A Giovanni Colonna di S. Vito.
...Passeggiando insieme ci aggiravamo per quella città grande cotanto, che mentre in ragion dell'ampiezza vuota si pare, contiene pure una immensa popolazione: ne solo per la città, ma pel dintorni ancora aggirandoci, ad ogni piè sospinto obbietti che a meditare ed a parlar ci eccitavano ne si paravan dinanzi.
Qui la reggia di Evandro, la casa di Carmenta, la spelonca di Caco, la lupa nutrice, il fico ruminale che meglio è dir Romulare, e il varco di Remo. Qua i giuochi circensi, il ratto delle Sabine, la palude Caprea, e il luogo onde Remolo a un tratto disparve. Là i convegni di Numa e d'Egeria, e l'arena degli Orazi e dei Curiazi, e il terreno ove colpito dal fulmine cadde il ristoratore delle milizie e trionfator de nemici, Tulio Ostilio. Qui abitava il re architetto Anco Marzio: qui l'ordinatore della classe dei cittadini Tarquinio Prisco: qui la fiamma discese sulla testa di Servio, qui assisa sul carro passò Tullia feroce e fece per l'orrendo misfatto che scellerata si chiamasse la strada. Ecco la via Sacra, e i colli Celio, Quirinale, Viminale, Esquilino. Qui fu campo Marzio, e decollati per man del Superbo caddero i papaveri: qui la miseranda Lucrezia si trafisse col ferro; di qui fuggiva a morte l'adultero, qui alla offesa pudicizia Bruto apparecchiò la vendetta.
Vedi l'esercito Etrusco e Porsenna minaccioso, e Muzio della propria mano inesorabile punitore, e il figlio del tiranno alle prese con la libertà e il console che caccia e segue all'inferno il nemico respinto dalla città, e rotto alle spalle dell'eroe combattente il Ponte Subitelo, e Grazio che passa il fiume a nuoto e Clelia che animosa ritorna sul Tevere. Questa fu la casa di Publicola venuta a torto in sospetto; qui conduceva Quinto l'aratro quando dai solchi fu chiamato alla Dittatura, e di qui si mosse Serrano ad esser console. Ecco il Gianicolo, e l'Aventino e il Monte Sacro dove tre volte sdegnosa ai padri si ritrasse la plebe. Qui s'ergeva il lascivo tribunale di Appio, qui alle sozze di lui voglie dal paterno ferro fu sottratta Virginia, e la decemvirale lussuria s'ebbe degna la fine; vicino a vincer coll'armi e vinto dalla carità dei suoi di qui partì Coriolano.
Ecco il sasso che prima difese, e donde poi Manlio precipitò: ve' dove, accorrendo improvviso, gli avari Galli contenne Camillo, e ai disperati cittadini insegnò che col ferro e non coll'oro la perduta patria si deve ricuperare. Di qui chiuso nell'armi si gittò Curzio nella voragine: qui fu trovato sotterra il capo d'un uomo che fu di base irremovibile e di presagio al supremo ed inconcusso impero. E questo il luogo ove, presa ali' inganno, cadde oppressa sotto le armi la vergine Ingannatrice: questa la rupe Tarpea, e il censimento del popolo romano da tutto lì mondo raccolto: ecco l'oca di argento, ecco custode Giano dell'armi. Qui, sotto il nome di Statore, di Feretrio, di Capitolino, ebbe Giove sua stanza; questa è la mèta di tutti i trionfi: qua fu condotto Perseo, di qua respinto fu Annibale, qua fu menato Giugurta, sebbene altri dica ch'ei fosse in carcere ucciso: qui Cesare trionfò, e qui fu morto: qui vide Augusto nel tempio a sé prostrati i regi, a portare tributi il mondo. Vedi l'arco ed il portico di Pompeo, il Cimbro di Mario, la Colonna di Traiano sotto la quale, siccome nota Eusebio, egli solo fra tutti gl'imperatori dentro il recinto di Roma ottenne la sepoltura: e di lui medesimo vedi il ponte detto poi di S. Pietro, e la mole di Adriano, sotto la quale ei giace sepolto, che ora si chiama di Castel Sant'Angelo.
Guarda quel sasso di meravigliosa grandezza sacro alla memoria de' divi imperatori sorretto da leoni di bronzo sulla cui cima è fama riposin le ceneri di Giulio Cesare. Questo è il tempio della Dea Tellure, questo della Fortuna, questo della Pace alla venuta del Signore veramente pacifico rovesciato al suolo. Ecco l'edificio di Agrippa tolto alla madre dei falsi numi e dato alla Madre del vero Dio. Qui cadde neve dal cielo ai cinque di agosto, e di qui un ruscello di olio scorse nel Tevere. Qui, secondo che narra la fama. Augusto già vecchio, seguendo le indicazioni della Sibilla, vide Cristo fanciullo. Là sulla via Flaminia vedi la prova del temerario smodato lusso di Nerone nella mole della casa Augusta ove dicono alcuni ch'ei fosse sepolto. Vedi la Colonna di Antonio, e il suo palazzo presso l'Appia. Questo è quello che tu chiami sede del Sole, ed io, secondo che leggo nelle storie, chiamo il Settizonio di Severo Afro.
Vedi su questi marmi dopo tanti secoli ancor manifesta la prova dell'ingegno e dell'arte di Fidia e di Prassitele. Qui Cristo al suo vicario che si ruggiva fecesi incontro, qui Pietro fu alzato in sulla croce, qui tronco il capo a Paolo, qui bruciate le carni a Lorenzo, il quale qui sepolto die' luogo a Stefano che venivagli appresso; qui dell'olio bollente si rise Giovanni, qui Agnese già morta per vietare ai suoi che la piangessero tornò a rivivere. Qua si nascose Silvestre, qua dalla lebbra si mondò Costantino, qui Callisto incontrò gloriosa morte. Ma dove m'inoltro? Posso io in questo piccolo foglio descriverti Roma intera? E se anche il potessi, non sarebbe inutile di farlo? Tutta già tu la conosci, non perché sei cittadino Romano, ma perché di siffatte cose fin dalla prima tua giovinezza fosti vaghissimo.
E chi a' di nostri delle cose di Roma più ignorante dei Romani? Mi duole il dirlo: in nessun luogo Roma è tanto poco conosciuta quanto in Roma. Ed io ne piango, non così per la ignoranza (vizio di cui pur altro non v'ha più deplorevole), come per la fuga e per lo esilio che ne deriva di molte virtù. Conciossiachè non sia da por dubbio, che se cominciasse a riconoscer se stessa dal basso stato in cui giace, Roma issofatto risorgerebbe. Ma di questo faremo lamenti una altra volta. Stanchi sovente dal lungo giro per quella immensa città ci solevam noi fermare alle Terme di Diocleziano, e talor eziandio salir sulla volta di quell'edificio tanto un dì grandioso, a godere più che in altro luogo qualunque, aere salubre, spazioso prospetto, silenzio ed amica solitudine. Ivi non punto di affari o delle domestiche nostre bisogne si ragionava, e non delle cose del pubblico stato, delle quali ci bastava il fattone lamento, e come cammin facendo per le mura della cadente città, così su quelle cime sedendoci, avevam sotto gli occhi lo spettacolo di quelle grandi rovine. Si parlava a lungo di storia della quale ciascun di noi pareva essersi presa la parte sua, per modo che se tu nella moderna ti mostrassi più dotto, io nell'antica, e dico antica quella che precede il culto in Roma e l'adorazione del santo nome di Cristo, moderna l'altra da Cristo insino a noi.
Molto pure fra noi si parlava di quella parte della filosofia che prende dai costumi nome e subbietto, e talora di arti belle, e delle norme e dei cultori delle medesime. E ben mi ricordo che un giorno caduto su quelle il discorso, tu mi chiedesti che con precisione io ti esponessi ciò che già incidentemente altra volta da me avevi udito intorno all'origine delle arti meccaniche e delle liberali. Ed io lo feci come bramavi, e agevolmente lo feci perché l'ora del giorno, la mente serena e la bellezza del luogo mi consentivano mandar per le lunghe quel discorso, e l'attenzione che tu mi prestavi mi dava certezza di riuscirti gradito.
ai 30 di novembre...
Dalle Lettere, FRANCESCO PETRARCA ed. Le Monnier, 1867.
Nessun commento:
Posta un commento