di
Silvia Ronchey
La
ricerca di un pensiero globale, comprensivo dell'Oriente, entro la forma
occidentale del «logos»
«Beati
i poveri di spirito! E' loro infatti « il regno dei cieli» traduce Girolamo
l'enigmatica frase di Matteo 5,3. Ma
come interpretare quel pauperes spirito?
Forse si tratta di «coloro che sono privi di spirito proprio»?
Saranno beati gli uomini impersonali? O si dovrà intendere «beati
coloro che essendo bisognosi andranno allo spirito»: pauperes
spirito nel senso di «mendicanti allo spirito»?
Povero per la Cabala è il simile alla Shekinah o Gloria di Dio, che è
"povera" perché non ha nulla di per sé, ma solo ciò che le viene
dalle Sue . emanazioni. Perciò
povero può significare privo di qualità personali, interamente dipendente
dalle emanazioni del Nulla, "vuoto": significato probabile anche
grammaticalmente.
Molte
altre esegesi di Matteo 5,3 sono elencate da Elémire Zolla
nei Mistici dell'Occidente:
da Agostino a Maria Maddalena
de' Pazzi. Da Juan de la Cruz a Shakespeare a Coleridge, passando per la Cina
taoista, il ciclo bretone, la Persia delle Mille e una notte.
Ma l'ultima delle interpretazioni è quella che colpisce dritto al cuore.
«A considerare la teoria mistica della respirazione - scrive Zolla - s'intende
pneuma anche in senso letterale: poveri di spirito, di fiato, sono coloro che
per una gran risata o un profondo pianto, hanno espirato completamente e non
hanno, immagazzinato fiato dentro di sé».
Così Zolla ricollegava il più oscuro dei moniti evangelici alla
dottrina antichissima della respirazione diaframmatica, riemersa a Bisanzio nel
tredicesimo e quattordicesimo secolo sotto il nome di esicasmo. E' una dottrina
che, come un fiume carsico, scorre sotterranea e riemerge in epoche diverse
nelle diverse zone del globo: in India e nel Tibet come nell'Alessandria di
Filone, nelle steppe, mongole e nel sultanato turco di Iconio come nella Russia
dei «pazzi in Dio» e del Pellegrino ottocentesco.
Se l'espirazione di Dio crea, e la sua inspirazione uccide; mentre l'uomo
emette il fiato contaminato e trae dentro l'aria benefica, il punto di
mediazione tra le opposte respirazioni celeste e umana è trattenere il respiro,
come si fa negli esercizi yoga o nella preghiera perpetua degli esicasti.
Fu
proprio alla scuola gnostica di Konya, nel Duecento di Rumi e del sincretismo
tra mistica cristiana, esperienza sufi e sapienza ebraica, che nacque, secondo
la recentissima teoria del bizantinista Antonio Rigo, l'esicasmo.
Sarebbe possibile definire Zolla un esicasta?
Fu tale per la maniera in cui morì, nella condizione che aveva descritto
in anticipo nei Mistici, respingendo
ogni cura e misurandosi per ore, interamente lucido, con le contrazioni del
muscolo del cuore e col respiro che gli mancava.
Fu tale per il modo in cui visse, alla ricerca, sempre, di un'esychia
della ragione. Fu tale per il
manifestarsi nel suo pensiero di una tradizione globale, comprensiva
dell'Oriente, ma sviluppata nella più occidentale delle forme: la forma del logos,
la logica.
«I
principi logici erano alla base delle sue costruzioni e della struttura del suo
scrivere. Aveva una razionalità
adamantina, su cui costruì il suo sistema, in contrapposizione allo spasmo
dualistico ragione-irrazionalità proprio del pensiero occidentale dominante»,
ha detto Grazia Marchianò. In
questo senso, lo si potrebbe definire un occidentale filo-orientale,
eventualmente. Zolla aveva superato
l'equivoco di una frattura Oriente-Occidente vista come contrapposizione tra
ragione e irrazionalità. E' la logica che rende possibile a Zolla il suo
esercizio più geniale: l'interpretazione. «Le esegesi sono un'idra per chi sia
mosso da curiosità, ma unità per chi ne ha bisogno, cioè per il povero di
spirito», ha scritto nei Mistici.
Il testo è tutta la varietà di letture possibili.
Non è in se stesso: le glosse lo vanificano.
Questo, finché non si abbia una lettura nuova, cioè «una coincidenza
con un destino personale, che neghi la pluralità delle interpretazioni perché
ne ammette una sola diretta, quella adeguata al momento in cui si vive».
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