domenica 25 ottobre 2020

La chiesa di Santa Maria Maggiore


La chiesa si trova a Lanciano nell’antico quartiere Civitanova. La sua costruzione risale al 1227 sulle rovine di una chiesa precedentemente eretta su un tempio di Apollo, anche se la maestosa facciata gotica è stata realizzata dal maestro lancianese Francesco Petrini nel XIV secolo.E' la chiesa più interessante della città ed uno dei monumenti più importanti dell'intero Abruzzo. Sorge all'interno dell'antico quartiere Civitanova, tra via Santa Maria Maggiore e via Garibaldi. Di architettura borgognona-cistercense, con grandioso presbiterio,fu eretta nel 1227, modificata nel sec. XIV e poi di nuovo intorno al 1540. La splendida facciata, tutta in pietra arenaria, è divisa in due parti: in quella di sinistra, alla sommità di un'ampia gradinata, si trova un magnifico portale, opera di Francesco Petrini , arricchito da eleganti colonnine e, nella lunetta, da un rilievo della crocifissione mentre, in quella di destra, che si apre al livello della strada, vi è un portale ogivale assai semplice. I lavori di restauro condotti alla fine degli anni sessanta hanno restituito all'edificio la sua immagine duecentesca, con l'eliminazione delle due navate aggiunte in periodo cinquecentesco, riportando così l'impianto da cinque navate alle tre originarie. L'interno si presenta con una navata principale separata dalle altre due da agili colonne sormontate da volte a crociera.L'abside è caratterizzato da un corpo ottagonale con quattro archi . Nella chiesa si conserva una magnifica croce, alta m.1,49, d'argento cesellato che l'orafo Nicola da Guardiagrele eseguì nel 1422 e un trittico, attribuito al bergamasco Girolamo Galizzi, con la Madonna e il Bambino tra San Nicola e San Tommaso. Sul prospetto posteriore, verso l'attuale via Garibaldi, si eleva il campanile, a pianta quadrata con quatto piani, dall'aspetto solenne ed elegante. è considerata uno dei Siti Sacri Globali....

LA CITTA' DI PELTUINUM


Un’antica città collocata su un altopiano della Piana di Navelli, intorno le montagne del Gran Sasso, del Velino-Sirente, della Majella e al centro la Via Claudia Nova costruita dall’imperatore Claudio per facilitare gli spostamenti. Peltuinum, oggi inclusa nei territori comunali di Prata d’Ansidonia (AQ) e di San Pio delle Camere (AQ), nasce in questo suggestivo scenario nel I secolo a.C. su un territorio un tempo abitato dal popolo italico dei Vestini e poi assoggettato dai Romani.I Roma edificarono la città di Peltuinum in un punto strategico: lungo un tratturo già utilizzato in epoca preromana e sopra una falda acquifera. Questi due punti di forza furono utili per sfruttarne le potenzialità agricole e per farne uno dei punti di sosta per le greggi che si spostavano verso la Puglia. Il controllo dei proventi della transumanza era d’altronde fondamentale per il popolo romano e Peltuinum fu costruita su questo pianoro a presidio degli interessi della Roma imperiale.,,, Il sito archeologico è di grande pregio...sono stati rinvenuti i resti di molte Domus romane, un tempio e le gradinate del Teatro.
I vani sono stati adattati nel medioevo quando, appunto, il tratturo coincideva con la via romana e l’antica porta veniva utilizzata per il pagamento del dazio delle greggi.
L’antica porta romana di ingresso a Peltuinum è stata, infatti, utilizzata per il dazio delle pecore, in latino ‘ansario‘ da cui è derivato ‘ansidonia‘.

sabato 24 ottobre 2020

La Basilica Cisterna di Istanbul

Nessuna descrizione della foto disponibile.La Basilica Cisterna, Yerebatan Sarnici, che in turco significa “il palazzo inghiottito” è uno dei monumenti più visitati di Istanbul. È stata costruita dall’imperatore Costantino nel IV secolo e fu poi ampliata dall’imperatore Giustiniano nel 532.
Scoperta per caso sul finire del XIX secolo la cisterna è stata sottoposta a ristrutturazione nel 1985 ed è stata aperta al pubblico solo nel settembre del 1987.
Lunga 143 metri e larga 70 metri, la Cisterna forniva acqua per il palazzo imperiale con un serbatoio di 80.000 metri cubi. Era alimentata dall’acquedotto di Valente che convogliava le acque dalle colline circostanti, si trattava di uno degli acquedotti più lunghi costruiti nel tardo periodo romano, utilizzato addirittura fino agli anni ’50 e ben visibile ancora oggi nei pressi di Aksaray per la lunghezza di 900 metri.
Il serbatoio della Cisterna oggi si presenta come un enorme spazio sotterraneo in cui trovano spazio 336 colonne alte 9 metri e distanziate l’una dall’altra di 4,90 m. I capitelli sono un misto tra gli stili Ionico e Corinzio, con alcune eccezioni rappresentate da colonne Doriche o addirittura di colonne non decorate.
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TEMPIETTI DEVOZIONALI ROMANI

Nel relitto di una nave romana naufragata tra il 19 e il 12 a.C. nei pressi di Comacchio (ce ne siamo occupati qualche giorno fa a proposito del carico di lingotti di piombo) sono stati trovati cinque templi in miniatura che avevano la funzione di oggetti di devozione.
Si tratta di tempietti che per la tecnica di lavorazione e lo stile decorativo erano destinati all’acquisto da parte di devoti per essere esposti all’interno del larario domestico, come si deduce dalla presenza dell’anello di sospensione. Erano prodotti in serie mediante la fusione di piombo argentifero e la colata in stampo degli elementi principali, montati infine con punti di saldatura o a incastro.
Riproducono esempi generici di tempio su podio con colonnine ioniche, con piedi a forma di zampa di leone. La realizzazione effettuata con cura riproduce sulle pareti e sui tetti gli elementi caratteristici della propaganda politica di Augusto: il SIDUS IULIUS, la cometa che è attestata su Roma alle idi di marzo del 44 a.C., giorno della morte di Cesare, i trofei delle vittorie in Gallia, l’ibis, l’uccello simbolo dell’Egitto sottomesso a Roma.
I tempietti sono muniti di porte apribili e mostrano Venere, progenitrice della famiglia Giulia, ritratta assieme a Priapo o con un trofeo di armi, e Mercurio con una borsa di monete, identificato spesso con Augusto.
Il relitto da cui provengono è quello della nave di Valle Ponti, attualmente in restauro, il cui carico è esposto al MUSEO DELTA ANTICO di Comacchio.

venerdì 23 ottobre 2020

giovedì 22 ottobre 2020

Kali Yuga

La fine del Kali Yuga nel 2025 | TUTTI PER UNO * UNO PER TUTTI

La dottrina del ciclo Yuga ci dice che stiamo vivendo nel Kali Yuga, l'età delle tenebre, quando la virtù morale e le capacità mentali raggiungono il loro punto più basso del ciclo. Il poema epico indiano Mahabharata descrive il Kali Yuga, come il periodo in cui l '"anima del mondo" è nera, età in cui solo un quarto della virtù rimane, che diminuisce lentamente a zero alla fine del Kali Yuga. Gli uomini in questo periodo saranno malvagi, percorsi da malattie varie, letargie, rabbia fra i popoli oltre a molte calamità naturali. Penitenza, sacrifici e osservanze religiose cadranno in disuso. Tutte le creature degenereranno.


Secondo l'interpretazione della maggior parte delle Sacre Scritture induiste, il Kali Yuga è l'ultimo dei quattro yuga; si tratta di un'era oscura, caratterizzata da numerosi conflitti e da una diffusa ignoranza spirituale. 
Durante quest'epoca di Kali Yuga si assiste allo sviluppo nella tecnologia materiale, contrapposto però ad un'enorme regressione spirituale. Kali Yuga è l'unico periodo in cui irreligione/ateismo è predominante e più potente della religione; solo un quarto di ognuna delle quattro virtù del Dharma (penitenza, veridicità, compassione e carità) sono presenti negli esseri umani. La nobiltà è determinata unicamente dalla ricchezza di una persona; il povero diviene schiavo del ricco e del potente; parole come “carità” e “libertà” vengono pronunciate spesso dalle persone, ma mai messe in pratica. Non solo si assiste ad una generale corruzione morale, ma le possibilità di ottenere la liberazione dall'ignoranza, il Moksha, si fanno sempre più rare a causa del generico declino spirituale dell'umanità. 
Nel Kali Yuga, le persone non sono più rispettate per la loro intelligenza, conoscenza o saggezza spirituale. Al contrario, la ricchezza materiale e, ad un livello inferiore, la prestanza fisica sono ciò che rendono una persona ammirevole. Nonostante il rispetto sia superficialmente molto manifestato tra le persone, nessuno rispetta sinceramente gli altri


Secondo calcoli di Yogi indiani il Kali Yuga dovrebbe finire nel 2025. Abbiamo quindi ancora circa cinque anni per dover vivere questo degrado dell'umanità.

mercoledì 21 ottobre 2020

Sucellus

Dio dei Celti della Gallia era raffigurato con corpo umano e robusto, apigliatura riccia e leonina, una folta barba che scende fino al possente petto, vestito con pelle di lupo, o con una tunica a maniche lunghe che arriva fino al ginocchio, ed armato nella mano sinistra da un martello dal manico lungo, mentre con la destra tiene una olla, oggetto a forma di vaso. Le sue raffigurazioni sono sempre accompagnate da simboli solari quali il serpente con la testa di ariete, le svastiche, le ruote solari, le croci, a simboleggiare come Sucellus presieda la terra sopra e sotto di essa, il mondo dei Viventi e dei Defunti, i cicli della vita e della morte, i cicli delle stagioni, il Dio degli antenati che dispone della vita e della morte, dei tesori della terra e della sua fertilità, al centro dei culti popolari. E' anche raffigurato con un cane al suo fianco, un Cerbero, cane a tre teste guardiano degli inferi, che sottolinea il suo legame con gli inferi e che farebbe di Sucellus il Dis Pater citato da Cesare, il dio di tutti i celti.
"Onorate il "Signore della morte e della rinascita" accendendo candele, offrendoGli grappoli d'uva e un incenso con mirra, salvia e rosmarino."

Riti fra demoni e santi



Ogni anno, agli inizi di dicembre, tra le montagne di Berchtesgaden in Baviera appaiono strane processioni di figure mascherate. Tra esse, quasi a sfidare le nevi dell'inverno, avanzano come covoni semoventi i buttnmandl, uomini ricoperti da molteplici strati di paglia proveniente dall'ultimo raccolto. Il loro enorme costume vegetale è interrotto solo da una maschera spaventosa, che nasconde ulteriormente il volto dei partecipanti, e dalle grandi campane (pesanti fino a 20 kg l'una) che con il loro rumore segnano l'irrompere degli spiriti nella comunità umana. Nelle mani impugnano bastoni e verghe con cui talvolta sferzano ritualmente il pubblico venuto ad assistere alla loro processione, un atto che anticamente doveva avere un valore purificatorio e beneaugurante per l'anno futuro.
Accanto a loro si muovono i gankerl, esseri dai tratti demoniaci per certi versi simili ai più famosi krampus, anch'essi presenti al rito. Se nei buttnmandl prevale l'elemento vegetale, i gankerl sono quasi interamente ricoperti di pelli animali, da cui spuntano corna ritorte, catene, campane e lunghe lingue scarlatte. Veloci e dotati di un vestito meno ingombrante, i gankerl vagano spaventando i presenti e controllando i movimenti dei buttnmandl. I cortei di spiriti sono di solito guidati da un ultimo uomo vestito da San Nicola, figura spesso presente in questo tipo di mascherate invernali. Queste processioni viaggiano tra le fattorie sperdute e le abitazioni dei paesi alpini, dove vengono accolti e mettono in atto una piccola rappresentazione, in cui il santo benedice i presenti ed elenca atti meritori o da biasimare prima di elargire alcuni doni ai bambini che si sono comportati bene (mentre i ragazzi che si sono comportati male rischiano di essere trascinati fuori dagli spiriti e buttati nella neve).
Foto di Peter von Felbert e Benedikt Brandhofer.


martedì 20 ottobre 2020

Il dio nero

Tezcatlipoca: Aztec God of Night and Smoking Mirrors
"In Perù non si è ancora trovata traccia del dio morente e del re sostituto; in compenso essi compaiono molto chiaramente presso gli Aztechi. Tezkatlipoca, lo 'specchio fumante', costituisce uno dei più interessanti paralleli fra Eurasia e America precolombiana. Il suo strumento di oracolo è lo specchio tondo che si offusca, la cui assenza ci sorprenderebbe. Ma Tezkatlipoca non è soltanto il dio sempre giovane e, in quanto 'nero', strettamente legato agli inferi; egli possiede anche una caratteristica che sempre contraddistingue il dio della vegetazione: zoppica. Una delle sue gambe è mutilata. Non ci è noto il senso di questa figura presso gli Aztechi. In Eurasia il piede, messo in modo da richiamare l'attenzione, è simbolo di potenza accresciuta"
M. Riemschneider, "Riti e giochi nel mondo antico"

venerdì 16 ottobre 2020

Verethraghn

Il giustiziere alleato di Mitra, va a caccia insieme allo stesso Mitra a Dura Europos, sotto forma di cinghiale. Verethraghna è largamente presente nello Yash X di Mitra, ma a lui personalmente è dedicato lo Yasht XIV. L'iconografia mitriaca accosta il mitra avestico, che rimanda a una società di guerrieri/cacciatori, al Mitra demiurgo della tradizione romana, che presuppone una società di coltivatori (il grano che spunta dalla coda del toro). La compresenza di due motivi eterogenei, che rinviano a universi culturali distinti anche temporalmente, è uno dei tanti problemi irrisolti di questo culto.

mercoledì 14 ottobre 2020

PARENTELE ILLUSTRI

Un'epigrafe essenziale quella ritrovata nel 1927 nella cripta del Mausoleo di Augusto. Ricorda che lì furono sepolti M. Claudio Marcello, genero di Augusto (sposò la figlia Giulia), morto nel 23 a.C., e la madre Ottavia, sorella di Augusto (Marcello era dunque anche consanguineo dell'imperatore). Quest'ultima morì nell'11 a.C., ma l'iscrizione appare fatta dalla stessa mano: con molta probabilità, quindi, venne eseguita alla morte di Marcello, quando Ottavia pensò di farsi seppellire vicino al figlio. Di loro sono indicati solo i vincoli di parentela: del resto, vantare legami con Augusto doveva bastare.
MARCELLUS G(AI) F(ILIUS)
GENER [A]UGUSTI CAESARIS
OCTAVIA G(AI) F(ILIA)
SOROR AUGU[STI CAESARIS]
Le lettere tra parentesi tonde non furono scritte perché le parole vennero abbreviate; quelle tra parentesi quadre, invece, non sono più leggibili.

IL GLADIATORE DELLA MAGLIANA

Nel vasto quartiere della Magliana, ed esattamente su via delle Idrovore della Magliana, nei pressi dello stabilimento Pischiutta, vi è il rudere di un antico sepolcro romano alto 5 metri. Esso è oggi ridotto ad un ammasso informe di pietre e calce ed è una delle tante testimonianze della Roma antica. Sorge in prossimità della sponda del Tevere. Certamente nella sua epoca di utilizzo, e cioè nel I secolo a.C., esso era tutto rivestito di marmi ed al suo interno conteneva lapidi sepolcrali. Data la sua somiglianza ai trulli di Alberobello, esso sin dall’epoca medievale venne chiamato trullo. Nel XII secolo il monumento era di proprietà della famiglia Massimi e quindi era chiamato “Lo Trullo de’ Massimi”. Questo nome è rimasto ed in epoca fascista, quando sorse l’agglomerato di abitazioni popolari nei pressi del rudere, la zona prese il nome di Borgata del Trullo. Di questo rudere abbiamo una testimonianza di un avvenimento risalente al 1462. In quell’anno il rudere venne visitato da due razziatori di reperti antichi. Essi fecero incetta di lapidi e marmi che ancora si conservavano al suo interno. Così decisero di raccogliere la refurtiva e caricarla su di una barca che era ferma sulla sponda del vicino Tevere in modo così da portare il tutto in città via fiume per poi spacciarlo nel mercato dell’antiquariato. Senonchè avvenne che una volta caricata la barca di questa merce, considerando che era piuttosto pesante, fece giusto qualche metro di navigazione per poi affondare con tutto il suo carico, lasciando i razziatori delusi per l’accaduto. La barca affondata con il prezioso carico rimase nel fondo del fiume per secoli fino a quando nel 1951 una draga che stava operando in quel tratto al fine di ripulire il fondo e recuperare qualche reperto antico, urtò qualcosa di solido e così i sommozzatori si calarono sul fondale scoprendo la meraviglia dei marmi e delle lapidi che giacevano nel fondo. L’intendenza agli scavi di Roma si mise al lavoro per l’ identificazione dei reperti. Un appassionato studio archeologico di tutto l’insieme impegnò l’ equipe degli archeologi per diversi anni. Due studiose archeologhe individuarono un bassorilievo che raffigurava la lotta di un gladiatore della classe dei “provocatores” che combatteva contro il suo avversario. Il provocator era un gladiatore che a differenza di altre categorie era fornito di equipaggiamento leggero, indossava un elmo, uno schiniere sulla gamba sinistra, una pettorina ed anche i cosciali ed uno scudo rettangolare e poi come arma aveva un pugnale chiamato pugio. Questo tipo di equipaggiamento faceva risalire il combattimento al 70 a.C., ma quello che incuriosì particolarmente le due archeologhe, la prof.ssa Rita Paris e la prof.ssa Patrizia Sabbatini-Tumolesi, fu l’iscrizione che accompagnava il disegno. Infatti l’epigrafe diceva “IUL W”. Ora il problema era quello di interpretare la w in quanto come lettera non esiste nell’alfabeto latino poiché essendo di origine anglosassone venne introdotta soltanto nell’ alto medioevo. Alla fine, le due studiose riuscirono a decifrare l’ iscrizione e capirono che la w non era altro che l’unione di due v per cui l’iscrizione per intero era la seguente “IULIUS VICIT V” e cioè essendo V il numero romano di cinque, il testo andava tradotto in “ GIULIO HA VINTO CINQUE (INCONTRI)”. Il fatto che un gladiatore vincesse per ben cinque volte consecutive ci dimostra che il personaggio veniva ricordato come un grande gladiatore e che la sua memoria doveva rimanere imperitura nel tempo. Dopo il quinto incontro vittorioso, il gladiatore aveva il diritto di congedarsi con tutti gli onori ed essere ricordato come un “INVICTUS”. Non sappiamo se Giulio morì in congedo dopo il quinto incontro oppure se venisse ucciso al sesto incontro. Però con esso si è avuta una testimonianza preziosa che ci ha rivelato la dura storia di un antico gladiatore.
Bibliografia:
“La storia della Magliana” – Antonello Anappo – Communitybook . 2020

lunedì 5 ottobre 2020

MUNDUS PATET


La morte non precludeva alle anime dei trapassati ogni relazione col mondo dei viventi: esse potevano, anche quelle che avevano trovato pace nella tomba, ritornare in epoche determinate sulla terra. A questi ritorni servivano non solo quelle aperture o caverne che si additavano, in certe regioni, come ingressi naturali dell'Orco (e una di queste era appunto quella dell'Averno), ma anche quelle fosse artificiali che si scavavano in ogni città, costruita secondo le regole della limitazione, nel punto d'incontro del cardo col decumano. Questa fossa si diceva mundus e rappresentava il legame fra il mondo di sopra e quello di sottoterra. A Roma il mundus del Palatino si apriva, sollevando la pietra che lo teneva chiuso, tre giorni all'anno: il 24 agosto, il 5 ottobre, l'8 novembre; questi giorni, del pari che quelli del febbraio destinati alla commemorazione dei defunti, erano riguardati come religiosi, cioè preclusi alla trattazione di qualsiasi affare importante pubblico o privato (contrassegnati negli antichi feriali con l'indicazione: mundus patet; cfr. Fest., pp. 142, 154; Macrob., Saturn., I, 16, 17 segg.).

Ma non soltanto nei giorni in cui il mundus patet e in quelli delle feste a loro dedicate (Parentalia e Feralia, Lemuria) le anime dei morti risalivano sulla terra; si credeva che potessero anche esservi evocate volontariamente con i ben noti antichissimi riti della necromanzia (v.) (cfr. Plin., Nat. Hist., XXVIII, 2, 17); ai quali erano simili quelli della devotio (v.) e della consecratio (v. consacrazione), con cui si mirava, mediante la recitazione di determinate formule (carmina, verba concepta, precationes solemnes, ecc.), a dare l'oggetto del rito in potere degl'Inferi.
Già nell'ultimo secolo della repubblica l'antica credenza nella dimora dei trapassati nell'Orco s'era affievolita in gran parte del popolo, e si pensavano le anime come dimoranti in cielo o nelle stelle, in comunanza con gli dei (Cic., Somnium Scip., III, 5, 8; VII, 17; Tuscul., I, 31, 76; Verg., Aen., V, 722): oppure, mescolando le due concezioni, si ammetteva che scendessero all'Averno le anime degli uomini volgari, e salissero invece al cielo quelle di coloro che s'erano distinti, in vita, per grandi e nobili azioni (Cic., Somnium Scip., III, 5; V, 10; IX, 21; Tuscul., I, 12, 27). Al che si riconnette la distinzione (assai frequente dall'ultimo secolo della repubblica in poi) fra sedes piorum, in cielo, e sedes impiorum, sottoterra. E, mentre nelle opere dei poeti le idee greche relative all'oltretomba (v. ade) si andavano sostituendo in misura sempre più larga a quelle indigene o mescolando con esse, già al tempo di Cicerone era assai diffusa la credenza che l'anima non sopravviva al corpo (Lucr., II, 417-827).

sabato 3 ottobre 2020

LAPIS NIGER


Nessuna descrizione della foto disponibile."...il "Lapis Niger" corrisponde ad un'area quadrata in marmo nero (nella foto sopra) che una transenna di lastre di marmo bianco separava dal resto della pavimentazione augustea in travertino. La scoperta, avvenuta alla fine dell'Ottocento, venne subito associata con un passo dello scrittore Festo, nel quale si accennava ad una "pietra nera nel Comizio" ("lapis niger in Comitio") indicante un luogo funesto, nel quale si doveva riconoscere la tomba di Romolo o quantomeno il luogo dove il primo re venne ucciso..."

Kronos mitriaco, Aion, Zevian

                                                        L'immagine può contenere: una o più persone

"Tra i culti orientali, i misteri di Mitra sono quelli nei quali possiamo meglio constatare la potenza della fede astrologica. Sui grandi bassorilievi di Mitra tauroctono, i dodici segni occupano solitamente, in Germania, la volta curva della grotta in cui il toro è immolato: la grotta veniva considerata simbolo del mondo e la sua sommità ricurva simbolo della volta celeste. Altrove, gli stessi segni circondano per intero il dio sacrificatore, ora racchiusi all'interno di una bordatura circolare, ora disposti più liberamente intorno a lui. Questa composizione rammenta come la cintura mobile dello zodiaco abbracci l'universo, con sei segni sempre al di sopra della terra e sei al di sotto. Talvolta i segni racchiudono allo stesso modo l'immagine del Kronos mitraico, dio del Tempo infinito, oppure sono incisi sul corpo di questo dio leontocefalo tra le spire del serpente che lo circonda, dove il rettile, secondo il simbolismo dei misteri, raffigura il cammino del sole attraverso le costellazioni dell'eclittica."

F. Cumont, "Lo Zodiaco"

                                Nessuna descrizione della foto disponibile.

Si apre il mudus

Il 5 ottobre ricorre la festa romana del "Mundus Cereris", in cui il pozzo di Cerere veniva aperto (mundus patet) mettendo in comunicazione il mondo dei vivi con quello dei morti. E' una classica festa calendariale celebrata in prossimità dell'equinozio d'autunno, nel momento in cui il sole inizia a "morire". 


"Come riporta Eliade, sulla linea perpendicolare all'abisso (apsu per i Babilonesi, tehòm per gli Ebrei ecc.) gli antichi ponevano di solito la pietra angolare, o pietra di fondazione, delle loro città, assunte a immagini in miniatura del mondo. A Roma, secondo l’uso etrusco, si fondava la città seguendo le norme del mundus (parola corrispondente al greco kòsmos), mediante il tracciamento del cardo (asse nord-sud) e del decumano (asse est-ovest), immagini terrestri del coluro solstiziale e del coluro equinoziale. Mundus era anche la fossa ove si officiavano i sacrifici propiziatori all’atto della fondazione, ed erano compiuti nel nome degli dèi Mani. Una pietra, il lapis manalis, veniva collocata sopra la fossa a sancire la separazione del mondo dei vivi da quello dei morti. La pietra (associata spesso anche a un albero) era di vitale importanza, poiché impediva alle acque abissali di salire e invadere il mondo di superficie. L’aggettivo manalis, evidentemente collegato agli “inferi Mani”, qualificava particolarmente una fonte da cui sgorga acqua copiosa; e d’altra parte, manalis lapis designava innanzitutto una pietra magica dalle virtù pluvie. Perfino tra i Semang della Malacca si parla di un’enorme roccia, chiamata Batu-Ribn, che è posta al centro del mondo e al di sotto della quale vi è l’inferno. Al di sopra di questa roccia, poi, un tempo cresceva un albero che giungeva fino al cielo. È quasi superfluo dire che tale schema ricalca pedissequamente la tripartizione tradizionale del cosmo, con il cielo australe in qualità di abisso, o inferno, il mondo dell’eclittica in qualità di “terra” e il cielo boreale in qualità di cielo propriamente detto."

A. Casella, "Alle radici dell'albero cosmico"

giovedì 1 ottobre 2020

Belisama: la dea nascosta


Famose quelle di  Vaison-la-Romaine in Provenza legate ai santuari posti nei Nemeton:bosco sacro  dove era posto il tempio alla divinità




.Le Radici Degli Alberi: BELISMA, Belisama, dea del Fuoco!

La Dea Belisama o Belisana, per certi versi assimilabile a Minerva. Osservate che è posta sopra un palmipede animale sacro anche per i paleoveneti


La riconoscenza dell’Acqua come principio primo e fonte originale, per delle popolazioni mobili, la cui sopravvivenza proviene dai suoi benefici, viene espressa tramite la consacrazione delle fonti dei principali fiumi dell’Europa; quelli che divennero dei santuari della dea celtica della fertilità. Evocata dalla toponimia celtica, questa consacrazione viene attinta da un grandissimo numero di offerte votive – statuette, metalli preziosi, armi e oggetti domestici – scoperti un po’ ovunque in Europa lungo il corso d’acqua e presso i santuari situati alle loro sorgenti. Il fiume o il corso d’acqua rappresenta un’espressione mobile della Madre Terra, che rende le acque sacre. È la combinazione particolare delle diverse proprietà minerali, vegetali e volativi che emanano certe sorgenti in certe ore del giorno e della fase lunare che ne crea i poteri rigeneratori. 
Ogni luogo sacro ha il suo spirito guardiano che veglia si di lui, osserva i riti quotidiani secondo il cerimoniale voluto che si può materializzare sotto forma di canto, di uccello, di pesce, in onore della dea. 
A volte la dea appare come essere dei sogni, come strega, in funzione delle circostanze o delle predisposizioni del visitatore o dell’intruso. Questi luoghi rappresentano il grembo della Madre Terra invocata sotto nomi e aspetti differenti. Esistono numerose iscrizioni galliche (Gallia Transalpina e Cisalpina – iscrizioni leponzie), indirizzate a Gwena, Belisama (antichi nomi della Dea), Brida, Brii, Bria (divenuto poi Brighit), la Madre rappresentata sotto forma di triade – modello che spesso viene richiamato nell’arte e nella letteratura celtica – assieme al suo bambino e ad un cesto di frutta (simbolo di fertilità ed abbondanza). Un’altra rappresentazione popolare è quella della dea Epona, abitualmente a cavallo e a volte accompagnata da un rapace. 
La Luna, con i suoi poteri sulle maree e sui cicli mestruali, rappresenta un insieme universale di simboli; presiede ai riti notturni legati ai canti degli animali, come il serpente ed il lupo. La mitologia celtica la identifica con la triplice dea che presiede le nascite, alla Vita e alla morte: triade delle giovani, delle spose e delle donne anziane; Morrigan, Macha, Badh, Arianrhodd, Sequana. 
Gli antichi Celti, la cui teologia è scomparsa assieme alle loro tradizioni orali, hanno lasciato delle statue anonime a due o tre teste, che però rappresentano chiaramente simboli celtici. Nel nord Italia abbiamo numerosi reperti e testimonianze di tali divinità che in alcuni casi assumono anche vesti solari, in quanto la Dea Madre rappresenta anche queste qualità. 

A Milano, ad esempio sono state di recente scoperte statuette votive, e basso rilievi di Belisama, divinità luni-solare, che reca accanto a sé una scrofa semi lanuta, animale-simbolo delle sue peculiarità: dono della guida oltre il mondo visibile, per individuare il nemeton per costruire il santuario. La chiesetta di S. Calimero, come quella di S.Calogero, in via Quadronno, erano “votate” alla Dea Belisama. La leggenda milanese vuole che questa divinità fosse venerata durante la festività di Beltaine, che cadeva il 1° maggio. 
Altra importante testimonianza, del culto matriarcale e della grande importanza che rivestiva la divinità femminile, la ritroviamo nel nome della terra di Brianza. 
La Brianza deve il suo nome all’antico termine celtico “Brià” – derivante dalla divinità più importante che è appunto Bri, Bride, Brighitt, o meglio nota come Briganzia, e nel continente come Belisama.
La zona submontana lombarda ha visto il suo splendore durante il periodo della civiltà di Golasecca, retrodatata recentemente da approfonditi studi, attorno al 1.300 a.C. Presso gli antichi Celti, i templi, le cappelle votive, venivano costruite secondo un principio analogico/simbolico, che riporta le coordinate celesti in terra seguendo la simbologia lunare con le sue 28 dimore. Como diventa il centro della civiltà di Golasecca, che si estende dalla sponda orientale del Ticino ed arriva fino al lago di Oggiono, vicino a Lecco. 
Alcuni reperti antichi di tale civiltà si sono ritrovati attorno alla città di Como, nei dintorni del lago Alserio, nella pianura di Erba ed in tutta la zona submontana del Triangolo Lariano. Una delle singolarità che risalta subito all’occhio è data dalle chiesette di pochi metri quadri sparsi per tutto il territorio sub-montano, dedicate tutte a S. Pietro: la fondazione per la maggior parte di queste risale ai Longobardi. 
Tale dedica per analogia si riferisce alla Pietra alchemica, quindi secondo questo concetto le chiese così disposte formano la “mezzaluna fertile” che rappresenta la divinità Brighidh incarnata in terra. Fertile, perché è quella divinità che più di altre si venera e perché è colei che nutre e arricchisce la terra e tutta la Natura. Per fare un esempio citiamo la chiesa a Gemonio, fondata da Liutprando nel VIII secolo; S.Pietro di Albese, in località Cassano, fondata nel 1000 d.C.; S.Pietro al Monte a Civate fondata da Desiderio risalente al 706; Agliate vicino a Galliano, celebre per la sua cripta ad oratorio, la cui costruzione risale alla fine del X secolo; a Gallarate, nel centro, risalente all’anno 1000. Si noti, comunque, che tutte queste chiesette furono costruite sopra templi antecedenti, e più precisamente “Nemeton”, ossia “luogo sacro”, risalenti appunto all’età della civiltà di Golasecca, tutte dedicate alla divinità Belisama. Se si uniscono immaginariamente i punti con una linea continua, si ottiene la figura della mezzaluna, centro di alto potere calorifico. Tale mezzaluna è crescente, chiara simbologia ermetica del mezzo necessario alla palingenesi umana, quale può essere il cervello, nella sua fase di crescenza, verso la condizione di Luna Piena. La Pietra alchemica, quindi, simbolo anche della Acque primordiali. Le Acque primordiali sono identificate in tutti quei laghetti che si incontrano nell’arco di questa mezzaluna: il lago di Varese – Alserio – Segrino – Oggiono – Annone ed altri ancora. 
Ma la triplice dea, l’incarnazione stessa del simbolo del triskell, la si può identificare principalmente con l’elemento Acqua, che ci ricorda le Acque Primordiali. 
Ma vediamo di spiegare meglio cosa siano questi elementi “eterni”. 

L’origine del nome di Belisama  

Il nome di Belisama può essere interpretato come formato dal celtico "belo" (chiaro) e « samo » (estate), ossia "l'Estate Splendente". Nella mitologia gallica lei è la consorte del dio Belenos. E' una dea di tutti i tipi di fuoco (il Sole e la Luna che ne riflette la luce), e dell'artigianato. Tuttavia, la sua equazione con la dea Minerva e il fatto che venga spesso rappresentata con dei serpenti fra le mani, sta ad indicare che era una dea della saggezza e della guarigione e come un portatore di luce avrebbe potuto essere la dea della fucina. Nel politeismo celtico, Belisama o (Bēlēsama) fu una dea venerata unicamente in Gallia Cisalpina e in Gran Bretagna. Era collegata ai laghi e fiumi, al fuoco, all'artigianato e alla luce.
In una iscrizione di epoca romana, Belisama era associata alla dea Minerva: "Minervae BELISSIMAE SACRUM" cioè sacro a Belisama Minerva Iscrizione rinvenuta a Vaison-la-Romaine (Francia), che indica chiaramente che in questo luogo vi era ubicato un Nemeton in onore di Belisama.

In un'altra iscrizione si legge: 
"Segomaros Ouilloneos tooutious Namausatis eiōrou Bēlēsami Sosin Nemeton"
ovvero, "Segomarus Uilloneos, cittadino [toutius] di Namausus, dedica questo santuario [Nemeton] a Belesama” 

Cos'è un Nemeton ? Un Nemeton era uno spazio sacro dell'antica religione celtica. I "Nemeta" sembrano essere stati principalmente situati in aree naturali come i boschi. 
Tuttavia, altre prove suggeriscono che la parola implica una più ampia varietà di spazi rituali, come i santuari e templi edificati in pietra. Ne sono una prova le numerose iscrizioni e la toponomastica locale, che si ricollegano al mondo celtico. Toponimi relativi al Nemeton si hanno ad ovest in Galizia, in Spagna, a nord fino in Scozia, e nelle nostre terre insubri.
La parola sembra altresì risalire al nome di "Nemetes" tribù di quello che oggi è la Germania e la loro dea Nemetona.  

Belisama: antica dea protettrice di Milano 

Secondo un’antica leggenda, nei sotterranei del Duomo di Milano, esiste ancora oggi un lago segreto protetto da un cerchio di colonne che recano incisioni magiche e l’effigie della dea celtica Belisama mentre allatta suo figlio.
La dea celtica rappresenta la Dea Madre nell’atto di generare il Sole: acqua e fuoco che assieme formano la “Pietra Filosofale” degli alchimisti.
Due dee, una sulla cima più alta del Duomo, aurea, la Madonnina, che rappresenta il Sole di Primavera, la rinascita, e l’altra, quella nascosta, sotterranea, che rappresenta le forze telluriche e che risiede nel cuore profondo della città di Milano.
Di fatto, Belisama è la dea del fuoco e della saggezza, signora delle acque, ed è la più alta rappresentazione della maternità, la Luna.
Gli Insubri la tenevano in grandissima considerazione, tanto da erigere templi in tutta la città, a protezione dei focolari.
Ma questo luogo segreto non è poi così lontano dai nostri occhi: si trova presso la basilica di Santa Tecla !
E non è tutto. 
A Milano vi sono altri luoghi sacri dove le forze benefiche della terra agiscono sull’acqua: uno di questi è il pozzo della chiesa di San Calimero (vicino Porta Romana), edificata nel V° sec. d.C. su quello che restava del tempio più antico degli Insubri dedicato a “Belen”, il dio celtico del Sole.
L’altra è la chiesa di San Calogero (a destra di corso Genova), edificata sui resti del tempio dedicato a Giove, che racchiude una fonte considerata dai vecchi milanesi “miracolosa”. 
Gli scavi archeologici hanno riportato alla luce i resti di un “dolmen”, pietre megalitiche che ancora ai giorni nostri si possono ammirare sulla fiancata della chiesa.
Il terzo luogo sacro è rappresentato da Santa Maria alla Fontana che trae il suo nome dalla presenza di una fonte che sgorga da una pietra che reca unidici incisioni: pietra di origine pre-romana.
Questa pietra si trova a due metri e venti sotto terra, incastonata nel mezzo di un suolo quadrato. L’acqua proviene da un’ampolla sorgiva ….. questa fonte è aperta al pubblico tutte le domeniche dalle 9 alle 12.
Non ultima la chiesa di San Giovanni in Conca (piazza Missori) con i suoi pilastri che recano dei bassorilievi rappresentanti il Sole delle Alpi, o anche chiamato “rosa dei venti”, uno dei simboli celtici solari più importanti. 
In questa chiesa una volta era conservato un “calderone magico” che oggi purtroppo è scomparso.