Mediterraneo dossier 55 GRANO O GRANE: CHE FINE HA FATTO IL
GRANO DURO CAPPELLI?
Circa una decina di anni fa, per la precisione nel 2006,
uscì un libro dal titolo Grano o grane. La sfida OGM in Italia (ed. Manni), che
con un taglio divulgativo raccontava gli enormi interessi economici che ruotano
intorno al grano e del crescente interesse delle multinazionali ad occuparsi
della produzione del seme di grano fino a paventarne una origine geneticamente
modificata con tutta una serie di gravi implicazioni per un Paese come l’Italia
così legato al cosiddetto “fattore P”: pane, pasta, pizza e pasticceria. Ho
voluto riprendere parte di quel titolo in quanto credo sia evocativo per
l’argomento che tratterò in questo articolo. Si dirà, “Cosa c’entra tutto
questo con il frumento duro Capelli che è un grano “antico” italiano e quindi
assolutamente immune dai rischi legati all’OGM?”. Di certo non è a rischio il
genoma della varietà Cappelli ma, parimenti alle sementi geneticamente
modificate, anche in questo caso viene messo in pericolo il diritto alla
coltivazione “libera” da parte degli agricoltori con delle conseguenze
particolarmente gravi per le filiere agricole del nostro Paese. di Francesco
Torriani Vice Coordinatore Settore Biologico dell’Alleanza delle Cooperative
Italiane Agricoltura Biologica Un campo coltivato con il Senatore Cappelli. Per
le caratteristiche di questo grano antico si veda l'articolo a pagina 51 Mediterraneo dossier 55 Agricoltura Biologica Grano o
grane: che fine ha fatto il grano duro Cappelli? Ma veniamo ai fatti.
Quest’anno molti agricoltori biologici non hanno potuto seminare il grano duro
varietà Cappelli. Cos’è successo di così grave tanto da impedirne addirittura
la semina? E pensare che sono stati soprattutto gli agricoltori biologici, agli
inizi degli anni Novanta, a rimettere in coltivazione questa “antica” varietà
che nel dopoguerra era stata progressivamente “scartata” a favore delle varietà
“moderne” di taglia più bassa e più produttive, promuovendo filiere locali
volte alla produzione di paste monovarietali provenienti da semola di grano
duro varietà Cappelli. Ricordo che il grano duro Cappelli deriva dalla prima
varietà “eletta”, ottenuta da Nazareno Strampelli, il “mago del grano”, nei
primi anni del XX secolo per selezione genealogica dalla popolazione
nord-africana (tunisina) Jeahn Rhetifah. La selezione era stata eseguita a
Foggia, dove era presente una delle stazioni periferiche del CRA, l’attuale
CREA - Centro di Ricerca per la Cerealicoltura. Al grano in questione fu dato
tale nome in onore del senatore abruzzese Raffaele Cappelli, promotore nei
primi del ‘900 della riforma agraria, che portò alla distinzione tra grani duri
e teneri ed estese la coltivazione del frumento duro anche in altre zone,
rispetto a quelle tradizionali e vocate, proprio per rispondere alle esigenze
dell’autosufficienza alimentare. Per decenni è stato il frumento duro più
coltivato in Italia, in particolare al Sud e nelle Isole. La coltivazione di
questa varietà di frumento era quasi scomparsa dopo gli anni Cinquanta,
tuttavia il CRA, ente di ricerca pubblico vigilato dal Ministero delle
Politiche Agricole Alimentari e Forestali, che aveva mantenuto la selezione
conservatrice, decise nel 1969 di iscriverlo al registro delle varietà di grano
duro con il nome “Cappelli”. Mediterraneo dossier 55 Fino all’anno scorso le
ditte sementiere italiane autorizzate alla moltiplicazione e alla
commercializzazione del seme erano due ed è anche grazie al loro lavoro che si
sono sviluppate in Italia tante filiere di frumento duro Cappelli da
agricoltura biologica. Nel 2016 il CREA, di fatto il proprietario del Cappelli,
ha pubblicato una manifestazione di interesse per affidare l’esclusiva dei
diritti di moltiplicazione e commercializzazione “di una nuova cultivar di
grano duro denominata Cappelli”. I diritti patrimoniali derivanti dallo
sfruttamento della cultivar spettano al CREA, sede in Roma, attraverso il
versamento di una royalty. La SIS - Società Italiana Sementi s.p.a. si è
aggiudicata per 15 anni la moltiplicazione e la commercializzazione in
esclusiva della varietà di frumento duro Cappelli e, con tale aggiudicazione,
si è venuta di fatto a creare una situazione di licenza in esclusiva da parte
di un’unica ditta sementiera. Inoltre, la fornitura del seme certificato
(cosiddetto cartellinato) all’azienda agricola è condizionata alla sottoscrizione
di un contratto di coltivazione con la ditta sementiera nel quale si prevede il
conferimento dell’intera produzione agriAgricoltura Biologica Grano o grane:
che fine ha fatto il grano duro Cappelli?
Mediterraneo dossier 55 Agricoltura Biologica Grano o grane: che fine ha fatto
il grano duro Cappelli? cola: sia quella destinata alla riproduzione del seme
(questo sarebbe accettabile trattandosi di seme destinato alla moltiplicazione)
che di quella destinata alla trasformazione. In tale ultima ipotesi, gli
agricoltori sono privati a tutti gli effetti della possibilità di sviluppare e
promuovere delle filiere fino al prodotto finito. L’obbligo di riconsegna di
tutto il raccolto garantisce alla ditta sementiera di essere di fatto
l’esclusivista non solo della riproduzione e commercializzazione della semente,
come previsto dal bando CREA, ma anche della granella destinata alla
trasformazione in semola. Tutto questo crea un regime di assoluto monopolio
della commercializzazione della granella di grano duro Cappelli, in quanto non
è possibile il semplice acquisto della semente da parte dell’imprenditore
agricolo. Tale situazione sta mettendo in ginocchio filiere già avviate da
decine di anni e porta con sé anche un’altra non trascurabile conseguenza: la
filiera del grano duro Cappelli inizia e si chiude con l’industria (ditta
sementiera), interrompendo a tutti gli effetti la natura agricola della stessa
e riducendo fortemente la figura dell’agricoltore ad un mero prestatore d’opera
alle condizioni imposte dall’industria sementiera. Un altro aspetto non
marginale è anche l’entità della royalty, non solo quella applicata al seme
destinato alla moltiplicazione, ma soprattutto quella applicata al seme
destinato alla molitura. Quello che sta avvenendo con il frumento duro Cappelli
è comunque “paradigmatico” sulla situazione delle sementi in agricoltura, in
particolare in agricoltura biologica, e ci obbliga ad avere un’attenzione
assoluta su questo argomento. Un argomento dirimente per il futuro
dell’agricoltura, sicuramente complesso, che porta in sé sia aspetti normativi
e legali che economici e produttivi. Pertanto l’attenzione che siamo chiamati a
sviluppare nei confronti delle sementi non potrà limitarsi solo alle denunce
“ideologiche”, seppur legittime, ma dovrà promuovere fattivamente filiere che
siano in grado di produrre del “buon seme biologico” e dove gli agricoltori
associandosi dovranno davvero svolgere un ruolo importante e non meramente
simbolico. Infatti, è sempre più evidente che la produzione di sementi e del
materiale di moltiplicazione vegetativo è strategico per la crescita del
comparto dell’agricoltura biologica. Tale aspetto rappresenta un vulnus per il
nostro sistema produttivo biologico che, per diverse ragioni, non ha saputo e/o
voluto e/o potuto sviluppare progetti significativi per le produzioni di
sementi e di materiale di moltiplicazione vegetativo biologico. In un settore
così in crescita come appunto quello dell’agricoltura biologica, dove è sempre
più facile costatare l’ingresso di gruppi agroindustriali, si rischia di
assistere sempre più di frequente a fenomeni speculativi/opportunistici,
soprattutto nel settore sementiero, storicamente integrato con l’agroindustria.
Certamente ci sono in Italia e in Europa esperienze molto interessanti da far
conoscere e diffondere, ma abbiamo ancora molto da fare e in fretta. La vicenda
Cappelli ci insegna, infine, anche un’altra cosa particolarmente importante in
materia di politica agricola: non cedere alle sirene dei populismi che hanno
forte eco anche in agricoltura e possono colpire facendo danni importanti al
nostro settore. Il Cappelli è sì, infatti, una varietà “antica” italiana, ma le
sue origini geniche stanno in Tunisia: questo ci dice che per far crescere le
nostre filiere abbiamo bisogno di più “carte d’identità”, ma di meno
“passaporti”. Visioni “sovraniste” che rifiutano le politiche di cooperazione
tra i Paesi sono miopi e spesso dettate più dalla paura per il futuro che da
veri progetti di crescita per le nostre imprese. Infine, enfatizzando il Made
in Italy senza una vera politica agricola a sostegno delle filiere a favore di
una politica agricola legata più ai “fascicoli aziendali” e meno alle
produzioni reali, si fa della facile demagogia agroalimentare e si finisce
sempre più per ridurre la figura dell’agricoltore a
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