lunedì 30 aprile 2012
Bagnasco l'ingordigia fatta carne!
Bagnasco, pensione da generale: articolo di Riccardo Bianchi
I cappellani militari costano allo stato oltre 15 milioni di euro l'anno. E tra loro abbondano i vescovi babypensionati con emolumenti d'oro. Tra cui anche l'attuale presidente della Conferenza episcopale italiana(27 aprile 2012)All'interno della cittadella militare della Cecchignola c'è un seminario. Vi nascono i futuri cappellani militari, preti che per l'esercito italiano sono anche ufficiali. Il seminario è cattolico, ma a pagare la formazione degli attuali otto seminaristi ci pensa lo stato italiano. Perché la «Scuola allievi cappellani militari» fa parte dell'ordinariato militare, una speciale diocesi che però è anche una struttura delle forze armate e i cui soli uffici centrali romani pesano per 2 milioni di euro sul bilancio del ministero della Difesa. Sembrano tanti, ma pensioni e stipendi di tutti i sacerdoti e, soprattutto dei vescovi che comandano, toccano la cifra di ben 15 milioni di euro all'anno. E abbondano i casi di babypensionamenti.
Tra questi babypensionati spunta il presidente della Conferenza Episcopale Italiana, Angelo Bagnasco, che dal 2003 al 2006 è stato anche arcivescovo ordinario militare, cioè reggente della diocesi, per legge equiparato ad un generale di corpo d'armata. Un ruolo del genere si aggira sui 190mila euro lordi di stipendio all'anno, quello che riceve l'ordinario attuale, monsignor Vincenzo Pelvi. Come pensione, si parla di oltre 4mila euro lordi al mese, ma Bagnasco prende di meno perché non è arrivato ai venti anni di servizio. Detto questo, raggiungendo nel 2006 i sessantatre anni d'età ha avuto diritto al vitalizio sostanzioso con soli tre anni di contributi, e come lui tre generali predecessori: i monsignori Gaetano Bonicelli (sette anni di contributi), Giovanni Marra (otto anni) e Giuseppe Mani (otto anni).
Il problema delle pensioni dei cappellani è un vero dilemma: interrogato da Maurizio Turco dei Radicali, il ministro della difesa Di Paola ha risposta che l'Inpdap non sa dire a quanto ammontino, ma ha stimato che la media degli assegni per i 160 religiosi, di cui 16 alti graduati, si aggiri sui 43 mila euro lordi annui. Sommandoli agli 8,6 milioni di euro che costano i 184 cappellani in attività, vescovi compresi, si arriva a 15 milioni. Un bel costo per «l'assistenza spirituale delle forze armate».
«Il governo parla di tagliare 30-40 mila posti tra militari e civili al ministero della Difesa, ma i cappellani dovevano scendere a 116 e invece superano ancora i 180». spiega Luca Comellini del partito per la tutela dei diritti dei militari, che con Turco ha sollevato il caso delle spese. C'è un sacerdote alla Croce Rossa e ce ne sono al fronte: «Per altro quando dicono messa la domenica ricevono l'indennità di lavoro festivo e se vanno in guerra quella di missione».
L'unico che nella storia ha sciolto i cappellani è stato Mussolini il giorno dopo la marcia su Roma dell'ottobre 1922. Temeva fossero infiltrati del Vaticano, ma negli anni '30 iniziò a riaprire le truppe alla presenza dei preti. Poi nessuno ci ha rimesso mano. Anzi, nel 1997 il governo di centrosinistra di Romano Prodi ha alzato i gradi e con loro lo stipendio dei religiosi: il vicario generale, secondo della gerarchia dell'ordinariato, passò da generale di brigata a generale di divisione, gli ispettori da tenenti colonnello a generali di brigata. Furono creati altri ruoli di rango elevato, così che se prima i sacerdoti erano tenenti, capitani o maggiori, adesso possono essere anche colonnelli e tenenti colonnello.
Un discorso a parte, anzi un articolo a parte, meriterebbe tutta la discussione interna alla Chiesa sul valore dei cappellani. Nel '65 un gruppo di loro scrisse di ritenere «un insulto alla Patria e ai suoi Caduti la cosiddetta «obiezione di coscienza», che, «estranea al comandamento cristiano dell'amore, è espressione di viltà». Ci pensò Don Lorenzo Milano a rispondere che «E' troppo facile dimostrare che Gesù era contrario alla violenza e che per sé non accettò nemmeno la legittima difesa». Da anni, dai tempi di monsignor Tonino Bello, Pax Christi chiede di smilitarizzarli e di passare la cura delle anime dei soldati alle parrocchie in cui ha sede la caserma. Insomma, all'interno delle curie è un tema che fa discutere. Ma un altro si presenterà allo stato laico: stanno arrivando soldati di fede diversa, ma l'ordinariato è un ufficio puramente cattolico. Come farà a garantire l' «assistenza spirituale delle forze armate» che non credono in Cristo o almeno non nel papa? Sarà un altro bel dilemma.
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