martedì 9 maggio 2023

Renato Caccioppoli nipote del padre dell'anarchismo Bakunin




“Mi domando: a che vale adoperarsi per fare ancora della matematica quando ha rinunciato a essa uno che poteva farla nel modo che tutti noi ammiravamo?”
L’8 maggio del 1959 con un colpo di pistola Renato Caccioppoli metteva fine alla sua esistenza.
Pochi giorni prima, il 30 aprile, venne visto per l’ultima volta. I primi giorni di maggio il matematico Salvatore Rionero fu “invaso da un senso di desolato stupore e di malinconia indescrivibile” nel guardalo. Sembra reggersi a stento in piedi, cammina con difficoltà e la sua figura è scheletrica. Come scrive Lorenza Foschini nel libro L’attrito della vita, indagine su Renato Caccioppoli, “appare fragile come il vetro e dà l’impressione che, come il vetro, possa infrangersi da un momento all’altro.”
Rionero gli va incontro e affettuosamente domanda: “Professore, come sta?” E lui, dandogli la mano rispose: “Rionero, come vuole che stia?”.
Caccioppoli, nella sua Napoli, era soprannominato o’Genio. Fu, senz’altro, un matematico di grandissimo valore, il cui impatto sull’Analisi Matematica fu notevole. Il suo lavoro rivela una personalità scientifica di eccezionale originalità. Come scrisse Carlo Miranda:
“Caccioppoli non amava il lavoro di lima e di rifinitura, ma preferiva affrontare costantemente problemi nuovi e con l’intuito geniale di cui era dotato sapeva spesso precorrere i tempi, aprendo nuove via al progresso della scienza. I suoi lavori hanno avuto perciò un’importanza di primo piano sia per i risultati conseguiti, sia per il largo apporto di nuove idee e di nuovi indirizzi con cui essi hanno profondamente influenzato l’attività scientifica di tutta una generazione di analisti.”
Anche Edoardo Vesentini spese parole di stima:
“Caccioppoli resta un matematico classico, fuori dal tempo in cui è vissuto, che scriveva i suoi lavori per precisare anzitutto a sé stesso, e poi a chi fosse in grado di seguire le sue argomentazioni, i termini dei problemi, lasciando nelle sue note traccia, sovente molto succinta delle intuizioni che l’avevano condotto alla soluzione. Molti di quei lavori sono di lettura difficile, ed alcuni susciterebbero oggi le riserve di più di un referee. Ma, a chi voglia e sappia comprenderli, essi offrono spesso la sensazione inebriante di partecipare- a fianco di un ingegno raffinato- alla costruzione di un nuovo capitolo della scienza.”
Per citare uno dei suoi lavori, nel 1932 dimostrò un importantissimo risultato (l’analiticità delle soluzioni delle equazioni ellittiche con coefficienti di classe C^2) che venne poi ripreso, nel 1957, da Ennio de Giorgi (altro genio matematico del XX secolo) che riuscì a risolvere il diciannovesimo problema di Hilbert. Il problema venne risolto indipendentemente anche da John Nash. De Giorgi in quegli anni era borsista presso L’Istituto per le Applicazioni del Calcolo (IAC) e Caccioppoli fu uno dei primissimi firmatari delle prime pubblicazioni dell’IAC, Istituto fondato e diretto da Mauro Picone, il Maestro di Renato.
De Giorgi aveva una grande ammirazione per Caccioppoli e a più riprese ricordò la sua figura:
“Al di là di quelle che possono essere le dolorose vicende umane, c’era indubbiamente nella visione di Caccioppoli dell’arte e della matematica, della scienza, non l’idea del disordine ma piuttosto l’idea dell’armonia pitagorica, cioè l’idea che alla fine dei contri la costruzione matematica veramente interessante doveva essere una costruzione belle e armonica.
Per quanto sia difficile e incauto entrare nel mistero di un uomo, però se dovessi vedere un filo tra l’interesse artistico, scientifico, sociale e civile di Caccioppoli, lo vedrei in questa aspirazione di fondo all’armonia e nel dolore che tutte le varie disarmonie ai vari livelli gli procuravano. Riconosco che ad un certo punto bisogna fermarsi di fronte al mistero dell’uomo perché solo Dio legge nei cuori degli uomini, noi possiamo fare solo delle deboli congetture.”
Aveva detto, a più riprese, ai suoi colleghi e amici di non voler nessuna celebrazione dopo la sua morte ma il periodo immediatamente successivo fu accompagnato da sconforto e smarrimento. Picone, che come scritto sopra fu il Maestro di Renato, scrisse in una lettera a Fichera appena dopo il tragico atto:
“Mi domando: a che vale adoperarsi per fare ancora della matematica quando ha rinunciato a essa uno che poteva farla nel modo che tutti noi ammiravamo?"

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