Tullio Kezich, noto sceneggiatore, produttore e critico cinematografico e televisivo, pochi giorni dopo la morte di Rol aveva scritto sul Corriere della Sera:
«Giuro di dire la verità e nient'altro che la verità sull'unica visita che feci a Gustavo Adolfo Rol in compagnia di un comune amico, l'editore Giuseppe Sormani. (...) Correva l'anno 1970, lo ricostruisco dal fatto che Dino De Laurentiis stava allestendo il film “Waterloo”, e Rol si doleva che il produttore non l'avesse chiamato come consulente. Di quella battaglia affermava, infatti, di sapere tutto in qualità di “testimone oculare”; e quasi a comprovarlo appena entrati nella sua casa torinese, dopo una cena a tre in un ristorantino, ci accolse un'alzata di tamburi napoleonici che sembravano ancora ricoperti dalla polvere dell'epoca. (...)
...una volta seduti intorno a un tavolinetto quadrato, maneggiando due mazzi di carte con virtuosistica abilità, il mago ci fece assistere a una serie velocissima, prolungata ed elegantissima di trasformazioni a vista: ora il mazzo era tutto di assi di cuori, ora erano tutti re o fanti o dame. Non avevi il tempo di stupirti che già stavi dentro a un'altra mutazione. Quando attaccò il gioco di mettere una carta coperta sul tavolo e farti scegliere mentalmente una carta qualsiasi, per poi coprirla e sorprenderti con l'apparizione di quella che avevi pensato, mi tornò in mente un incidente capitato a Fellini. Curioso come sempre, il regista aveva allungato la manina per sbirciare la carta in via di trasformazione intravedendo così un magma indefinibile in atto di scomporsi e ricomporsi, un'immagine da dissolvenza incrociata che gli aveva provocato seduta stante un urto di vomito. Stavo appunto meditando di imitare Fellini, per decidere una volta per tutte quanta retta si dovesse dare a lui e a Rol, quando il cartaio avendomi letto nel pensiero mi pervenne: “Non vorrà mica fare come il suo amico...”.
Provai un brivido e da quel momento non riuscii più a pensare che a una sola cosa, tagliare la corda. L'anfitrione locale capì al volo e, congendandoci poco dopo, mi disse: “Avrei voluto farle vedere qualche altro gioco, per esempio trasferire un oggetto da una stanza all'altra, ma lei ha troppa paura”. Allontanandomi dall'antro dello stregone per le vie notturne di Torino, città magica, conclusi che come visita al pianeta dell'irrazionale l'esperienza mi sarebbe bastata a lungo. E sull'argomento, da allora, penso più che mai che abbia ragione il prestigiatore in frac di “8 ½” quando alla domanda di Mastroianni-Fellini sull'esistenza del soprannaturale, risponde enigmatico: “Qualcosa c'è”».
(Kezich, T., “Quella sera a Torino con il mago di Fellini”, Corriere della Sera, 24/09/1994, p. 17)
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