mercoledì 14 ottobre 2020

IL GLADIATORE DELLA MAGLIANA

Nel vasto quartiere della Magliana, ed esattamente su via delle Idrovore della Magliana, nei pressi dello stabilimento Pischiutta, vi è il rudere di un antico sepolcro romano alto 5 metri. Esso è oggi ridotto ad un ammasso informe di pietre e calce ed è una delle tante testimonianze della Roma antica. Sorge in prossimità della sponda del Tevere. Certamente nella sua epoca di utilizzo, e cioè nel I secolo a.C., esso era tutto rivestito di marmi ed al suo interno conteneva lapidi sepolcrali. Data la sua somiglianza ai trulli di Alberobello, esso sin dall’epoca medievale venne chiamato trullo. Nel XII secolo il monumento era di proprietà della famiglia Massimi e quindi era chiamato “Lo Trullo de’ Massimi”. Questo nome è rimasto ed in epoca fascista, quando sorse l’agglomerato di abitazioni popolari nei pressi del rudere, la zona prese il nome di Borgata del Trullo. Di questo rudere abbiamo una testimonianza di un avvenimento risalente al 1462. In quell’anno il rudere venne visitato da due razziatori di reperti antichi. Essi fecero incetta di lapidi e marmi che ancora si conservavano al suo interno. Così decisero di raccogliere la refurtiva e caricarla su di una barca che era ferma sulla sponda del vicino Tevere in modo così da portare il tutto in città via fiume per poi spacciarlo nel mercato dell’antiquariato. Senonchè avvenne che una volta caricata la barca di questa merce, considerando che era piuttosto pesante, fece giusto qualche metro di navigazione per poi affondare con tutto il suo carico, lasciando i razziatori delusi per l’accaduto. La barca affondata con il prezioso carico rimase nel fondo del fiume per secoli fino a quando nel 1951 una draga che stava operando in quel tratto al fine di ripulire il fondo e recuperare qualche reperto antico, urtò qualcosa di solido e così i sommozzatori si calarono sul fondale scoprendo la meraviglia dei marmi e delle lapidi che giacevano nel fondo. L’intendenza agli scavi di Roma si mise al lavoro per l’ identificazione dei reperti. Un appassionato studio archeologico di tutto l’insieme impegnò l’ equipe degli archeologi per diversi anni. Due studiose archeologhe individuarono un bassorilievo che raffigurava la lotta di un gladiatore della classe dei “provocatores” che combatteva contro il suo avversario. Il provocator era un gladiatore che a differenza di altre categorie era fornito di equipaggiamento leggero, indossava un elmo, uno schiniere sulla gamba sinistra, una pettorina ed anche i cosciali ed uno scudo rettangolare e poi come arma aveva un pugnale chiamato pugio. Questo tipo di equipaggiamento faceva risalire il combattimento al 70 a.C., ma quello che incuriosì particolarmente le due archeologhe, la prof.ssa Rita Paris e la prof.ssa Patrizia Sabbatini-Tumolesi, fu l’iscrizione che accompagnava il disegno. Infatti l’epigrafe diceva “IUL W”. Ora il problema era quello di interpretare la w in quanto come lettera non esiste nell’alfabeto latino poiché essendo di origine anglosassone venne introdotta soltanto nell’ alto medioevo. Alla fine, le due studiose riuscirono a decifrare l’ iscrizione e capirono che la w non era altro che l’unione di due v per cui l’iscrizione per intero era la seguente “IULIUS VICIT V” e cioè essendo V il numero romano di cinque, il testo andava tradotto in “ GIULIO HA VINTO CINQUE (INCONTRI)”. Il fatto che un gladiatore vincesse per ben cinque volte consecutive ci dimostra che il personaggio veniva ricordato come un grande gladiatore e che la sua memoria doveva rimanere imperitura nel tempo. Dopo il quinto incontro vittorioso, il gladiatore aveva il diritto di congedarsi con tutti gli onori ed essere ricordato come un “INVICTUS”. Non sappiamo se Giulio morì in congedo dopo il quinto incontro oppure se venisse ucciso al sesto incontro. Però con esso si è avuta una testimonianza preziosa che ci ha rivelato la dura storia di un antico gladiatore.
Bibliografia:
“La storia della Magliana” – Antonello Anappo – Communitybook . 2020

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