VENEZIA - La città si divide per Ernst Jünger, il filosofo tedesco che Massimo Cacciari ha invitato sulla laguna, il 29 marzo, a festeggiare il suo centesimo compleanno. Il caso Jünger agita le tranquille acque della città dei Dogi, scuote dalle fondamenta la giunta progressista che sostiene Cacciari, e minaccia di diventare un caso internazionale, con l' Italia sul banco degli imputati davanti alla cultura del mondo. Cacciari vuole Jünger a Venezia perché, sostiene, è uno dei più grandi pensatori di questo secolo. Non lo vogliono quelli di Rifondazione Comunista, quelli di Alleanza Democratica, qualche Verde, qualche pidiessino e alcuni esponenti della Comunità ebraica, perché dicono che è stato nazista e complice dei nazisti. "E' contestato in tutto il mondo", dice Rifondazione, che ha chiesto di sospendere i festeggiamenti in suo onore minacciando di far saltare la giunta comunale. "Scemenze. Tutte sciocchezze", ribatte seccato Cacciari, che ricorda come Jünger abbia partecipato alla rivoluzione conservatrice contro Hitler. E' un caso che ricorda quello di Vargas LLosa che, sempre a Venezia, l' anno scorso, un consigliere pidiessino della Biennale non voleva nella giuria della mostra del cinema perché troppo di destra. Per il Sindaco-filosofo, più che una questione politica, è una questione di cultura. E lui non intende rimangiarsi l' invito fatto a Jünger, a dispetto delle polemiche. Se la giunta e il consiglio comunale si opporranno, dice, Jünger verrà lo stesso a Venezia: "Sarà mio ospite personale e starà a casa mia". Del resto, il Sindaco ricorda che non ci fu alcuna polemica quando Jünger fu ospite della Biennale, alcuni anni fa sempre a Venezia, e fu lo stesso Cacciari a tenere la relazione introduttiva. Abituato ad andare controcorrente, il filosofo veneziano è stato tra i primi - lui che non può certo venir tacciato di simpatie conservatrici - a rivalutare, ma sarebbe meglio dire a valutare nella loro giusta luce, le opere di autori "di destra", a cominciare da Nietzsche, che una certa "sinistra" aveva messo all' indice. Il 29 marzo Ernst Jünger varcherà la soglia dei cent' anni. Sembra davvero che egli abbia stretto un patto segreto con il tempo. Si preparano ovunque le celebrazioni: per il centenario gli verrà consegnato un volume di scritti in suo onore: Magie der Heiterkeit (Magia della serenità), e sarà in libreria l' ultima parte dei suoi diari: Siebzig verweht (Settant' anni, volati via). In Francia il Magazine littéraire gli ha dedicato un quaderno: Jünger, cent ans d' Histoire. In Italia Cacciari lo vorrebbe a Venezia. Che quel suo patto segreto con il tempo avrebbe implicato anche risvolti amari, certo Jünger lo avrà previsto. Forse non immaginava però che sarebbe stata l' Italia - paese in cui ha vissuto e in cui, prima che altrove, la sua opera è stata largamente recepita e svincolata dall' ipoteca di destra - a turbare i festeggiamenti con le polemiche intorno all' invito di Cacciari. Ma Jünger è stato davvero nazionalsocialista? Certo, chi scende a patti con il proprio tempo e vi si immerge come ha fatto Jünger non può non rimanerne contaminato. Si sa che i nazionalsocialisti avrebbero voluto fare di lui lo scrittore nazionale. Ma Jünger, che non credeva nel ruolo del partito, che detestava la "democrazia plebiscitaria" e l' agitazione delle masse, che considerava la presa di potere del 1933 come la vittoria della "plebaglia", rifiutò il coinvolgimento politico e si ritirò nel ruolo dell'osservatore. La sua posizione di pluridecorato della grande guerra gli permise di ostentare ostilità nei confronti del regime. Respinse nel 1933 la nomina a membro dell'Accademia Letteraria; rifiutò l' invito a pubblicare nel Volkischer Beobachter; quando il nazionalbolscevico Niekisch fu condannato dai nazisti, accolse in casa moglie e figlio del perseguitato. Allorché dall' associazione dei reduci del 73 Fucilieri, la sua unità di appartenenza durante la prima guerra mondiale, vennero radiati gli ebrei, protestò e ne uscì pure lui. Nell' autunno del 1939 pubblicò il romanzo Sulle scogliere di marmo, in cui accarezzava l'idea del tirannicidio. Molti pensarono che egli avesse ormai passato il segno, e pare solo la clemenza del tiranno lo salvasse. Hitler in persona, che sentiva il fascino del personaggio, avrebbe detto: "Lasciate stare Jünger". La sua situazione rischiosa si risolse con l' arruolamento nella Wehrmacht e con l' invio sulla linea Sigfrido. Ma nella guerra lampo che portò i tedeschi a Parigi, affiora il carattere di "anarca" ed esteta dell' ufficiale Jünger. La guerra non lo attanaglia più come l' evento primordiale in cui la vita scopre le sue carte. Al contrario, produce in lui ripulsa, straniamento, distacco, indifferenza. La vita è altrove. Nel diario annota: "Il tutto è una spaventosa anticamera della morte, il cui attraversamento mi scuote brutalmente. In una fase precedente della mia formazione intellettuale mi sono sprofondato spesso in visioni di un mondo completamente senza vita e deserto, e non nego che questi cupi sogni mi abbiano procurato piacere. Qui vedo realizzati quei pensieri e credo che, se mancassero anche i soldati, lo spirito impazzirebbe rapidamente - in questi due giorni ho avvertito che la visione dell'annientamento ha cominciato a smuoverne i cardini". Nella marcia su Parigi, anziché puntare sulla capitale, devia con le sue truppe verso la roccaforte medievale di Laon. Vi si attarda per mettere in salvo gli inestimabili tesori custoditi nella splendida biblioteca dell' abbazia di San Martino. Qualche anno fa il sindaco di Laon, d'intesa con le associazioni partigiane, gli ha conferito la cittadinanza onoraria. I critici di Cacciari dovrebbero leggere gli atti della cerimonia. A Parigi era addetto alla censura della corrispondenza. In realtà lo interessavano gli incontri con scrittori e artisti, i musei, le gallerie, gli antiquari, la vita dei salotti e le ore da flaneur che Parigi gli offriva. I suoi diari parigini sono la testimonianza non solo del suo vivere distaccato nella città occupata, ma anche della sua indipendenza dall' ideologia nazionalsocialista. Lo stato d'animo predominante è quello di una tetra, plumbea malinconia: "Poe, Melville, Holderlin, Tocqueville, Dostoevskij, Burckhardt, Nietzsche, Rimbaud, Conrad" - buona parte, dunque, della letteratura nichilistica che da tempo lo accompagnava. Sul tiranno di Berlino concorda con Carl Schmitt, che gli rende visita a Parigi: non possum scribere contra eum, qui potest proscribere. È coinvolto nella fronda contro Hitler. Fallito l'attentato di von Stauffenberg, se la cava solo perché non vengono scoperte prove a suo carico. Chi continua a etichettare l' "anarca" Jünger come nazionalsocialista, o non è informato o è in malafede. E' consolante che il giudizio più penetrante e differenziato sul presunto nazionalsocialismo di Jünger sia stato pronunciato da una ebrea: Hannah Arendt. Presidente dopo la guerra della "Commission on European Jewish Cultural Reconstruction", la Arendt stese un resoconto sullo stato culturale della Germania postbellica. Di Jünger scrive: "I diari di guerra di Ernst Jünger offrono forse l' esempio migliore e più onesto delle immani difficoltà a cui l' individuo si espone quando vuole conservare intatti i suoi valori e il suo concetto di verità in un mondo in cui verità e morale hanno perduto ogni espressione riconoscibile. Nonostante l'innegabile influenza che i primi lavori di Jünger hanno esercitato su certi membri dell'intelligenza nazista, egli è stato, dal primo all' ultimo giorno del regime, un attivo oppositore del nazismo". In ogni caso: le coscienze benpensanti stiano pure tranquille. Jünger non andrà da nessuna parte. Ha detto solo che vorrebbe fuggire su un atollo sperduto del Pacifico e lì aspettare che le celebrazioni del centenario passino.
(Franco Volpi - LaRepubblica 11 febbraio 1995)
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