ERMETE, IL COLLE, LA RUOTA
Immagini alchemiche in alcune parti del pavimento del Duomo di Siena
a cura di Stefano Cappelletti
Immagini alchemiche in alcune parti del pavimento del Duomo di Siena
a cura di Stefano Cappelletti
La lunga e complessa storia della costruzione del Duomo di Siena si rispecchia nell’esecuzione del suo incredibile pavimento marmoreo; durata per ben sei secoli, dal Trecento all’Ottocento.
Maestro della tecnica della decorazione marmorea fu Duccio da Boninsegna, riconosciuto caposcuola dell’arte senese, tanto che il Vasari ebbe a definirlo "il più bello… grande e magnifico pavimento che mai fusse stato fatto".
Ma nel corso dei secoli svariati artisti si sono succeduti nella creazione di questa immensa "opera nell’opera": Domenico di Niccolò, Stefano di Giovanni detto «il Sassetta», Domenico di Bartolo, Pietro del Minella, Antonio Federighi, Urbano da Cortona, Francesco di Giorgio Martini, Nerocchio di Bartolommeo, Matteo di Giovanni, Giovanni di Stefano, figlio del «Sassetta», Benvenuto di Giovanni, Guidoccio Cozzarelli, Bernardino Pintoricchio.
Ma, nonostante lo scorrere del tempo e il susseguirsi degli esecutori, ne scaturisce "un disegno ideale vasto e complesso, legato a un'iniziale concezione creativa, portato avanti attraverso secoli differenti da diversi autori".
Entrati nel tempio dalla porta centrale si trova la figura di Ermete Trismegisto, che simboleggia l’inizio della conoscenza terrena.
Il sapiente egizio, depositario della saggezza antica, reca in mano un libro che affida a due figure allegoriche, rappresentanti l’oriente e l’occidente. Sulla tabella a destra una frase che è attribuita al Poimandres (pastore di uomini) alludente alla creazione del mondo, da cui prende avvio l’indagine conoscitiva dell’uomo; con un chiaro riferimento all’Egitto e all’antica sapienza (a cui alludono anche le due sfingi) che viene data alle genti orientali e occidentali, ma che non può esser disgiunta dall’origine divina.
Ruota della Fortuna
Immagine dal sito http://upload.wikimedia.org/
La quarta scena della navata centrale è l’allegoria del colle della sapienza, nel quale sono evidenti simboli e richiami alchemici.
La scena è dominata dalla mole del colle, a cui una varia folla è giunta condottavi dalla Fortuna, la cui figura nuda regge con una mano una vela gonfiata dal vento e con l’altra una cornucopia; posando un piede sopra una sfera e l’altro sopra una una barca con l’albero spezzato, secondo una rappresentazione tradizionale. Sul colle si snoda un sentiero costellato di ostacoli, sassi e serpi che i savi devono percorrere per giungere alla vetta, ovvero alla sapienza che li attende con una palma e un libro nelle mani. Ai suoi lati sono Socrate, cui è destinata la palma, e Cratete che svuota in mare un cesto di oggetti preziosi; evidente il richiamo all’illusorietà delle ricchezze. E’ chiaro il significato dell’allegoria... La virtù è raggiungibile solo a costo di grandi fatiche, ma il suo richiamo e i suoi premi sono configurati nel distico che appare sopra la figura seduta: "il compenso per il saggio che ha raggiunto la virtù sarà dunque la serenità".
Conclude le allegorie centrali la Ruota della Fortuna. Legata alle Tradizione medievale, che la inseriva anche nella facciate delle chiese, è simbolo delle vicende umane.
Agli angoli della figura sono rappresentati quattro filosofi dell’antichità - Epitteto, Aristotele, Euripide e Seneca - che in ciascuno dei rotoli che tengono in mano alludono alla fortuna. La ruota, ma forse è una scala, è retta da 8 pilastri (numero dell’infinito), ha in alto un re seduto in trono e tre figure abbracciate in corrispondenza degli assi.
Dal sito http://www.lamelagrana.net/
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