GLI ARCHEOGIALLI/Per
secoli gli storici hanno dibattuto
su cosa pendesse sul suo torace. Finché un archeologo svizzero...
Quel mistero pagano
al collo di Artemide
dal nostro inviato
SERGIO FRAU
EFESO (TURCHIA) - Davvero tutti seni? Anzi "mammelle", come con
linguaggio crudo giuravano i referti archeologici? O, invece, erano
melanzane? O, piuttosto, uova di struzzo? Possibile seni mozzati di
Amazzoni? Strana pista davvero, questa, stavolta... Strana per millenni
anche lei, però: la misteriosa Artemide, Nostra Signora dei Turchi, che
quel prodigio-rompicapo ha sempre esibito sul torace...
Hierapolis. Missione archeologica italiana a Hierapolis, una delle
città-spettacolo dell'Asia minore lungo la via reale che legava i centri
della costa con l'interno. Si era a metà anni '70 del secolo scorso quando
le équipe del Cnr, del Politecnico di Torino e dell'Università di Lecce,
scava scava, fecero saltar fuori i blocchi di un fregio che ora - almeno a
vederlo al museo di qui - sembra quasi un fumettone pietrificato. Vi appare
- pietra dopo pietra, rilievo dopo rilievo - una lunga processione di tori
condotta da fedeli bardati a festa. Meta finale di quella sfilata taurina
il Santuario di Artemide ad Efeso, a un centinaio di chilometri da
Hierapolis.
Efeso. Il tempio di Artemide, ad Efeso - l'Artemision - era talmente
bello, e ricco, e stupefacente che finì nel listone delle Sette meraviglie
del Mondo Antico. Del resto già il primo di Artemision, quello del VI
secolo - che un incendiario poi, nel 356 a.C. distrusse - era sorto per
stupire in una zona sacra da sempre. Al re Creso, che aveva conquistato la
città, i soldi non mancavano: era il sovrano di Sardi, lui, la prima città
a far monete da cui Erodoto ci fa arrivare - tornare? - qui in Italia i
suoi Tirreni dopo gli anni d'Oriente.
Così, grazie al re, ne era venuto fuori un colossale portento: 50 metri per
103, il triplo del Tempio di Zeus a Olimpia. Le sue colonne? Quasi il
doppio - 19 metri - delle più alte mai viste fino ad allora. E fregi lunghi
300 metri; e teste di leone; e fatiche di Ercole; e la guerra di Troia...
Ne parlò il mondo intero, poi, quando bruciò. Una ricostruzione lampo e per
mezzo millennio ancora - fino ai Goti qui a saccheggiarlo nel 262 d.C. - la
sua descrizione viaggiò di bocca in bocca, di pagina in pagina, tutto il
Mediterraneo. Filone di Bisanzio: "Chiunque l'abbia visto crederà che
qui vi sia stato uno scambio vicendevole tra l'uomo e il Supremo".
È una bellezza anche oggi Efeso, ora che del tempio rimangono solo un po'
di colonne per terra, là, sul pavimento a evocarne la grandiosità. Sarà
quella sua lunga discesa ancora perfetta di lastroni consunti che sembra
cera fusa, solidificata. O gli edifici che la bordano spesso ancora su, a
due piani. O i decori pazzi, a trapano, che esagerano dappertutto? O il
Teatro, uno dei meglio conservati rimasti. Certo, c'entreranno un po' anche
i marchi degli austriaci: qui han fatto prodigi di scavi e restauri...
Fatto sta che Efeso ancor oggi da l'idea di farti camminare in una città
santa. Santa e ricca: uno dei posti antichi più belli del mondo.
Tutto il merito va alla padrona di casa, Artemide, vera divinità multiuso:
efficace per puerpere e maritate, ma anche nutrice di tutti gli animali ed
esseri viventi. Già i Greci la chiamavano polymastos ovvero "dalle
molte mammelle". San Girolamo tradusse in latino - multimammiam - e
così, superdotata, entrò nelle classificazioni rinascimentali che
scaffalano ancor oggi la nostra cultura.
Qualche sospetto di tanto in tanto veniva fuori. Tipo: strano che tutti
quei suoi seni non abbiano capezzoli... Strane, anche, quelle tette così
giù... Strano che nella copia dell'Archeologico di Napoli mani, volto e
piedi - là dove la dea fa vedere la sua pelle - è tutta bronzo, mentre
l'apparato toracico è invece in alabastro, come le vesti e la corona. Si
ipotizzarono melanzane, appese lì davanti. O uva, datteri, uova di struzzo.
Si pensò, persino, a seni di amazzoni amputati e messi lì... Strano pure
che lo Zeus Cario, adorato lì in zona, avesse anche lui quel trionfo di
roba sul petto, barbuto com'è...
Svizzera. Le foto di quel fregio hieropolitano con i tori e Artemide
fecero il giro del mondo a illustrare un libro di Francesco d'Andria,
grecista e archeologo, che dava conto degli scavi italiani. D'Andria e i suoi
per Hierapolis sono una vera manna: scavano qui da decenni e hanno già
fatto rivivere gran bella roba. Del resto anche il posto è uno dei più
strabilianti che ti possa capitare di vedere: piazzato a cavalcioni su una
delle faglie tettoniche più pazze del mondo, ha gran parte dei suoi
capolavori architettonici abbattuti dai terremoti. Scene da Genesi e da
Apocalisse insieme, le sue: non solo la maestosa cascata di calcare bianco
e acque calde che ogni depliant turco si gioca in copertina, con tanto di nebbiolina
dell'alba, ma anche - appena più in là - un'intera città con la sua
necropoli tutta affastellata di tombe dai coperchi impennati verso il
cielo. Molte mura di Hierapolis sono crollate ma senza squinternarsi: le
vedi invece adagiate al suolo, smazzate. Quasi come carte da gioco. E
pavimenti fratturati. E statue decapitate. E colonne giù per terra: una
miniera di antico che fa brillare gli occhi all'èquipe di archeologi
italiani ogni volta che vi tornano in missione.
Si vede subito che è zona di miracoli questa: del resto Hierapolis proprio
Città Santa vuol dire. E mica solo per miracoli antichi... Anche recenti.
Gli ultimi due? La decisione del governo turco di far abbattere con la
ruspa gli alberghi che, circondando troppo da presso la cascata delle
meraviglie, erano riusciti a strangolarne la bellezza e infettarne, con i
loro liquami, il candore. Il secondo? E anch'esso recentissimo: accettare
l'azzardo della proposta firmata D'Andria di tenere la zona archeologica
così com'è, segnata dai colpi che i terremoti nei secoli le hanno inferto,
senza rimontare le costruzioni crollate. Ne è nato il primo fascinossimo -
struggente, sconvolgente - Parco archeosismologico del mondo. Ora ci stanno
lavorando di buona lena anche con l'Università di qui, la Osmangazi. Tutto
tornerà in piedi, lo stesso, ma solo virtualmente, in un sito visitabile da
tutti anche via internet.
Il libro che dava conto del fregio tutto tori, capitò sott'occhio a un
archeologo svizzero, il professor Gérard Seiterle che si fece fulminare da
un particolare: quei tori puntavano dritti, in fila indiana, all'Artemide
ipermammellata di Efeso. Se il professore avesse già un'insolita
dimestichezza con i mitici quadrupedi non è dato sapere... Fatto sta che
solo a lui, però, scattò in testa un'idea che andava obbligatoriamente
verificata: si mise d'accordo con il suo macellaio di fiducia; fece anche
costruire un facsimile della Artemide efesina, senza tutte le sue poppe,
però. Provò e riprovò. E riprovò ancora. Quando fu proprio certo di aver ragione
indisse una conferenza striata di teatralità: sul torace della sua Artemide
nuova di zecca montò collane preparate apposta infilzando tutte insieme la
ventina di palle di toro che il macellaio gli aveva tenuto da parte, in
frigo. Brusio in sala e gran successo! Tutto confermato: non era, dunque,
un terribile scherzo della natura tutta quella roba che ad Artemide
esplodeva fuori dal petto! Non erano "turgide mammelle a significare
la forza sempre vitale e alimentatrice della natura" come liricamente
si scriveva ancora nel secolo scorso sui cataloghi dell'Archeologico di
Napoli. Erano, molto più semplicemente, grappoli di palle: ex voto taurini,
appesi lì, a sacrificio appena avvenuto.
Di nuovo a Efeso. L'avesse saputo Paolo, il futuro San Paolo, lì in
zona a fiammeggiare contro i pagani, di certo l'avrebbe usato contro di
lei, questo particolare granguignolesco della dea. (E agli Atti degli
Apostoli, invece, questo non risulta). Ne disse talmente tante altre, però
- e così dure - che a un certo punto ci fu una vera e propria ribellione
dei venditori di souvenir efesini. A capeggiarla tal Demetrio, argentiere
di una premiata fabbrica di tempietti della dea. Esasperato, Demetrio
convocò artigiani e concorrenti e: "Amici, voi sapete che da questa
attività dipende il nostro benessere. In quasi tutta, l'Asia questo Paolo
va sobillando e traviando molta gente sostenendo che non sono dèi quelli
fatti con le mani. C'è pericolo che non solo venga screditata la nostra
categoria ma anche che il santuario della grande dea Artemide non conti più
nulla...". Stava per finire in rissa. Ma Paolo se ne partì: aveva da
convertir Roma, lui. Più avanti - con il Cristianesimo trionfante, ormai
religione di Stato - la questione andò a posto da sola, grazie a un
Concilio del V secolo. Vi si "certificò" che proprio ad Efeso era
morta la Madonna, madre di Gesù: così ai memorabilia pagani di Artemide si
sostituirono quelli cristiani di Maria. Oggi le due vergini più famose
della storia sacra - Artemide e Maria - convivono benedicenti sulle
bancarelle dei souvenir.
Un mistero - una volta risolto - tira l'altro, si sa. Appese quelle palle
alla dea, il professor Seiterle si ritrovò sul bancone le sacche che quelle
palle - a tori vivi e vegeti - contenevano. Tecnicamente: gli scroti dei tori.
Conciati a dovere con l'allume si trasformarono d'incanto in quei Berretti
Frigi che han fatto da simbolo alla Rivoluzione Francese. [ab]Come emblema
del classicismo greco e della sua democrazia[bb] si è sempre detto. Prima
di finir in testa alla Marianna, però, quel copricapo fu emblema di Mitra,
Dio Sole da Est a Ovest, e di migliaia di schiavi affrancati. Roba di
popolo, quindi. Sicuro che il simbolo del 1789 fu clonato dall'iconografia
colta della Grecia? Ora - e grazie all'archeologia - c'è un'ipotesi in più.
(26 agosto 2002) dal quotidiano Repubblica
|
Nessun commento:
Posta un commento