sabato 20 gennaio 2018

CHE FINE HA FATTO IL GRANO DURO CAPPELLI?

Mediterraneo dossier 55 GRANO O GRANE: CHE FINE HA FATTO IL GRANO DURO CAPPELLI?
Risultati immagini per la raccolta del grano prima dell'arrivo delle macchine

Circa una decina di anni fa, per la precisione nel 2006, uscì un libro dal titolo Grano o grane. La sfida OGM in Italia (ed. Manni), che con un taglio divulgativo raccontava gli enormi interessi economici che ruotano intorno al grano e del crescente interesse delle multinazionali ad occuparsi della produzione del seme di grano fino a paventarne una origine geneticamente modificata con tutta una serie di gravi implicazioni per un Paese come l’Italia così legato al cosiddetto “fattore P”: pane, pasta, pizza e pasticceria. Ho voluto riprendere parte di quel titolo in quanto credo sia evocativo per l’argomento che tratterò in questo articolo. Si dirà, “Cosa c’entra tutto questo con il frumento duro Capelli che è un grano “antico” italiano e quindi assolutamente immune dai rischi legati all’OGM?”. Di certo non è a rischio il genoma della varietà Cappelli ma, parimenti alle sementi geneticamente modificate, anche in questo caso viene messo in pericolo il diritto alla coltivazione “libera” da parte degli agricoltori con delle conseguenze particolarmente gravi per le filiere agricole del nostro Paese. di Francesco Torriani Vice Coordinatore Settore Biologico dell’Alleanza delle Cooperative Italiane Agricoltura Biologica Un campo coltivato con il Senatore Cappelli. Per le caratteristiche di questo grano antico si veda l'articolo a pagina 51  Mediterraneo dossier 55 Agricoltura Biologica Grano o grane: che fine ha fatto il grano duro Cappelli? Ma veniamo ai fatti. Quest’anno molti agricoltori biologici non hanno potuto seminare il grano duro varietà Cappelli. Cos’è successo di così grave tanto da impedirne addirittura la semina? E pensare che sono stati soprattutto gli agricoltori biologici, agli inizi degli anni Novanta, a rimettere in coltivazione questa “antica” varietà che nel dopoguerra era stata progressivamente “scartata” a favore delle varietà “moderne” di taglia più bassa e più produttive, promuovendo filiere locali volte alla produzione di paste monovarietali provenienti da semola di grano duro varietà Cappelli. Ricordo che il grano duro Cappelli deriva dalla prima varietà “eletta”, ottenuta da Nazareno Strampelli, il “mago del grano”, nei primi anni del XX secolo per selezione genealogica dalla popolazione nord-africana (tunisina) Jeahn Rhetifah. La selezione era stata eseguita a Foggia, dove era presente una delle stazioni periferiche del CRA, l’attuale CREA - Centro di Ricerca per la Cerealicoltura. Al grano in questione fu dato tale nome in onore del senatore abruzzese Raffaele Cappelli, promotore nei primi del ‘900 della riforma agraria, che portò alla distinzione tra grani duri e teneri ed estese la coltivazione del frumento duro anche in altre zone, rispetto a quelle tradizionali e vocate, proprio per rispondere alle esigenze dell’autosufficienza alimentare. Per decenni è stato il frumento duro più coltivato in Italia, in particolare al Sud e nelle Isole. La coltivazione di questa varietà di frumento era quasi scomparsa dopo gli anni Cinquanta, tuttavia il CRA, ente di ricerca pubblico vigilato dal Ministero delle Politiche Agricole Alimentari e Forestali, che aveva mantenuto la selezione conservatrice, decise nel 1969 di iscriverlo al registro delle varietà di grano duro con il nome “Cappelli”. Mediterraneo dossier 55 Fino all’anno scorso le ditte sementiere italiane autorizzate alla moltiplicazione e alla commercializzazione del seme erano due ed è anche grazie al loro lavoro che si sono sviluppate in Italia tante filiere di frumento duro Cappelli da agricoltura biologica. Nel 2016 il CREA, di fatto il proprietario del Cappelli, ha pubblicato una manifestazione di interesse per affidare l’esclusiva dei diritti di moltiplicazione e commercializzazione “di una nuova cultivar di grano duro denominata Cappelli”. I diritti patrimoniali derivanti dallo sfruttamento della cultivar spettano al CREA, sede in Roma, attraverso il versamento di una royalty. La SIS - Società Italiana Sementi s.p.a. si è aggiudicata per 15 anni la moltiplicazione e la commercializzazione in esclusiva della varietà di frumento duro Cappelli e, con tale aggiudicazione, si è venuta di fatto a creare una situazione di licenza in esclusiva da parte di un’unica ditta sementiera. Inoltre, la fornitura del seme certificato (cosiddetto cartellinato) all’azienda agricola è condizionata alla sottoscrizione di un contratto di coltivazione con la ditta sementiera nel quale si prevede il conferimento dell’intera produzione agriAgricoltura Biologica Grano o grane: che fine ha fatto il grano duro Cappelli?  Mediterraneo dossier 55 Agricoltura Biologica Grano o grane: che fine ha fatto il grano duro Cappelli? cola: sia quella destinata alla riproduzione del seme (questo sarebbe accettabile trattandosi di seme destinato alla moltiplicazione) che di quella destinata alla trasformazione. In tale ultima ipotesi, gli agricoltori sono privati a tutti gli effetti della possibilità di sviluppare e promuovere delle filiere fino al prodotto finito. L’obbligo di riconsegna di tutto il raccolto garantisce alla ditta sementiera di essere di fatto l’esclusivista non solo della riproduzione e commercializzazione della semente, come previsto dal bando CREA, ma anche della granella destinata alla trasformazione in semola. Tutto questo crea un regime di assoluto monopolio della commercializzazione della granella di grano duro Cappelli, in quanto non è possibile il semplice acquisto della semente da parte dell’imprenditore agricolo. Tale situazione sta mettendo in ginocchio filiere già avviate da decine di anni e porta con sé anche un’altra non trascurabile conseguenza: la filiera del grano duro Cappelli inizia e si chiude con l’industria (ditta sementiera), interrompendo a tutti gli effetti la natura agricola della stessa e riducendo fortemente la figura dell’agricoltore ad un mero prestatore d’opera alle condizioni imposte dall’industria sementiera. Un altro aspetto non marginale è anche l’entità della royalty, non solo quella applicata al seme destinato alla moltiplicazione, ma soprattutto quella applicata al seme destinato alla molitura. Quello che sta avvenendo con il frumento duro Cappelli è comunque “paradigmatico” sulla situazione delle sementi in agricoltura, in particolare in agricoltura biologica, e ci obbliga ad avere un’attenzione assoluta su questo argomento. Un argomento dirimente per il futuro dell’agricoltura, sicuramente complesso, che porta in sé sia aspetti normativi e legali che economici e produttivi. Pertanto l’attenzione che siamo chiamati a sviluppare nei confronti delle sementi non potrà limitarsi solo alle denunce “ideologiche”, seppur legittime, ma dovrà promuovere fattivamente filiere che siano in grado di produrre del “buon seme biologico” e dove gli agricoltori associandosi dovranno davvero svolgere un ruolo importante e non meramente simbolico. Infatti, è sempre più evidente che la produzione di sementi e del materiale di moltiplicazione vegetativo è strategico per la crescita del comparto dell’agricoltura biologica. Tale aspetto rappresenta un vulnus per il nostro sistema produttivo biologico che, per diverse ragioni, non ha saputo e/o voluto e/o potuto sviluppare progetti significativi per le produzioni di sementi e di materiale di moltiplicazione vegetativo biologico. In un settore così in crescita come appunto quello dell’agricoltura biologica, dove è sempre più facile costatare l’ingresso di gruppi agroindustriali, si rischia di assistere sempre più di frequente a fenomeni speculativi/opportunistici, soprattutto nel settore sementiero, storicamente integrato con l’agroindustria. Certamente ci sono in Italia e in Europa esperienze molto interessanti da far conoscere e diffondere, ma abbiamo ancora molto da fare e in fretta. La vicenda Cappelli ci insegna, infine, anche un’altra cosa particolarmente importante in materia di politica agricola: non cedere alle sirene dei populismi che hanno forte eco anche in agricoltura e possono colpire facendo danni importanti al nostro settore. Il Cappelli è sì, infatti, una varietà “antica” italiana, ma le sue origini geniche stanno in Tunisia: questo ci dice che per far crescere le nostre filiere abbiamo bisogno di più “carte d’identità”, ma di meno “passaporti”. Visioni “sovraniste” che rifiutano le politiche di cooperazione tra i Paesi sono miopi e spesso dettate più dalla paura per il futuro che da veri progetti di crescita per le nostre imprese. Infine, enfatizzando il Made in Italy senza una vera politica agricola a sostegno delle filiere a favore di una politica agricola legata più ai “fascicoli aziendali” e meno alle produzioni reali, si fa della facile demagogia agroalimentare e si finisce sempre più per ridurre la figura dell’agricoltore a

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