Questo articolo che riporto vuole sottolineare l'impegno e la determinazione di Andrea Monga, che spese l'intera vita e tutti i suoi denari per riportare, con caparbietà, alla luce dall'oblio lo straordinario Teatro Romano di Verona sebbene osteggiato sia dal comune che dalla curia.........
Il teatro... che non c'era
Scritto da Maurizio D'Alessandro
Intorno alla seconda metà dell’Ottocento, chi si fosse trovato a transitare lungo l’Adige, a piedi o in carrozza, dalla ex-chiesa del Redentore (soppressa nel 1806, sconsacrata e trasformata in teatro, cinematografo e oggi in pizzeria) verso Ponte Pietra, avrebbe visto una lunga serie di caseggiati, qualcuno un po’ fatiscente, allineati alla base della collina di Castel San Pietro.
La striscia di case era interrotta da una piccola piazzetta sub-circolare che,in lieve pendenza, saliva verso la chiesetta di San Siro e Libera, già edificata nel X secolo e successivamentemodificata e ampliata a partire dal XVII secolo, durante il periodo veneziano. Intorno al 1700 alla facciata venne aggiunta unadoppia scalinata in marmo,che la raccordava alla piazza mediante quattro rampe.
Due secoli dopo, intorno al 1890, l’accesso alla piazzetta era stato modificato con la realizzazione di una serie di scalinate, due parallele alla strada e contrapposte, la terza dritta verso collina, a guisa di cortina di separazione tra la viabilità sul lungadige e la sacralità del luogo.
E il Teatro Romano?
Il teatro non c’era, o meglio c’era ma quasi nessuno lo sapeva e forse chi lo sapeva faceva finta… di non saperlo.
L’antica struttura originale romana, attribuibile alla seconda metà del I secolo a.C., aveva subito nel corso dei secoli sia spoliazioni sia crolli e ciò che era rimasto era stato lentamente coperto da nuove costruzioni, che finirono per occultare completamente il teatro agli occhi dei veronesi.
A dire il vero, qualcuno si era reso conto che qualcosa si celava sotto le case. Un certo G. M. (forse Gian Maria) Fontana, proprietario di parte dell’area sotto la qualesi celava il teatro, a seguito della scoperta casuale di alcuni reperti antichi venuti alla luce durante dei lavori, iniziò una prima fase di scavi intorno alla metà del Settecento (la casa Fontana oggi è il piccolo edificio utilizzato come ingresso-portineria del teatro).
La ricerca però si arresta e trascorre più di mezzo secolo prima che qualcun altro, cosciente di cosa si nascondeva sotto le case e spinto da un ‘sacro furore culturale’, decidesse di impiegare le proprie ricchezze e dedicare la vita a mettere in luce i resti del Teatro Romano, restituendo alla città la grandezza e le memorie storiche e culturali del colle di San Pietro.
Questo qualcuno è un veronese il cui peso storico, per ironia della sorte, ricalca un po’ le vicende del teatro, ovvero viene quasi del tutto dimenticato: Andrea Monga.
Il Monga (1794-1861) possiede una particolare predisposizione per l’arte e l’architettura, tanto che fin da giovane si dedica all’edilizia, alle costruzioni e al patrimonio storico-culturale della città: uno dei primi interventi è finalizzato al recupero della cappella di Sant’Elena, presso la chiesa di Santa Maria in Organo, allora quasi sepolta da altri edifici.
Proveniente da un’agiata famiglia di commercianti e proprietario di alcuni immobili sull’area dell’antico teatro, acquista alcune case adiacenti allo scopo difareseguire degli scavi sistematici.
È il 1834: l’anno successivo iniziano i saggi di scavo.
Incoraggiato dai primi risultati, impiega il suo capitale per successivi acquisti, per un totale di circa 40 abitazioni (il numero esatto sembra essere 36). I lavori si protraggono per un decennio, fino al 1844: dopo l’abbattimento delle casette sorte sull’area, inizia lo scavo che scopre e restituisce la grande intercapedine che separa il complesso del teatro dalla collina, ritrova all’interno del convento dei Gesuati i resti dell’ambulacro, riporta alla luce i due scaloni laterali, parte della cavea e dell’Odeon, edificio simile ad un teatro, ma coperto e riservato ad audizioni musicali, posto in piazzetta Martiri della Libertà. Individua inoltre la funzione di raccordo tra le recinzioni della scala posta nella grotta di San Siro.
Un lavoro che, riferito al tempo, può definirsi ciclopico. In questo suo vasto operato, il Monga presenzia sempre agli scavi e ne rileva i disegni e gli stati di avanzamento dei lavori. Prezioso è anche l’aiuto di Gaetano Pinali, un avvocato veronese appassionato di architettura e archeologia.
In quest’opera colossale e decisamente onerosa, il Monganon ottiene l’aiuto di alcuno (salvo il Pinali), anzi, viene spesso ostacolato dalla popolazione, che si vedeva cacciata dalle proprie abitazioni e non comprendeva, anche per lo scarso senso civico, unito a poca o nulla cultura, l’opera che il munifico commerciante portava avanti con tenacia e passione. In questo contesto, gli elogi ricevuti da illustri studiosi e archeologi italiani e stranieri non riescono ad evitargli le infinite contrarietà e quello scoramento che lo consumano e ne incrinano la forte tempra.
Dopo aver profuso i suoi sforzi nel recupero culturale della città e aver impiegato a tal scopo le sue ingenti ricchezze e le sue energie, Andrea Monga muore per una polmonite nell’aprile del 1861, a circa 67 anni. La cittadinanza ignora la sua scomparsa: solo tre cittadini accompagnano il feretro all’ultima dimora: il professor Franco, l’ingegner Storari e l’architetto Zannoni.Uno scrittore che ebbe modo di conoscere Andrea Monga, Pietro Sgulmero, scrisse che la sua era «una di quelle spese ingenti che facevano i Principi di una volta e che fanno di rado i governi d’oggi».
La scomparsa del mecenate, fortunatamente, non blocca i lavori e le ricerche sul teatro: il figlio del Pinali, Francesco, dopo la scomparsa del padre, prosegue l’opera fino al 1884, anno della sua morte.
Questa volta i lavori si fermano per davvero. Sarà il Comune di Verona, grazie all’amministrazione Guglielmi-Franchini e all’aiuto prezioso della Cassa di Risparmio, a continuare il lavoro iniziato quasi due secoli prima dal Fontana e poi dal Monga. Nel 1904 il Comune acquisisce dagli eredi di Andrea Monga l’intera area teatrale e gli altri edifici che v’insistevano, come pure la collezione archeologica dei reperti ritrovati, con elementi architettonici e decorativi della scena teatrale ed epigrafi.
I lavori di scavo riprendono nel biennio 1904-1905 sotto la guida di Ricci e Ghirardini, con la messa in luce dell’intera cavea e proseguono fino al 1914, sotto la direzione dell’Ufficio Tecnico Municipale. Vengono ricomposte la prima gradinata e le dieci arcate della loggetta.
Più tardi (fine degli anni Trenta) viene scavata la fossa scenica, definita per intero negli anni 1970-1971.
E il Teatro Romano ritorna a vivere…
Due secoli dopo, intorno al 1890, l’accesso alla piazzetta era stato modificato con la realizzazione di una serie di scalinate, due parallele alla strada e contrapposte, la terza dritta verso collina, a guisa di cortina di separazione tra la viabilità sul lungadige e la sacralità del luogo.
E il Teatro Romano?
Il teatro non c’era, o meglio c’era ma quasi nessuno lo sapeva e forse chi lo sapeva faceva finta… di non saperlo.
L’antica struttura originale romana, attribuibile alla seconda metà del I secolo a.C., aveva subito nel corso dei secoli sia spoliazioni sia crolli e ciò che era rimasto era stato lentamente coperto da nuove costruzioni, che finirono per occultare completamente il teatro agli occhi dei veronesi.
A dire il vero, qualcuno si era reso conto che qualcosa si celava sotto le case. Un certo G. M. (forse Gian Maria) Fontana, proprietario di parte dell’area sotto la qualesi celava il teatro, a seguito della scoperta casuale di alcuni reperti antichi venuti alla luce durante dei lavori, iniziò una prima fase di scavi intorno alla metà del Settecento (la casa Fontana oggi è il piccolo edificio utilizzato come ingresso-portineria del teatro).
La ricerca però si arresta e trascorre più di mezzo secolo prima che qualcun altro, cosciente di cosa si nascondeva sotto le case e spinto da un ‘sacro furore culturale’, decidesse di impiegare le proprie ricchezze e dedicare la vita a mettere in luce i resti del Teatro Romano, restituendo alla città la grandezza e le memorie storiche e culturali del colle di San Pietro.
Questo qualcuno è un veronese il cui peso storico, per ironia della sorte, ricalca un po’ le vicende del teatro, ovvero viene quasi del tutto dimenticato: Andrea Monga.
Il Monga (1794-1861) possiede una particolare predisposizione per l’arte e l’architettura, tanto che fin da giovane si dedica all’edilizia, alle costruzioni e al patrimonio storico-culturale della città: uno dei primi interventi è finalizzato al recupero della cappella di Sant’Elena, presso la chiesa di Santa Maria in Organo, allora quasi sepolta da altri edifici.
Proveniente da un’agiata famiglia di commercianti e proprietario di alcuni immobili sull’area dell’antico teatro, acquista alcune case adiacenti allo scopo difareseguire degli scavi sistematici.
È il 1834: l’anno successivo iniziano i saggi di scavo.
Incoraggiato dai primi risultati, impiega il suo capitale per successivi acquisti, per un totale di circa 40 abitazioni (il numero esatto sembra essere 36). I lavori si protraggono per un decennio, fino al 1844: dopo l’abbattimento delle casette sorte sull’area, inizia lo scavo che scopre e restituisce la grande intercapedine che separa il complesso del teatro dalla collina, ritrova all’interno del convento dei Gesuati i resti dell’ambulacro, riporta alla luce i due scaloni laterali, parte della cavea e dell’Odeon, edificio simile ad un teatro, ma coperto e riservato ad audizioni musicali, posto in piazzetta Martiri della Libertà. Individua inoltre la funzione di raccordo tra le recinzioni della scala posta nella grotta di San Siro.
Un lavoro che, riferito al tempo, può definirsi ciclopico. In questo suo vasto operato, il Monga presenzia sempre agli scavi e ne rileva i disegni e gli stati di avanzamento dei lavori. Prezioso è anche l’aiuto di Gaetano Pinali, un avvocato veronese appassionato di architettura e archeologia.
In quest’opera colossale e decisamente onerosa, il Monganon ottiene l’aiuto di alcuno (salvo il Pinali), anzi, viene spesso ostacolato dalla popolazione, che si vedeva cacciata dalle proprie abitazioni e non comprendeva, anche per lo scarso senso civico, unito a poca o nulla cultura, l’opera che il munifico commerciante portava avanti con tenacia e passione. In questo contesto, gli elogi ricevuti da illustri studiosi e archeologi italiani e stranieri non riescono ad evitargli le infinite contrarietà e quello scoramento che lo consumano e ne incrinano la forte tempra.
Dopo aver profuso i suoi sforzi nel recupero culturale della città e aver impiegato a tal scopo le sue ingenti ricchezze e le sue energie, Andrea Monga muore per una polmonite nell’aprile del 1861, a circa 67 anni. La cittadinanza ignora la sua scomparsa: solo tre cittadini accompagnano il feretro all’ultima dimora: il professor Franco, l’ingegner Storari e l’architetto Zannoni.Uno scrittore che ebbe modo di conoscere Andrea Monga, Pietro Sgulmero, scrisse che la sua era «una di quelle spese ingenti che facevano i Principi di una volta e che fanno di rado i governi d’oggi».
La scomparsa del mecenate, fortunatamente, non blocca i lavori e le ricerche sul teatro: il figlio del Pinali, Francesco, dopo la scomparsa del padre, prosegue l’opera fino al 1884, anno della sua morte.
Questa volta i lavori si fermano per davvero. Sarà il Comune di Verona, grazie all’amministrazione Guglielmi-Franchini e all’aiuto prezioso della Cassa di Risparmio, a continuare il lavoro iniziato quasi due secoli prima dal Fontana e poi dal Monga. Nel 1904 il Comune acquisisce dagli eredi di Andrea Monga l’intera area teatrale e gli altri edifici che v’insistevano, come pure la collezione archeologica dei reperti ritrovati, con elementi architettonici e decorativi della scena teatrale ed epigrafi.
I lavori di scavo riprendono nel biennio 1904-1905 sotto la guida di Ricci e Ghirardini, con la messa in luce dell’intera cavea e proseguono fino al 1914, sotto la direzione dell’Ufficio Tecnico Municipale. Vengono ricomposte la prima gradinata e le dieci arcate della loggetta.
Più tardi (fine degli anni Trenta) viene scavata la fossa scenica, definita per intero negli anni 1970-1971.
E il Teatro Romano ritorna a vivere…
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