sabato 7 aprile 2012

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Il grande olocausto dei nativi americani – seconda parte

La conquista del suolo americano si può suddividere in cinque grandi fasi.
La prima fase (1512-1689) è caratterizzate dalle imprese isolate di pionieri di varia origine (in genere spagnoli,inglesi,olandesi e francesi),molti dei quali erano persone che avevano scelto questa via per sfuggire ad un destino di prigionia in Europa. Inizialmente i nativi furono accoglienti verso questi nuovi arrivati,ma in breve, di fronte alle mire egemoniche di cui presto diedero mostra, mutarono ben presto atteggiamento opponendo una dura resistenza all’avanzata dei conquistatori, ma venendo infine sconfitti dalla superiorità bellica di questi ultimi.
L’episodio che caratterizzò più di tutto questa fase fu la vittoriosa resistenza all’invasione francese da parte degli Irochesi. Essi erano al tempo i più evoluti fra i nativi nordamericani e costituivano la “Lega della lunga casa”,con un ordinamento giuridico evoluto e comprendevano cinque tribù (per questo vennero chiamati anche “Lega della Cinque Nazioni”: Mohawk, Oneida, Onondaga, Cayuga e i Seneca, questi ultimi i più numerosi e agguerriti. Va detto che in genere i rapporti dei nativi con i francesi fu relativamente buono (soprattutto con le tribù Algonchine,nemiche storiche degli Irochesi). Questo, non perché i francesi fossero migliori ma semplicemente perché i loro interessi erano più volti al commercio, che all’acquisizione di terre. Tuttavia i capi Irochesi erano lungimiranti e sapevano bene che la presenza dei nuovi arrivati avrebbe portato loro solo sciagure. Essi contavano 12.000 individui, di cui circa 1200 guerrieri. Le prime azioni degli Irochesi furono dirette contro le tribù vicine, amiche dei francesi, in maggioranza Huroni, che vennero quasi completamente annientati. Poi i guerrieri delle cinque nazioni diressero i loro attacchi contro i Neutral e gli Erie,che fecero analoga fine e i cui resti andarono ad ingrossare le fila irochesi. La guerra vera e propria contro i francesi iniziò nel 1652, quando un Seneca venne arrestato e arso vivo dai francesi a Trois-Rivieres. Bramosi di vendetta ,600 guerrieri irochesi devastarono la località. Nel 1660 un’armata di 1200 Irochesi guidati da Aharihon tentarono l’assalto a Quebec,ma incontrarono una forte resistenza che li costrinse a limitarsi a tenere sotto assedio la città per un anno. In seguito all’arrivo di tre nuovi comandanti francesi:Talon, Tracy e Courcelles,i francesi contrattaccarono con alterne fortune,ma senza mai spezzare la resistenza nemica che li logorava con continui attacchi seguiti da rapidissime ritirate. Nel 1684 gli Inglesi costruirono un’alleanza con gli Irochesi,fornendo loro armi in quantità. Nonostante fossero state avviate dei tentativi di pacificazione, un’azione vergognosa del nuovo governatore Denonville le fece fallire. Costui invitò 60 Indiani ad un banchetto con la scusa di negoziare, ma invece li fece spedire come schiavi in Francia. I futuri schiavi però non videro mai la loro destinazione:morirono tutti durante il viaggio a causa di un’epidemia contratta sulla nave. Gli Irochesi non dimenticarono mai questo affronto. Ebbri di vendetta piombarono il 5 Agosto 1689 sul villaggio di Lachine, radendolo al suolo, uccidendo o catturando tutti gli abitanti. Nessun altro tentativo francese spezzò la loro resistenza. Ad aggravare la situazione,in quell’anno l’Inghilterra dichiarò guerra alla Francia.
Mentre questo accadeva nel Nord del continente,a Sud,negli stessi anni, gli Inglesi della Virginia, in seguito ad alcuni incidenti di bassa entità (alcuni Indiani rubarono dei maiali in seguito ad un mancato pagamento da parte dei virginiani e questi ultimi si vendicarono uccidendo molti indigeni), scoppiò una rivolta nota come “rivolta di Bacon”. Ancora una volta i coloni accesero la scintilla uccidendo sei capi della tribù dei Susquehanna, scatenando la loro reazione. Contro la linea pacificatrice del governatore della Virginia, si scagliò un colono recentemente sbarcato, Nathaniel Bacon, che non riconosceva ai nativi alcun diritto su quelle terre. Alla guida di 440 mercenari attaccò un villaggio vicino a Richmond uccidendo 150 persone, senza nessuna distinzione di età o sesso, proseguendo poi su questa linea, sino alla sua morte per malaria. Prima di morire però, la sua azione devastatrice costò il quasi annientamento delle tribù locali, che non si ripresero mai più.
Le due guerre di sterminio più terribili della storia della colonizzazione avvennero in questo periodo e furono caratterizzate dalla presenza dei predicatori religiosi, che costituirono una miccia devastante per i popoli nativi. La nuova Inghilterra era infatti caduta in mano a fanatici puritani che si consideravano “popolo eletto”, scelto da Dio per creare in quei luoghi una nuova civiltà dopo averli liberati dai “pellerossa figli di Satana”. Tristemente scolpiti nella storia resteranno i momenti di preghiera delle truppe prima dei massacri, o i ringraziamenti rivolti a Dio dopo la battaglia per aver dato loro l’occasione di uccidere così tanti di quegli “esseri immondi” in una sola volta.
L’uso della religione per giustificare azioni disumane sarà una costante della storia della conquista dell’America. Una simile mentalità pregiudicò qualsiasi buon rapporto con i nativi, anche perché chi ci provava veniva subito allontanato e perseguitato dalla comunità.
Naturalmente va detto che non tutti i religiosi che raggiunsero l’America erano di questa risma: molti erano personalità sincere e mosse dai più nobili sentimenti che spesso presero posizione a fianco degli Indiani, pagando sovente questa loro scelta con la vita. La tribù più numerosa del luogo era quella di Pequod, guerrieri che avevano subito percepito la presenza britannica come ostile. Alcuni incidenti tra cacciatori Pequod e marinai inglesi furono il pretesto per scatenare una brutale repressione. Dopo avere bruciato alcuni villaggi e raccolti abbandonati, la spedizione punitiva britannica forte di 90 soldati regolari e affiancati da 70 guerrieri di etnia Mohegan del capo Uncas e altri guerrieri Narraganset, piombò di sorpresa sul villaggio Pequod sul Mystic River. Era il 26 maggio 1637 e passò allo storia come una delle giornate più nere per la lotta contro i colonialisti.
Dopo aver fatto irruzione nel villaggio e sparato su chiunque capitasse loro davanti, gli assalitori bruciarono l’intero villaggio: chi cercò di scappare all’esterno veniva immediatamente abbattuto.
Quel giorno morirono 600 Pequod di ogni età e sesso. I capi inglesi esultavano inneggiando alla grazia di Dio. I sopravvissuti iniziarono un terribile esodo, inseguiti dalle forze inglesi. Coloro che non fuggirono vennero tutti uccisi, esclusi 80 donne e bambini che furono ridotti in schiavitù.
Gli ultimi sopravvissuti, fuggiti in una palude vicino a Fairfield furono a loro volta circondati e sconfitti dopo una breve e furiosa battaglia. Dei 200 che si arresero e sopravvissero,poco dopo si perse ogni traccia. Una nazione era stata completamente estinta. Di episodi analoghi si macchiarono anche gli olandesi che si erano stanziati nei pressi delle aree che oggi sono note col nome di Maine e Connecticut, che sotto la guida del feroce governatore Willem Kieft iniziarono una violenta guerra di sterminio iniziata sempre con futili pretesti o episodi isolati. Vennero così annientati diversi villaggi con sistemi che definire barbari è ben poca cosa: si provi soltanto ad immaginare decine di uomini, donne e bambini mutilati, bruciati vivi nelle proprie abitazioni o feriti a morte con armi di ogni sorta. Questa campagna di sterminio durò dal 1640 al 1645 e costò la vita a più di mille Indiani (più quelli ridotti in schiavitù).
Come però abbiamo visto poc’anzi, anche in territorio britannico i nativi non si piegarono alla conquista senza resistere. Fu proprio un atto di resistenza a segnare l’inizio della seconda grande guerra indiana. Alla guida della fazione indiana vi era un grande condottiero: Metacomet, appartenente alla tribù dei Wampanoag, passato alla storia come un capo estremamente capace, coerente e tenace. Egli capì subito che con 30.000 stranieri già sul proprio territorio, per loro non vi sarebbe stato scampo. La conferma si ebbe quando i coloni si spinsero fino sul Mount Hope, luogo natale di Metacomet. Alcuni incidenti tra i due fronti, come sempre scatenarono l’ira indiana. Di fronte all’abbattimento non autorizzato da parte indiana di alcuni capi di bestiame, i coloni uccisero molti di loro, scatenando la guerra. Il comando inglese venne assunto dallo spietato Benjamin Church. Il suo avversario intanto lanciava continui attacchi alle località inglesi arrivando a distruggerne ben venti nell’estate del 1675. Contro di lui, i coloni mobilitarono 1000 miliziani, tra cui alcuni pirati delle Antille, con diritto di saccheggio. Gli inglesi fecero poi pressioni sulla tribù dei Narraganset cercando di costringerli a partecipare alla repressione, ma costoro rifiutarono dichiarandosi neutrali e si rinchiusero in una fortezza nei pressi del luogo in cui pochi anni prima erano stati annientati i Pequod. Gli inglesi li punirono per questa presa di posizione. Il 19 dicembre 1675 un esercito di 970 miliziani e 150 Mohegan guidati dal generale Winslow e da Oneco, figlio di Uncas, attaccarono il forte (in cui erano stimate 3500 anime) e lo distrussero massacrando nei modi più feroci 600 Narraganset e ferendone altri 300 mortalmente. Tutti gli altri vennero ridotti in schiavitù. I pochi superstiti dei Narraganset si unirono così alla rivolta di Metacomet. La reazione degli Indiani fu immediata. Delle 90 località della Nuova Inghilterra, 50 erano state assalite e 20 totalmente distrutte. La colonia era ad un passo dalla sua distruzione. Ironia della sorte, tuttavia, il colpo che ribaltò l’esito della guerra di liberazione, venne proprio dai fratelli di razza di Metacomet. Mentre quest’ultimo arruolava oltre 500 nuovi guerrieri, i Mohawk si fecero convincere dal governatore di New York a prendere le difese dei coloni. Un’offensiva improvvisa dei Mohawk, costrinse i seguaci di Metacomet a disperdersi. Gli inglesi ripresero l’offensiva con rinnovata energia, e sebbene la loro avanzata fu sempre molto dura, l’esito della ribellione era sempre più a favore dei coloni. Le tribù alleate di Metacomet, i Nipmuc e i Narraganset, abbandonarono la lotta lasciandolo solo con i suoi soli Wampanoag. In successive diverse battaglie, in cui gli inglesi uccisero altri 500 Indiani riducendone altrettanti in schiavitù, l’avanzata delle forze di Church proseguì inarrestabile fino all’ultimo rifugio di Metacomet, vicino al suo luogo natale, Mount Hope. Il 12 Agosto del 1676 fu il giorno della battaglia finale: circondato dai suoi pochi superstiti, Metacomet cadde con onore. Ma l’europeo Church, alla vista del suo cadavere, lo definì: “Una grossa, sporca bestia triste e nuda”. Il corpo del capo indiano venne smembrato e i suoi pezzi appesi in varie località della Nuova Inghilterra come monito. La guerra costò in tutto 3000 morti nativi.

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