“La Natura è la forma simbolica di ciò che è fuori dalla Natura”
(R.A. Schwaller de Lubicz - "Verbo Natura")
Il nome di René Adolphe Schwaller de Lubicz resta ancora quasi sconosciuto nel nostro paese al di fuori di ristrette cerchie di esperti. Sebbene le sue opere maggiori siano state tutte tradotte o in via di pubblicazione nella nostra lingua, la figura misteriosa e poliedrica di questo alsaziano schivo ed appartato - come un vero iniziato dovrebbe essere - non ha ancora acquisito il riconoscimento che pienamente merita nel panorama della tradizione esoterica occidentale(1bis.) In realtà il personaggio ha una rilevanza di primo piano soprattutto nell’ambito dell’alchimia e dell’egittologia “alternativa” del nostro secolo e molti controversi protagonisti di quelle segrete realtà sono parte di un mito che egli contribuì a creare. Solo un nome per tutti: Fulcanelli.
René Adolphe Schwaller nasce in Alsazia, il 7 dicembre del 1887. Dalla sconfitta francese del 1870 le province dell’Alsazia e della Lorena erano parte del Reich tedesco e René, figlio di un farmacista di Strasburgo che fin da piccolo lo iniziò allo studio della chimica, parla tedesco a scuola e francese in famiglia. Non volendo servire nell’esercito invasore, il ragazzo fugge a piedi in Francia prima del servizio militare e si rifugia da una zia ad Asnières.
Molto dotato per le arti figurative viene accolto senza difficoltà nello studio parigino di Matisse e diventa allievo del grande pittore. Si sposa con Marthe, conosciuta nell’atelier, da cui avrà un figlio Guy.
Nel 1913 entra nella Società Teosofica e vi rimane fino al 1919, scrivendo per la rivista “Il Teosofo”. Qui incontra i personaggi che in seguito verranno coinvolti nell’“affare Fulcanelli”: l’ermetista Pierre Dujols ed il pittore alchimista Jean-Julien Champagne, il futuro maestro di Eugène Canseliet.
La guerra del 1914 lo vede distaccato presso un laboratorio chimico dell’esercito dove si occupa di analisi. Al termine della guerra si dedica ai reduci cercando di facilitare il loro difficile reinserimento nella società all’insegna di un risveglio spirituale e morale: a questo scopo fonda il gruppo dei Les Veilleurs, i Veglianti, e trasforma la rivista “Il Teosofo” in “L’Affranchi”, dove inizia a firmarsi usando il nome mistico di Aor (o più esattamente Aor Mahomet Ahliah).
Il programma “rivoluzionario-conservatore” del gruppo e della rivista - ispirato alle teorie sinarchiche di Saint-Yves d’Alveydre - attira molti artisti ed intellettuali francesi, come Pierre Loti, Pierre Benoit, Camille Flammarion o il poeta lituano Oscar Wenceslas de Lubicz-Milosz (1877-1939), che presto diverrà l’amico più caro del futuro alchimista. In cerca di un lavoro più remunerativo di quello di pittore, Schwaller incontra, sempre all’interno del suo gruppo, l’armatore Louis Lamy e Louis Allainguillaume, direttore di una società carbonifera, e da quest’ultimo viene ingaggiato per riorganizzare la struttura finanziaria della società. In breve tempo l’impresa decuplica i suoi introiti ed il munifico Allainguillaume gli concede una percentuale fissa sugli utili che assicura al giovane una definitiva sicurezza economica. A trarre beneficio da questa sua nuova stabilità pecuniaria è anche l’amico Oscar de Lubicz-Milosz - principe di Lusazia, conte di Lahunovo, capo del “Clan de Lubicz”, della variante Bozawola (Volontà di Dio) - che vive grazie ad un assegno mensile versatogli da Schwaller e che può lottare per l’indipendenza dei tre paesi baltici - Lituania, Lettonia ed Estonia - grazie alla “Rivista Baltica”, da lui fondata e sovvenzionata.
L’attivismo di de Lubicz-Milosz ottenne presso gli Alleati il successo sperato, gli stati baltici furono liberati ed il principe-poeta divenne ministro della Lituania. Per riconoscenza verso l’amico fraterno, Milosz adottò Schwaller nel “Clan de Lubicz” e lo investì del titolo di cavaliere e delle armi dei de Lubicz Bozawola, secondo i riti dell’Antica Cavalleria e dopo una notte di digiuno e meditazione. Il 10 gennaio del 1919, R.A. Schwaller divenne Schwaller de Lubicz. I due uomini restarono per sempre legati fraternamente, anche quando i loro percorsi spirituali si volsero in direzioni opposte: il lituano non si discostò mai dal suo fervente cristianesimo, Schwaller invece si radicò sempre più nell’ermetismo egizio e pagano.
Schwaller e Milosz avevano avviato insieme il Centre Apostolique - sempre collegato ai Veglianti – che, sotto il motto di “Gerarchia, Fratellanza, Libertà”, patrocinava varie iniziative ai fini di “un risveglio evolutivo nel genere umano”. Tra quelle pubbliche si possono ricordare il salvataggio ed il recupero della Casa di Balzac ad Auteil o la fondazione di un istituto di Euritmia diretto da Jeanne Germain, moglie di Georges Lamy (che sarebbe divenuta nel 1927, dopo la sua vedovanza ed il divorzio di Schwaller da Marthe, la nuova compagna dell’esoterista: Isha Schwaller de Lubicz).
Il Centro ed il gruppo dei Veglianti si sciolsero nel 1921, forse a causa della ripulsa dei “cristiani” di Milosz per le pratiche magiche e spiritiche sempre più frequenti fra i “pagani” di Schwaller. Secondo una testimonianza Milosz, prossimo alla fine della sua vita, avrebbe implorato gli amici di non fargli mai domande sui Veglianti(1).
Dopo la fine di questa esperienza Schwaller visitò l’Africa del Nord, dove probabilmente ricevette un’iniziazione sufi. Nel 1924, risentendo dell’influenza di Rudolf Steiner, creò a St. Moritz in Svizzera, la “Stazione Scientifica Suhalia”, ispirata al Goetheanum del fondatore dell’Antroposofia.
Dedicata alla pratica dell’artigianato (legno, ferro battuto, vetro, tessitura e tappeti); allo studio della meccanica (vi furono costruiti un nuovo tipo di motore, un’elica ed un battello inaffondabile, poi brevettati); alla ricerca scientifica (chimica, fisica spettroscopica, microfotografia, astronomia); all’omeopatia (il dottor Nebel, famoso omeopata dell’epoca, considerava eccezionali le preparazioni del laboratorio); Suhalia ospitò artisti ed intellettuali rinomati come il pittore dadaista Jean Arp.
In questo periodo si concentra anche un’intensa attività pubblicistica, anche se limitata al solo ambito dei discepoli di Suhalia: Schwaller, che aveva scritto fino ad allora un solo libro nel 1917, Etude sur les Nombres, completa nel 1927, numerosi libelli ed opuscoli: L’appel du Feu; La Doctrine; Le livre des vivents, e soprattutto Adam, l’Homme Rouge, testo - che André Breton ricordò come un contributo fondamentale alla filosofia del Surrealismo - ritirato dalla distribuzione dallo stesso autore poco dopo la pubblicazione. Lascerà passare più di vent’anni prima di affidare di nuovo alla carta stampata frammenti della propria conoscenza.
Dopo la crisi economica del 1929, il maestro che ormai tutti chiamavano Aor, la sua nuova moglie Isha, ed i figli di lei – Jean Lamy, in seguito dottore in ginecologia ed inventore della Fonoforesi, una variante dell’agopuntura, e Lucie Lamy, straordinaria disegnatrice - furono costretti ad abbandonare Suhalia, le cui spese di mantenimento erano ormai insostenibili, e si stabilirono a Plan de Grasse, in Provenza, dove acquistarono una proprietà. Proprio qui Aor e l’alchimista Champagne - da lui sovvenzionato per anni - portarono a compimento, nel 1930, un’importante operazione alchemica: la fabbricazione dei blu e dei rossi delle vetrate di Chartres; ma di questo parleremo in dettaglio a suo tempo, a proposito dell’“affare Fulcanelli”.
Nel 1934 la coppia si recò a Palma di Maiorca nell’antica abitazione di Raimondo Lullo per studiare gli antichi manoscritti dell’alchimista che ancora vi si conservano. Vi si trattennero fino allo scoppio della Guerra Civile spagnola nel 1936. In quello stesso anno, dopo un primo viaggio a Luxor, decisero di stabilirsi in Egitto e dal 1939 vi risiedettero ininterrottamente fino al 1952.
Mentre si riposava all’ombra di un mastaba, Isha, che aveva studiato per sei anni i geroglifici e l’egittologia classica, ricevette la rivelazione dell’interpretazione non semplicemente fonetica ma simbolica dei geroglifici. Alla luce di questa scoperta poté tradurre testi incomprensibili per gli egittologi classici. Aor, Isha e la figlia di lei, Lucie , che ricopiava magistralmente bassorilievi ed epigrafi, studiarono in dettaglio per anni il tempio di Luxor e tutti i maggiori luoghi sacri di Al Kemi, l’Egitto faraonico(2). Tutto questo materiale confluirà nelle opere più tarde di Aor: Le Temple dans l’homme (1949); Du Symbole et de la Symbolique (1951); Propos sur Esoterisme et Symbole (1960); Le Roi de la Teocratie Pharaonique (1958); Le miracle egyptien (1963); Les Temples de Karnak (postumo) e soprattutto nel monumentale Le Temple de l’homme (1957), vera e propria summa del pensiero e della sapienza che Aor aveva recuperato dalle sabbie e dai ruderi (vi si discetta di tutto: dalla geometria all’anatomia, dalla medicina alla filosofia). Isha, da parte sua, dopo aver scritto una Contribution a l’Egyptologie (1950), preferirà dedicarsi – suscitando una notevole diffidenza nel compagno – alla composizione di due romanzi iniziatici ambientati nell’antico Egitto: Her-Bak Pois Chiche (1950) e Her-Bak Disciple (1951), storia di un piccolo contadino egizio, detto Cecio, che viene scelto dai sacerdoti ed iniziato ai misteri del Tempio. In seguito scriverà anche L’ouverture du chemin (1957) e La lumiére du chemin (1960), altri romanzi-saggi che non riguardano direttamente l’Egitto, e - dopo la morte di Aor - Aor, sa vie, son oeuvre (1963), agiografia non sempre attendibile dedicata al marito, ma che comprende anche il fondamentale Verbe Nature, uno degli ultimi scritti di Aor.
Gli egittologi classici accolsero con prevedibile sufficienza gli studi della enigmatica coppia, ma non tutti: Alexandre Varille dell’ Institut Francais d’Archeologie Orientale, e l’architetto e archeologo Clement Robichon, si unirono entusiasticamente, nel corso degli anni ’40, ad Aor e Isha, collaborando con loro sul campo e pubblicando in ambito specialistico numerosi scritti in loro difesa. Scoppiò una vera e propria querelle des egyptologues fra l’archeologia ufficiale e la corrente “simbolista” capitanata da Varille ed ispirata da Aor. Purtroppo Varille morirà prematuramente in un incidente automobilistico nel 1951, ma i suoi lavori avranno il tempo di influenzare fino ad oggi un largo settore “eterodosso” di studiosi. Dal 1952 Aor ed Isha si ritirano di nuovo a Plan de Grasse conducendo una vita appartata, dedicata allo studio e alla scrittura. Il 7 dicembre del 1961 scomparirà Aor, il 24 dicembre del 1962 Isha. La figlia di Isha, Lucie Lamy, continuerà gli studi egizi dei genitori fino alla morte, avvenuta il 7 dicembre del 1984, e pubblicherà anch’essa un interessante volume Misteri Egizi (1981).
“Vous ne connaissez pas Fulcanelli, l’auteur du Mystère des Cathedrales ?” Aveva chiesto Aor al suo ospite. Stavano paseggiando lungo il viale alberato di fronte alla proprietà dei de Lubicz a Plan de Grasse, l’“Allée des Philosophes”, così chiamata da Aor in ricordo della visita di Fulcanelli. L’ospite era un giovane americano di origine olandese André VandenBroeck, che si era recato dall’anziano esoterista per conoscerlo dopo aver letto un suo libro. Aor l’aveva subito riconosciuto come un suo simile: intelligente, poliglotta, versatile e soprattutto “un homme qui brule”, come lo aveva immediatamente definito. Tra il 1959 ed il 1960, Andrè divenne una sorta di confidente e “discepolo” di Aor e ce ne recherà testimonianza in un interessante volume: Al-Kemi: A Memoir. Hermetic, Occult, Political and Private Aspects of R.A. Schwaller de Lubicz(3). Purtroppo il rapporto si raffreddò presto e cessò definitivamente a causa della diffidenza politica di Andrè - di origine ebraica e di simpatie sinistrorse - per il passato pre-fascista e tendenzialmente antisemita di Schwaller nei Veglianti (Andrè cita con certo livore una Lettre aux Juifs, firmata da Aor e pubblicata insieme ad altre, Lettre aux Artistes, Lettre aux Socialistes, Lettre aux Philosophes Occultes, su Le Veilleur nel 1919).
“Era…un tipico gentiluomo della borghesia francese…- così VandenBroeck descrive Aor - con tutte le qualità accattivanti di quella condizione e con almeno qualcuna delle sue sconvenienze… Ed era un uomo di destra… La vera destra è monarchica e teocratica; vuole l’autorità, preferibilmente di diritto divino, crede nelle elites… Una concezione che potrebbe avere molti punti in suo favore se non fosse per la sua propensione alla demagogia, con il fascismo come estrema efflorescenza…”.
Questo è invece il ritratto di Isha, che Andrè incontra per prima: “Con i suoi lisci capelli neri, la carnagione olivastra e gli occhi sporgenti, portava con sé un evidente tocco di Medio Oriente. Indossava abiti bianchi fluenti, pesanti orecchini, anelli e collane e aveva un’aria da indovina zingara”. “Le devo precisare che nessuno lavora con mio marito eccetto io. Sono il suo unico discepolo” – così lo accoglie la donna. Ma in breve il giovane riesce a rompere il ghiaccio ed è quasi conteso all’interno della coppia: “Isha stessa mi diede i dettagli dell’esperienza quasi mistica a cui questa conoscenza era legata – si allude alla comprensione simbolica dell’alfabeto geroglifico – Le giunse in due fasi, in due giorni di Natale a distanza di un anno; vi si riferiva come a “Le Plan des Anciens”. Questo piano, mappa, schema o modello (non sono mai riuscito a far precisare ad Isha la forma… della rivelazione) offriva, fra le altre cose, la possibilità di collocare un certo numero di geroglifici in un ordine che avesse senso, creando così un alfabeto naturale…Ma la questione era uno dei segreti ben guardati di Isha, segreti che presto riconobbi come la classica carota sul bastone…”. Andrè, che simpatizza decisamente più con Aor che con sua moglie, passa presto sotto la giurisdizione del capofamiglia lasciando Isha orfana dell’auspicato discepolo.
Eccoli passeggiare lungo il “Viale dei Filosofi”, con loro, l’ombra di Fulcanelli. “Mi ci è voluto molto tempo per trovare il linguaggio adatto a quel che dovevo dire – confessa Aor – e solo con l’Egitto Faraonico ho trovato la mia cifra, la mia simbolica. Una simbolica deve mostrarsi, non si può inventare e non può essere convenzionale, come il linguaggio artificiale della logica simbolica. Si sarebbe potuta “inventare” la rivelazione cristica ? Niente affatto. Doveva fiorire sulla base del mito perenne, come simbolica, per poi a suo tempo fornire la sua cifra a pochi grandi autori, come fece nel Medio Evo. Avrei utilizzato una simbolica cristica per dire certe cose, se Fulcanelli non mi avesse rubato l’idea”….”Eppure mi hanno fatto un favore; mi hanno impedito di identificare la mia opera con il simbolismo delle cattedrali, mantenendomi così disponibile per l’Egitto, per Al-Kemi, invece che per l’alchimia. E’ la stessa opera, naturalmente… ma quel che ci riguarda adesso non è una rinascita, è una resurrezione”.
Aor racconterà poi in modo frammentario ma esplicito i suoi rapporti con Fulcanelli. In linea di massima, il quadro delineato coincide con quello descritto da Geneviève Dubois nel suo accurato studio Fulcanelli dévoilé (1992)(4). Cercheremo di riassumerne i tratti salienti seguendo i due testi.
Il personaggio mitico dell’inconoscibile alchimista si rivela per la prima volta alla conoscenza del pubblico non specialistico con il libro di Louis Pauwels e Jacques Bergier Il mattino dei maghi (1960), nell’ambiente esoterico è già noto invece da molti anni per due opere fondamentali, anche se forse più citate che lette: Le Mystère des Cathédrales (1926) e Les Demeures Philosophales (1930).
In realtà, come riveleranno ufficiosamente i due studiosi francesi, Fulcanelli non sarebbe stato altri che Schwaller de Lubicz stesso. Per Eugène Canseliet invece, grande divulgatore dell’alchimia e massimo propagatore e “vergine vestale” del mito di Fulcanelli, il misterioso alchimista “E’ stato inviato dalla Fratellanza Bianca per agevolare l’evoluzione dell’umanità. E’ un vero Rosa-Croce…un maestro dai poteri straordinari”. Canseliet fu allievo di Jean-Julien Champagne fin dalla tenera età di 16 anni; Champagne intrattenne relazioni assai riservate e assai strette con Aor: nel libro di VandenBroeck, quando Aor parla di Fulcanelli intende sempre Champagne, ma, per non infrangere un giuramento, non nomina mai questo strano personaggio. Precisa Aor: “Fulcanelli deve essere inteso come il nome generico di un molteplice sforzo che si è protratto per quasi mezzo secolo”…. Si ricordi, quando dico Fulcanelli, intendo quell’intero gruppo di letterati e “soffiatori”(5): Canseliet, Dujols, Champagne, Boucher, Sauvage; tutti hanno contribuito a dar forma alla produzione di Fulcanelli, una volta diffuse le mie idee fra di loro. La mia ricerca sulle cattedrali come veicolo….E poi un po’ di lustro intorno, la fantastica erudizione, molta della quale risale a Dujols, un po’ a Canseliet; si aggiunga il lavoro grafico di Champagne, ed ecco pronto un libro vendibile. Ci hanno costruito sopra una carriera, ma nel processo, hanno mancato il momento, hanno mancato la Parola…”.
Aor allude alla cosiddetta Confraternita di Heliopolis(6), composta dai personaggi da lui citati, ma nelle sue conversazioni con VandenBroeck parla anche di Fulcanelli come di una singola persona, una persona in carne ed ossa. In questo caso, il riferimento è sempre al solo Champagne.
Il pittore Jean-Julien Champagne incontrò il giovane che sarebbe divenuto Aor nel 1913, aveva circa dieci anni più di lui, e, sebbene mai ci sia stata una vera affinità e simpatia umana fra loro, per motivi di reciproca utilità, iniziò da allora una segreta e intensa collaborazione fra i due. Champagne era un uomo strano ma pieno di talento e di contraddizioni: allievo degli alchimisti Léon Gérome e Félix Gaboriau, maestro di Canseliet, ammiratore di Nicolas Flamel e Basilio Valentino, fortissimo bevitore, amico intimo dei romanzieri Raymond Roussel e Anatole France, disegnatore industriale e inventore pazzoide (una slitta polare con elica a propulsione), acerrimo nemico dell’occultismo ma in realtà assiduo frequentatore del Grand Lunaire - aveva falsificato la carta di identità del padre appropriandosene per farsi credere assai più vecchio di quanto mostrasse il suo aspetto; inoltre aborriva l’elettricità preferendo le lampade a petrolio e amava vestirsi nello stile del secolo precedente.
“Lo incontrai in modo molto naturale – testimonia Aor – poiché frequentavamo lo stesso caffè, la Closerie des Lilas a Montparnasse… Allora studiavo anche il simbolismo delle cattedrali gotiche…erano un’altra espressione della simbolica. Testi alchemici scolpiti nella pietra, proprio come ne avrei trovati, molti anni dopo, in Egitto….Parlando con lui capii che non era un dilettante ordinario, né un “soffiatore”, né certamente un ciarlatano. Sapeva quel che faceva da un punto di vista pratico…. Ma c’erano aspetti che non comprendeva, aspetti teoretici, quello che chiamo dottrina. Era stato influenzato molto nei suoi primi studi dalla filosofia scientifica araba, in particolare Jabir. Lei ne ha letto qualcosa e sa quanto possano essere materialistici. Ma quella era la sua linea e quello era il contrasto fra di noi, ed anche la nostra complementarietà. Aveva creato una tecnica del gesto appropriato necessario all’opera, invece di lasciare che questo fosse ispirato per via divina. Ma che tecnica! Un manipolatore incredibile !…”.
Champagne, lavorando per una libreria antiquaria, si era appropriato di un testo manoscritto del 1830 che dava precise istruzioni per la fabbricazione alchemica dei famosi colori blu e rossi utilizzati per le vetrate della cattedrale di Chartres, “colori reali che nessun prodotto chimico può produrre…vetri tinti nella loro massa dallo spirito volatile dei metalli”. Da solo non riusciva a ricavare molto dal libretto e propose al futuro egittologo di aiutarlo: fu stipulato una sorta di contratto, Aor avrebbe chiarito la teoria e versato una somma mensile a Champagne e questi avrebbe condotto gli esperimenti in laboratorio. A prescindere dalla riuscita o dal fallimento, una volta terminata l’operazione, ognuno sarebbe andato per la sua strada. Il loro rapporto inoltre avrebbe dovuto restare assolutamente segreto, pena la morte di chi avesse infranto il giuramento.
Per tutto il periodo della guerra, insieme o singolarmente, i due proseguirono il loro lavoro. Nel frattempo Aor aveva mostrato al compagno gli appunti del suo studio sulle cattedrali gotiche e il simbolismo alchemico. Champagne promise di interessarsi per trovare un editore disposto alla pubblicazione del testo, ma lo restituì rapidamente all’autore spiegando che vi si rivelavano troppi segreti e che non era il caso di renderlo pubblico. Aor condivise il parere del collega e partì per la Svizzera dove stava per avviare il progetto Suhalia. Il 15 giugno 1926 usciva Il Mistero delle Cattedrali e Aor aveva la brutta sorpresa di scoprire che sotto il nome misterioso di Fulcanelli era stato pubblicato il suo lavoro (con aggiunte ed interpolazioni estratte dall’immenso archivio dell’erudito Pierre Dujols(7) e disegni di Champagne). Incredibilmente Aor non serbò rancore al plagiario, continuò a versargli la mensilità pattuita e mantenne inalterate le condizioni dell’accordo.
“Nel caso di Fulcanelli – commenta Aor a VandenBroeck – quello che fu pubblicato è irreparabilmente frammentario, pieno di oscurità non necessarie e senz’altro di nessuna utilità per un adepto che pratichi con serietà, ma fornisce molte munizioni ai soffiatori con le sue frasi accattivanti. Non rappresenta una simbolica perché non è la voce del proprio tempo….Quanto a Fulcanelli, rappresentava un caso tutt’altro che raro nelle arti, ermetiche o di qualsiasi altro genere, il caso di un meraviglioso tecnico senza un’oncia di visione filosofica. Molto colto, con molte letture alle spalle, erano tutti così, ma senza dottrina, senza visione. Poiché all’epoca era del tutto privo di mezzi, l’ho finanziato, gli ho dato l’opportunità di installare un piccolo laboratorio e l’ho provvisto di uno stipendio mensile bastevole per vivere e continuare il lavoro. E ho mantenuto tutto questo fino alla fine, ho continuato finché non venimmo qui insieme, a Mas-de-Coucagno, per l’esperimento cruciale. Dopo quello, l’ho visto solo un’altra volta, non molto tempo dopo, sul suo letto di morte, in una soffitta a Montmartre”.
Lungo il “Viale dei Filosofi”, intorno al 1930, Aor e Fulcanelli/Champagne passeggiano e discutono le ultime fasi della loro opera: l’alchimista si è temporaneamente stabilito dal suo finanziatore. Aor, durante la convivenza, traccia con inchiostro rosso un ritratto straordinariamente intenso del compagno; la figliastra Lucie Lamy ne delinea invece uno assai diverso a parole: un uomo sgradevole che si comportava in modo odioso e beveva troppo.
Finalmente in quei giorni, dopo diciannove anni di prove, l’esperimento ha successo. “Il fuoco non si estingue se non quando l’Opera è compiuta e quando tutta la massa tintoria impregna il vetro il quale, di decantazione in decantazione, resta assolutamente saturo e diviene luminoso come il sole…”. Raggiunto il successo, secondo il patto, cessano le contribuzioni e le relazioni fra i due. Champagne torna a Parigi, Aor lo saluta intuendo un bagliore sinistro nello sguardo del compagno: “la sindrome dell’apprendista stregone” – secondo VandenBroeck.
Meno di un anno dopo, contravvenendo alle regole stabilite, Champagne scrive ad Aor chiamandolo a Parigi per urgenti comunicazioni. I due si incontrano di nuovo in un piccolo ristorante. Fulcanelli ha continuato l’opera, vuole ripetere l’esperimento, per il momento non ci è riuscito, ma è solo questione di condizioni, ambiente, dettagli. “Lo sciocco! – prosegue il racconto Aor – Parlava come un dottore delle Facultés ! Lo interruppi, rifiutando di discutere tali questioni in un luogo pubblico. Gli ricordai del nostro patto, mi alzai ed uscii.”….”Era già malato quando venne qui quell’ultima volta, zoppicava e si lamentava per dei disturbi circolatori. Ma persisteva nell’insano desiderio di fare i conti con quello che credeva di aver compreso. Gli ricordai di nuovo il suo voto di segretezza e lo avvertii che niente di buono poteva derivargli dall’infrangerlo. Fu inutile. Sei settimane dopo mi scrisse annunciandomi un incontro che aveva stabilito con un gruppo limitato di suoi adepti: avrebbe rivelato loro del nostro esperimento.” Aor corre a Parigi un giorno prima dell’appuntamento, sale nella mansarda di Fulcanelli e lo trova morente: ha una cancrena alla gamba. “Era quasi nero…e poteva parlare a stento. Si immagini, non poteva più parlare ! Ci guardammo a lungo, poi scosse la testa. Credo che avesse capito. Mi indicò una pila di carte sulla scrivania e volle che le guardassi. Erano le sei pagine del manoscritto che aveva rubato e sul quale avevamo lavorato, manoscritto che, ne sono convinto, ci aveva condotto entrambi a quel momento. Mi fece capire che voleva che lo tenessi io e che non ne esisteva copia. Me lo misi in tasca e me ne andai. La mattina dopo era morto”.
Il 29 agosto del 1932, tre giorni dopo il decesso, l’uomo che aveva inventato Fulcanelli fu sepolto nel cimitero di Arnouille-les-Gonesse. Sulla sua lapide, oggi scomparsa, si poteva leggere la scritta Apostolus Hermeticae Scientiae. Fu Aor a pagare le strutture tombali e la lapide.
Da allora Schwaller de Lubicz abbandonò quasi del tutto l’alchimia e le cattedrali: la grande avventura di Al-Kemi doveva cominciare, il maestro avrebbe finalmente trovato la sua simbolica ed interrotto il suo lungo silenzio producendo quelle opere maggiori per le quali lo ricordiamo. Così si era confessato a VandenBroeck in un passo denso di spunti da meditare: “Non si leggono i testi Ermetici per ottenere informazioni su procedure alchemiche, si leggono per formarsi una mentalità ed una percezione….Lungo tutta la storia del pensiero Occidentale persiste la frattura fra Pitagorici ed Aristotelici. Solo che la frattura risale ad ancora prima: Kemi contro Babilonia. La società contemporanea è l’erede di Babele. Ma proprio a fianco di questa corre la linea che inizia con i Faraoni, e la mentalità è opposta. Il fatto si rivela nel modo più chiaro nelle matematiche. Lo sa, rien ne marque tant l’esprit que les nombres. Fa una differenza fondamentale nell’intera struttura scientifica se si concepisce il due come uno più uno o come la divisione dell’uno nel due”.
NOTE
1bis) L’interesse per il suo pensiero sta comunque crescendo. Recentemente è stato tradotto anche in italiano Il Serpente Celeste dell’americano John Anthony West (Corbaccio, Milano, 1999) - un fortunato tentativo di divulgare e semplificare la dottrina complessa e non sempre accessibile che Schwaller de Lubicz e la moglie Isha ricavarono dai loro lunghi studi sull’Egitto Faraonico. Con qualche concessione di troppo all’inevitabile ambiente New Age, l’operazione resta comunque dignitosa anche se dubitiamo che avrebbe riscosso l’approvazione di Schwaller, esoterista chiuso e volutamente “difficile” che già tendeva a snobbare le opere narrative della compagna, ritenute eccessivamente soggettive e psicologizzanti.
1) André Lebois, Presence de Milosz dans son oeuvre, France-Asie, Marzo-Aprile 1949. Citato da Jean Rousselot, O.V. de L. Milosz, Paris, 1955.
Sarebbe poi tutta da studiare la relazione fra i Veglianti ed il gruppo magico del Grand Lunaire, che aveva il bafometto come emblema e - secondo Robert Ambelain - si occupava anche di satanismo e magia nera. Jean-Julien Champagne lo frequentò insieme a Schwaller. Per l’aneddotica, un ex membro, Jules Boucher, quando lasciò il Grand Lunaire, si fece esorcizzare dal vescovo gnostico di Lione.
2) Al-Kemi da Kemit, “la nera”, cioè la terra nera della valle del Nilo; nome da cui i Greci derivarono Khemia. Come dice Ermete Trismegisto ad Asclepio: “Forse ignori, o Asclepio, che l’Egitto è la copia del cielo, o, per meglio dire, il luogo in cui si trasferiscono e si proiettano quaggiù tutte le operazioni che governano e mettono in funzione le forze celesti. Ben di più: per dire tutta la verità, la nostra terra è il tempio del Mondo intero”. Al-Kemi è l’applicazione della Gnosi Ermetica. Come ben sintetizza Isha nella premessa a Her-Bak: “Per la saggezza egiziana, il vero principio vivente è l’Uomo, nel quale sono incarnati i Princìpi e le funzioni cosmiche, i Neter. E i templi sono le “case” in cui vengono rappresentati i simboli di questi Neter, perché l’uomo impari a riconoscere in se stesso gli elementi del grande Mondo di cui egli è il risultato e di cui rappresenta la sintesi”. In altre parole, come aggiunge Aor ne La Teocrazia Faraonica: “Noi traduciamo la direttiva teologica con il termine “religione”, ma il senso oggi attribuito a questo termine di fatto non è adeguato alla mentalità del periodo faraonico. L’antico Egitto non aveva “religione”, stando alla testimonianze scritte per più di quattromila anni: esso era interamente religione, nella sua accezione più ampia e più pura”.
3) Lindisfarne Press, New York, 1987. Di VandenBroeck ci pare giusto ricordare anche un altro volume: Philosophical Geometry, Inner Traditions International, Rochester, 1987. Testo assai complesso, di ispirazione pitagorica, che molto deve alle concezioni di Aor.
4) Geneviève Dubois, Fulcanelli: svelato l’enigma del più famoso alchimista del XX secolo, Mediterranee, Roma, 1996.
5) Venivano chiamati, con evidente disprezzo, “soffiatori” dai veri alchimisti, gli alchimisti materialisti ed i proto-chimici. (n.d.T.)
6) All’interno di questa ristretta cerchia si diffuse, in relazione con la figura di Fulcanelli, la leggenda alchemica del Linguaggio degli Uccelli, argot occulto basato sulla lingua greca, con il quale gli iniziati si sarebbero scambiati i loro segreti. Secondo Aor, invece, la sola cabala attualmente possibile deriverebbe dai geroglifici egizi.
7) Anche Dujols, che morirà nello stesso anno 1926, probabilmente all’oscuro del plagio perpetrato, verrà subito saccheggiato dagli altri fratelli di Heliopolis: il suo sterminato schedario sui monumenti di carattere alchemico rimesso insieme da Canseliet e Champagne, verrà pubblicato nel 1930, come seconda opera di Fulcanelli, sotto il titolo di Le Dimore Filosofali.
(fonte: Walter Catalano, Applausi per mano sola, Clinamen 2001)
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