Palazzo San Sabastiano Mantova Soffitto con l'immagine del Croziol
I Gonzaga hanno legato indissolubilmente il loro nome, la loro storia e la loro fortuna alla città di cui divennero Signori da quel 16 Agosto 1328, giorno in cui il capostipite della dinastia, Luigi, con la sua astuzia e con la sua ferocia eliminò Passerino Bonaccolsi e prese possesso di Mantova.
Mantova che da quasi duemila anni custodisce fra le sue mura la più preziosa reliquia di tutta la Cristianità: il Preziosissimo Sangue di Gesù Cristo, il Sangue del Re dei Re, il “Sang Real”,
portato a Mantova, dalla Palestina, da Longino, il soldato romano che trafisse con la propria lancia il costato di Cristo. A seguito delle persecuzioni dei Romani lo stesso nascose nell’orto dell’ospedale per i pellegrini (ove attualmente sorge la Basilica di S. Andrea) il Sangue di Cristo, prima di essere ucciso per decapitazione il 2 dicembre del 37 d.C. Passarono diversi secoli prima che nel 804, S. Andrea, apparso in sogno ad un fedele, indicasse ove era nascosta la Reliquia; il Papa Leone III saputo della scoperta si recò a Mantova con l’ Imperatore Carlo Magno ove accertò la veridicità del ritrovamento tanto che l’Imperatore riportò con sé a Parigi una particella del Preziosissimo Sangue per collocarla nella Cappella Reale.
Successivamente nel 923 o 924 le reliquie furono di nuovo nascoste temendo l’invasione degli Ungari e solo nel 1048, S. Andrea riapparve in sogno al mendicante tedesco Adalberto indicandogli dove ritrovare la Reliquia che era stata nascosta nell’orto di S. Andrea (nel luogo in cui era posto l’ospedale dei pellegrini, dedicato poi a S. Maddalena, era nel frattempo sorto un oratorio).
Signori di Mantova in quel periodo erano Bonifacio di Canossa e la moglie Beatrice di Lorena, genitori di colei che sarà chiamata la vice-regina d’Italia Matilde di Canossa, i quali parteciparono al ritrovamento. Da quel momento e fino al 1848 il Preziossimo Sangue rimarrà ininterrottamente
custodito fra le mura della chiesa di S. Andrea a Mantova.
E i Gonzaga ? Essi probabilmente ritenevano di essere la “stirpe” destinata, per nobiltà, purezza, discendenza a custodire per diritto divino il “Sang Real”.
Tale riconoscimento viene a mio parere “consacrato” di fronte a tutte le famiglie nobili d’Europa quando l’Imperatore Sigismondo di Lussemburgo, legato ai Cavalieri Teutonici e Gran Maestro dell’Ordine dei Cavalieri del Dragone (si dice l’ordine cavalleresco più antico al mondo), di ritorno da Roma dove era andato per farsi cingere della corona imperiale si ferma a Mantova il 22 settembre 1433 ad investire del titolo di Marchese dell’Impero Gianfrancesco Gonzaga e per dare ai Gonzaga un nuovo stemma araldico molto interessante, come lo descrivono le cronache di allora “…li diede uno scudo con l’arma delle quattro aquile in campo bianco, distinto da una croce rossa (n.d.a.Croce rossa patente)…”. Ora, se le aquile inquartate nello stemma stanno a significare la sottomissione dei Gonzaga all’Impero , neppure il maggior esperto di araldica gonzaghesca da me interpellato ha saputo rispondere alla domanda sul significato della croce rossa patente. Tutti sanno che la croce rossa patente in campo bianco era l’emblema con il quale si riconoscevano i Templari, pertanto ritengo che l’inserimento di tale segno nello stemma araldico stesse ad indicare “a coloro che sapevano” che i Gonzaga erano legati con i discendenti dell’Ordine Templare: i cavalieri del Priorato di Sion !
A rafforzamento di tale tesi bisogna dire che circa cento anni dopo, nel 1527, diventa Gran Maestro del Priorato di Sion (secondo quanto scritto nei “dossier segreti” custoditi nella Biblioteca Nazionale di Parigi) Ferrante Gonzaga, personaggio di primo piano nella storia italiana del Cinquecento, figlio di Isabella d’Este, la Signora del Rinascimento, che sarà Vicerè di Sicilia e poi Governatore di Milano per conto dell’Imperatore Carlo V e capitano delle sue truppe. Egli sarà anche il primo italiano ad essere insignito dell’onorificienza del Toson d’Oro.
Successivamente un altro Gonzaga diventerà Gran Maestro dell’Ordine del Priorato di Sion:
Luigi di Gonzaga – Nevers. Vorrei soffermarmi anche in questo caso sull’importanza dello stemma araldico di questa famiglia che era costituito, stranamente, dall’insieme degli stemmi araldici
delle famiglie che si erano imparentate con i Nevers ed i Gonzaga( i Cleves, i La Marck, gli Artois e poi ancora Brabante, Borgogna, Rethel, Albret-Orval, Alençon, Boemia, Aragona, Bar, Sassonia, fior fiore della nobiltà europea) ed in cui erano inquartati i tre stemmi araldici che indicavano una discendenza imperiale-divina: l’Aquila di Bisanzio, la Croce di Costantinopoli e la Croce di Gerusalemme.
Se prendiamo atto che l’araldica in quell’epoca era un “scienza esatta” e che niente veniva inserito negli stemmi senza un preciso significato, occulto o palese, possiamo capire l’importanza di quanto sopra descritto e ad ulteriore conferma di quanto detto, vorrei citare la conclusione tratta da F. Cadet de Gassicourt e dal Barone Du Roure de Pauline nel loro libro “L’ermetismo nell’arte araldica” (Ed. Arkeios): “…che, anche per tutte le armi la cui origine ci è attualmente sconosciuta, un’idea abbia per forza dovuto presiedere alla loro scelta…Partendo dunque dal principio che nel Medio Evo molti personaggi, non dei minori, fossero affiliati a sette occulte - Templari, Rosacroce, antichi massoni, ecc.- abbiamo supposto, non senza verosimiglianza, che la maggior parte dei membri di quelle società segrete abbiano nel loro blasone dei simboli che permettessero di farsi riconoscere fra di loro, senza fare scoprire ai profani ciò che doveva restare nascosto…”
I Gonzaga, inoltre, si dichiaravano discendenti dalla stirpe merovingia. A riprova di ciò alcuni anni fa fu battuto ad un asta un gigantesco albero genealogico dei Gonzaga che iniziava indicando come capostipite addirittura Genebaldo, antenato di Meroveo fondatore della dinastia merovingia,
appartenente alla stirpe dei Franchi Sicambri, Primo duca dei Franchi Occidentali, morto nel 356 o nel 358.E’ chiaro che il discendere dalla stirpe merovingia era importantissimo per i Gonzaga, poiché se i Merovingi discendevano direttamente dalla stirpe di Gesù Cristo ( come è anche teorizzato nel libro di Baigent, Leigh e Lincoln: “Il Santo Graal”) allora anche nelle vene dei Gonzaga scorreva il “Sang Real”,quindi si sentivano legittimati a custodire il “Preziosissimo Sangue” .
Numerosi altri sono gli elementi di collegamento fra i Gonzaga ed il Santo Graal,basti pensare all’attrazione che essi avevano per il primo grande romanzo della cultura occidentale, quello riguardante Re Artù ed i Cavalieri della Tavola Rotonda, ove erano presenti tre temi: La Dama, il Re ed il Graal, tanto da custodire nel loro palazzo un’importante biblioteca di codici cavallereschi e di manoscritti narranti le gesta di Lancillotto, Parsifal ed i Cavalieri della Tavola Rotonda. Oppure basti osservare visitando palazzo Gonzaga a Mantova la sala detta “del Pisanello”, così chiamata dal nome dell’autore che dipinse gli affreschi e le sinopie che coprono le pareti di questo magnifico ambiente (che sembra fosse destinato in passato a sala delle riunioni dei cavalieri più importanti del ducato oppure di qualche ordine cavalleresco sconosciuto) rappresentanti alcune scene del torneo di Louverzep tratte dal romanzo “Queste du Graal”.
L’articolo di Marcuzio Isauro “Et in Arcadia ego”, apparso sul n. 2 di questa Rivista ed in particolare il paragrafo riguardante “I Conti di Collalto”, hanno evidenziato incredibili coincidenze fra la storia dei Collalto stessi e quella dei Gonzaga, a partire dal rapporto con Sigismondo di Lussemburgo, il Toson d’Oro, i Merovingi, oltre al fatto che le famiglie strinsero anche legami di parentela nel corso dei secoli poichè Scipione I Collalto sposò Eleonora Gonzaga e una Collalto, Silvia, si unì in matrimonio con Federico Gonzaga. Ma è soprattutto quel senso di appartenenza a quelle che io chiamo “le famiglie del Graal”, la cosa che più le unisce..
Ritengo infatti che siano esistite ed esistano tuttora in Europa, famiglie di antichissima nobiltà, legate fra di loro, oltre che da vincoli di parentela, anche da un legame fortissimo dovuto al fatto di ritenere di essere discendenti della “Stirpe Divina”, la Stirpe del “Sang Real”.
Alberto Cavazzoli
Articolo tratto dal numero 5 della rivista “Templari” – Edizioni Trentini
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