poggia la borsa con dentro l’agenda rossa sulla parte posteriore della sua auto per recarsi in via D’Amelio. Ed è altamente improbabile che Paolo prima di suonare al citofono di sua mamma decida di portare con sé l’agenda rossa, quindi al momento dell’esplosione l’agenda si trova dentro la valigetta, dentro la macchina”. “E’ il magistrato Ayala il primo ad arrivare sul luogo della tragedia – continua Gero –. La sua prima versione dell’8 aprile 1998 racconta che: un carabiniere in divisa apre lo sportello e preleva la borsa di Borsellino fa cenno ad Ayala di prenderla, ma Ayala non la prende in quanto non ha titolo per trattenerla, quindi invita l’ufficiale a tenerla con sé per poi consegnarla ai magistrati. La borsa non viene aperta davanti a lui e Ayala afferma di non sapere a chi sia stata consegnata”. “2a versione del 12 settembre 2005: a distanza di quasi 10 anni – sottolinea Giovanni – l’ex pm ritocca il contenuto dei suoi ricordi. Ayala afferma di aver prelevato personalmente la borsa di Borsellino dall’auto del giudice e di averla consegnata ad un ufficiale dei carabinieri ma non ricorda se era in divisa o in borghese e poi aggiunge che probabilmente l’ufficiale era in divisa anche se non ricorda se era solo una casacca, per poi escludere che sia stato l’ufficiale a porgergli la borsa”. Nella piazza i tanti giovani presenti ascoltano senza fiatare. “3a versione dell’8 febbraio 2006: Ayala afferma che non è più lui a prelevare la borsa, ma un agente che gli porge la borsa. Successivamente Ayala la consegna ad un agente in divisa. Ma il 23 luglio del 2009 in un’intervista Ayala ritorna alla sua 2a versione: la borsa l’ho trovata io e l’ho consegnata ad un ufficiale dei carabinieri”. Claudio specifica infine un dettaglio inquietante fornito da Ayala in un’altra intervista rilasciata nel 2010: la borsa l’ho prelevata io e l’ho consegnata ad un ufficiale dei carabinieri che compare in un video mentre si allontana”. “Ma – sottolinea – l’unico video che riprende un uomo delle forze dell’ordine con la valigetta in mano riguarda un solo carabiniere: Giovanni Arcangioli”. “Giovanni Arcangioli – ribadisce – arriva pochi minuti dopo sul luogo dell’esplosione; nel video si vede che Arcangioli si sposta da via d’Amelio verso via Autonomia Siciliana con la valigetta in mano. Valigetta che è stata poi ricollocata nel sedile posteriore dell’auto di Borsellino”. Fine del racconto. Dal palco Giovanni, Cristiano, Claudio e Gero, in un crescendo di volume e passione civile, cominciano a porre le domande. “Perché? Cosa è successo durante quel tragitto? Perché Arcangioli, una volta rinvenuta la borsa non ha redatto una normale relazione di servizio? Perché Ayala fornisce diverse versioni ? Perché Arcangioli nel verbale di 5 maggio 2005, l’8 febbraio 2006 e il primo aprile del 2008 fornisce versioni diverse sulle sue azioni? Perché non si continua a fare luce sulla trattativa Stato-mafia?”. “Ridateci l’agenda rossa – conclude Claudio –, perché ogni parola scritta su quelle pagine può rappresentare un piccolo passo verso la verità…”. Dopo un attimo di silenzio parte un lungo applauso che avvolge letteralmente il gruppo delle Malerbe mentre saluta con il loro tipico “haka” palermitano. Di seguito ancora musica e impegno alternati dagli interventi di Mario Caminita, Vassily Sortino e Cristiano Pasca. Spazio quindi alle denunce di Pino Maniaci, al ritmo di tanti artisti e agli interventi di alcuni esponenti delle 40 associazioni che hanno aderito al Comitato 23 Maggio (organizzatore dell’evento) presieduto da Davide Ruggieri, Irma di Grandi e Simone Cappellani. Con un unico obiettivo. Tutti uniti per chiedere, così come recita lo striscione davanti al palco: “verità sulle stragi”.
giovedì 19 luglio 2012
Il Vaticano ritira i suoi soldi dalle banche italiane
Purtroppo nove istituti di credito italiani si sono visti sottrarre ingenti somme di capitali dallo Ior, la banca del vaticano, che ha spostato tutti i depositi in Germania, patria di Ratzinger, Sommo Pontefice nonchè unico azionista e conoscitore del reali stato dei suoi bilanci. A perdere il prestigioso cliente sono stati ben nove istituti di credito tra cui Unicredit e Intesa Sanpaolo.
Lo Ior, la banca del Vaticano, ha tolto dalle banche italiane tutti i suoi depositi. La decisione presa in seguito a quella della Banca d’Italia che ha considerato l’istituto per le opere di Religione, alla stessa stregua di una banca extra comunitaria.
All’Italia, è stata preferita la Germania, patria del Sommo Pontefice (attualmente suo unico azionista) e giudicata, in seguito alla superiore potenzialità di crescita, come zona di migliori investimenti e maggiore stabilità finanziaria.In realtà l’operazione ha avuto inizio l’anno scorso, ma solo adesso ne è stata data notizia, in seguito al controllo dei rapporti finanziari da parte della procura di Roma in seno alle attività, presunte di riciclaggio avviate dalla banca vaticana. Il tutto partito dal sequestro di 23 milioni di euro “sospetti”.
A perdere il prestigioso cliente sono stati ben nove istituti di credito tra cui Unicredit e Intesa Sanpaolo.
Immediata la replica della Santa Sede che ha voluto precisare che lo Ior non è una banca ma una Fondazione di diritto sia civile che canonico regolata da un proprio statuto
La prova? Il fatto che non emette prestiti. Forse un po’ poco per giustificare una mossa un po’ “strana”, soprattutto in un momento di grave carenza di liquidità da parte delle banche, sempre più costrette a rifiutare mutui per carenza di garanzia, come una recente indagine della stessa Banca d’Italia ha reso noto in una sua indagine conoscitiva.
La particolarità di questo istituto di credito ordinario (infatti è giuridicamente riconosciuto come tale e non come Fondazione di diritto), creato nel 1941, è quella di non avere sportelli e bilanci molto discreti: sono infatti noti solo al Papa e a tre cardinali. Il che in tempi di necessarie trasparenze antiusura e antievasione suonano ancora molto “antiquate”. Per questo motivo più di una volta lo Ior è stato coinvolto, a vari livelli, in scandali di natura economica.
Nonostante questo ancora i dirigenti dell’Istituto si rifiutano di cambiare le disposizioni interne e di aprire i propri bilanci anche agli ispettori in fase di indagine. Delle due l’una: o è una banca extra comunitaria (quindi controllabile) o non lo è (quindi non deve amministrare capitali, né avere un’organizzazione mondiale di banche controllate). Tertium non datur
mercoledì 18 luglio 2012
Napolitano: l'altro ramo dei Savoia
Riporto un curioso articolo di Andrea di lenardo.
Il Re d'Italia Vittorio Emanuele II di Savoia (vicino alla Massoneria), con la Regina Maria Adelaide d'Asburgo-Lorena (membro della Stirpe), generò Maria Pia di Savoia, moglie di Re Luigi I di Portogallo, Clorilde di Savoia, moglie di Napoleone Girolamo Bonaparte, e il Re d'Italia Umberto I di Savoia (membro della Massoneria), che, con la Regina Margherita di Savoia-Genova, generò il Re d'Italia Vittorio Emanuele III di Savoia (membro della Massoneria), che, con la Regina Elena del Montenegro, generò il Re d'Italia Umberto II di Savoia, che, con la Regina Maria José, generò Vittorio Emanuele (IV) Alberto Carlo Teodoro Umberto Bonifacio Amedeo Damiano Bernardino Gennaro Maria di Savoia (membro della Massoneria, della loggia segreta, coperta, illegale, incostituzionale Propaganda 2, P2, del Gran Maestro Venerabile Conte Licio Gelli, , del Grande Oriente d'Italia, G.O.I.), che, con Marina Ricolfi Doria, generò Emanuele Filiberto Umberto Reza Ciro René Maria di Savoia (membro della Massoneria), berlusconiano, che, con Clotilde Courau, generò Vittoria di Savoia e Luisa di Savoia. Ma il Re d'Italia Umberto II di Savoia, con la Contessa di Napoli, generò inoltre, come figlio illegittimo, il Presidente della Repubblica Italiana Giorgio Napolitano (di Savoia) (membro della Massoneria e dell'Aspen Institute), che, con Clio Maria Bittoni, generò Giovanni Napolitano (di Savoia) e Giulio Napolitano (di Savoia).
Andrea Di Lenardo
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