lunedì 29 aprile 2024

Il Dio asino

 [ Nei tempi del primo Cristianesimo l’asino è emblema di Cristo. ]



Un celebre graffito, ora conservato nel museo del Palatino, raffigura un crocifisso con la testa d’asino, fusione di Cristo e d’un reinterpretato Anubis. Anubis ha capo di sciacallo: così si pensava: ora pare che l’animale sia il lupo grigio del deserto; non ricorderò l’importanza di questo Dio nella religione egiziana, messaggero dell’aldilà e scorta dei defunti nell’altro regno. Il graffito, risalente alla metà del III secolo e proveniente dal Pedagogio, la scuola dei paggi, vede un uomo in adorazione; la scritta in greco, didascalia dell’immagine, è «Alessameno venera il suo Dio». La prima spiegazione era che l’autore del disegno fosse lo stesso Alessameno, seguace di una setta gnostica e dichiarante il suo credo; oggi si propende verso l’interpretazione che il disegno sia una crudele irrisione di altri verso Alessameno, che doveva essere cristiano. E tuttavia la mitezza dell’asino fa di quest’animale, dalle straordinarie intelligenza e bontà, un simbolo del Christus patiens, del Cristo che sopporta la sofferenza per redimerci: e Gesù in quanto Cristo entra in Gerusalemme la domenica delle Palme in groppa a un asino, che già presso gli ebrei personificava la mansuetudine, laddove il cavallo significa guerra. Ricordo che proprio l’intelligenza e la bontà dell’asino ne fanno oggi un terapeuta, giacché egli è capace di curare malattie psichiche, in particolare l’autismo. Il centro di onoterapia di Polverara, presso Padova, mi è familiare e carissimo: si porta l’ammalato, di solito un ragazzo, al centro del recinto, e dopo un breve intervallo uno dei tredici asini che colà abitano si stacca dal gruppo, si avvicina al ragazzo e incomincia a carezzarlo e baciarlo. È il terapeuta a scegliersi il paziente, non il paziente il terapeuta. L’asino trasfonde la sua immensa capacità di affetto sull’ammalato dandogli equilibrio, sicurezza, forza; io sono addirittura convinto che riesca ad attirare su di sé il malessere, privandone il soggetto – il più profondo motivo per il quale egli è emblema di Cristo. Insieme col pellicano, che si ferisce il petto per nutrire i suoi piccoli col proprio stesso sangue.
Paolo Isotta, da Il canto degli animali
ph Robert Bresson, Au hasard Balthazar 1966

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