«Nel corso di quello stesso anno, fosse per un terremoto o per un'altra forza della natura, si dice che nel centro del foro il suolo franò fino a profondità incommensurabili, lasciandovi un'ampia voragine. Nonostante tutti vi gettassero della terra, non si riuscì a riempirla, fino a quando, su preciso monito degli Dèi, la gente cominciò a domandarsi quale fosse l'elemento principale della forza del popolo romano. Questo era quanto gli indovini sostenevano si dovesse consacrare a quel luogo, se si voleva che la repubblica romana durasse in eterno. Allora, stando a quanto si narra, Marco Curzio, un giovane distintosi in guerra, rimproverò i concittadini per essersi domandati se esistesse qualcosa di più romano del valore militare. Poi, calato il silenzio, con gli occhi rivolti al Campidoglio e ai templi degli Dèi immortali che sovrastano il foro, tendendo le mani ora verso il cielo ora verso la voragine spalancata e verso gli Dèi Mani, si offrì in voto ad essi. Quindi, montò in groppa a un cavallo bardato nella maniera più splendida possibile e si gettò armato nella voragine: e una folla di uomini e donne gli lanciò dietro frutti e offerte votive. Fu lui a dare al lago il nome di Curzio e non Curzio Mezio, soldato di Tito Tazio in tempi remoti. Certo non sarebbe mancata la ricerca meticolosa, se fosse esistita qualche via per raggiungere la verità; ma allo stato presente bisogna attenersi alla tradizione, visto che l'antichità dell'episodio non permette di essere molto precisi. E il nome del lago risulta maggiormente glorioso se connesso a questa leggenda più recente».
Tito Livo, ‘Ab Urbe condita libri’, VII, 6
Nessun commento:
Posta un commento