venerdì 23 agosto 2019

Esicasmo e il simbolismo della croce








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La trasfigurazione, nella via dell’Esicasmo, è intimamente legata alla preghiera vespertina: al momento in cui si canta il Fos Ilaron, che è il momento in cui, al finire del giorno, quale simbolo del finire e dei confini del mondo e delle realtà mondane, appare la Luce Divina, la Luce Gioiosa del Padre. Questa allude chiaramente alle realtà domenicali e al Regno del Padre: “ Nella casa del Padre mio vi sono molti posti “.
Non intendo minimamente, qui , cercare di entrare nella tecnica di questo tipo di preghiera che deve indurre o propiziare il sorgere, nel cuore, della Luce senza tramonto, ma mi preme, invece, sottolineare il suo intimo collegamento con la tipica croce ortodossa che è caratterizzata dal predellino inclinato – che manca normalmente in quella latina - nella parte inferiore: ai piedi quasi della croce stessa. Quasi nessuno si è accorto del suo collegamento con la proiezione dell’ombra che crea la croce al tramonto e ancor di più col fatto che, in questo modo, la croce ortodossa rimarca la presenza non di sei, ma di otto bracci.
I sei bracci sono le sei direzioni e le tre dimensioni dello spazio che definiscono lo stato dell’uomo individuale ed il mondo, ma il predellino inclinato rappresenta proprio la dimensione della resurrezione, che si trova oltre questo limite ed essere ai piedi della croce significa proprio essere sul limite che introduce nel mistero vivo della Resurrezione. Infatti il sangue che cola sul predellino va a rivivificare e resuscitare Adamo decaduto, rappresentato dal teschio che si trova sotto la croce stessa.
Questo è il punto in cui si ha una sorta di soluzione di continuità, descritta magistralmente da René Guénon ne Il Simbolismo della Croce:
“ […] Se tuttavia dobbiamo porre una restrizione a proposito della continuità (in mancanza della quale la causalità universale, per cui tutto deve concatenarsi senza interruzioni di sorta, non potrebbe essere soddisfatta), ciò è dovuto al fatto che, come abbiamo detto, da un punto di vista diverso da quello del percorso dei cicli vi è un momento di discontinuità nello sviluppo dell'essere: questo momento, di carattere assolutamente unico, è quello in cui, per azione del « raggio celeste » operante su un piano di riflessione, si effettua la vibrazione corrispondente al fiat lux cosmogonico che illumina, con la sua irradiazione, tutto il caos delle possibilità. A partire da tale momento l'ordine subentra al caos, la luce alle tenebre, l'atto alla potenza, la realtà alla virtualità; e quando tale vibrazione ha conseguito il suo pieno effetto, amplificandosi e ripercuotendosi fino ai confini dell'essere, quest'ultimo, realizzata da quel momento la propria totale pienezza, è evidentemente affrancato dal percorrere questo o quel ciclo particolare, poiché tutti li abbraccia nella perfetta simultaneità di una comprensione sintetica e « non distintiva ». È questa, se la si intende nel suo vero significato, la « trasformazione » che implica il « ritorno degli esseri in modificazione nell'Essere immodificato », al di fuori e al di là di tutte le condizioni speciali, che definiscono i gradi dell'Esistenza manifestata […] “.
E’ esattamente questo, nell’altrettanto magistrale descrizione che ne da Losskij , l’effetto della luce divina che illumina i Santi Esicasti : “ […] La luce divina appare quaggiù, nel mondo, nel tempo; si rivela nella storia, ma non è di questo mondo; è eterna, costituisce un uscire dal’esistenza storica: “ il mistero del’ottavo giorno”, mistero della vera conoscenza, perfezione della gnosi la cui pienezza non può essere contenuta dal mondo prima della fine. E’ il principio della parusia nelle anime sante […] “ ( op.cit. pag.226).

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