domenica 4 giugno 2017

Adriano che inseguiva l'Anima

Angolotesti: "Animula vagula blandula" di Publio Elio Adriano

Animula vagula blandula è una brevissima poesia con cui Publio Elio Traiano Adriano si prepara a congedarsi dalla sua anima e si rivolge ad essa salutandola, quasi come fosse sulla soglia che separa la vita dalla morte e si apprestasse a separarsi da una cara compagna. L'incipit è stato usato anche dalla scrittrice Marguerite Yourcenar per dare il titolo a uno dei capitoli che compongono Memorie di Adriano, il suo capolavoro sulla vita dell'imperatore letterato vissuto tra I e II sec. d.C.
Il periodo in cui governò Adriano, tra il 117 e il 138 d.C., viene considerato l'età aurea del principato: lontano dai disordini di Caligola e Nerone, dalla tirannia di Domiziano, sotto la dinastia degli imperatori per adozione, prima l'anziano Nerva, poi Traiano e quindi Adriano, l'Impero di Roma, nella prima metà del II secolo raggiunse il suo massimo fulgore, si espanse dall'Eufrate alla Caledonia, dalla Mauretania alla Dacia. La Pax Romana, oltre alle ricchezze che confluivano dalle nuove provincie, permise di rinnovare lo splendore dell'età di Augusto, che aveva trovato Roma costruita di legno e l'aveva lasciata di marmo.
Traiano e Adriano, i grandi imperatori della dinastia Ulpio-Antonina costruirono il primo la colonna e i mercati che portano il suo nome, il secondo, oltre a restaurare il Pantheon di Agrippa e realizzare il mausoleo poi divenuto Castel Sant'Angelo e una magnifica residenza nella villa di Tivoli, due enormi biblioteche, una greca e una latina, nel foro romano sul Palatino.

"Fondare biblioteche è come costruire ancora granai pubblici, ammassare riserve contro un inverno dello spirito che, da molti indizi, mio malgrado, vedo venire. Ho ricostruito molto, e ricostruire significa collaborare con il tempo, nel suo aspetto di "passato", coglierne lo spirito o modificarlo, protenderlo quasi verso un più lungo avvenire; significa scoprire sotto le pietre il segreto delle sorgenti"
Queste parole, che Marguerite Yourcenar fa pronunciare al suo Adriano, riassumono bene lo spirito attivo e il piglio deciso e fervente con cui il principe umanista, dalla profonda cultura e animato da un intenso amore per il patrimonio della classicità ellenica, intervenne nel panorama delle arti e della letteratura del suo tempo.
Il recupero dei canoni classici per eccellenza, dalla statuaria all'architettura, pervade anche la poesia dell'epoca, che, se anche risulta priva di grandi opere, conta un'ampia produzione nella sua dimensione di rifugio privato, nel suo ritorno verso una dimensione intimistica e di gioco, nugatoria per usare un termine tecnico, e vede impegnato il principe in prima persona, come se le gravose cure di un governo complesso come quello di Roma richiedessero uno spazio riservato alla leggiadra eleganza della poesia come gioco intellettuale.
Attorno alla corte di Adriano, anche grazie al suo mecenatismo, nasce una sorta di circolo, quello dei 
poetae novelli, che richiamano l'esperienza di Catullo e altri scrittori del I sec. a.C., al cui rifiuto dell'impegno civile in favore di temi personali e stili leggeri Cicerone aveva affibbiato l'epiteto dispregiativo di poetae novi o con un grecismo 'neoteroi', cioè poetastri/poetucoli da strapazzo.
Di questa produzione rimangono pochissimi frammenti, qualche citazione, perlopiù testimonianze indirette di un gusto per lo sperimentalismo e la scrittura dotta, quasi come relitti lasciati dal mare sul litorale dopo un naufragio. Tra questi spicca il breve testo presentato di seguito, che Adriano scrisse quasi come un testamento culturale lasciato a se stesso, un commiato dalla vita. L'uso ripetuto di diminutivi e vezzeggiativi, di rime facili e insieme melodiose creano quasi una filastrocca sospesa tra malinconia e gioco di parole.
Il recupero delle forme classiche, a tratti anche arcaizzanti, sembra quasi rappresentare la volontà forte di riaffermare la propria identità e la propria eredità da parte di un mondo, quello greco-romano, sul cui orizzonte, nonostante la sfolgorante gloria dell'acme, si profilavano incombenti le ombre di una crisi profonda e distruttrice, quella che mostrerà le prime avvisaglie nelle invasioni barbariche di Quadi e Marcomanni sotto Marco Aurelio, il principe filosofo, e scoppierà poi nel III secolo. Nell'aurea quiete prima della tempesta, la grazia semplice e insieme raffinatissima, gioconda e insieme carica di inquietudini dei cinque versicoli di Adriano si eleva con la forza monolitica di un epitaffio.





Animula vagula blandula
Hospes comesque corporis,
Quae nunc abibis in loca
Pallidula, rigida, nudula,
Nec, ut soles, dabis iocos…


Piccola anima smarrita e soave,
compagna e ospite del corpo,
ora t’appresti a scendere in luoghi
incolori, ardui e spogli,
ove non avrai più gli svaghi consueti… 

trad. Livia Storoni Mazzolani

Publio Elio Traiano Adriano
Nato probabilmente a Italica, colonia romana in terra ispanica nel 76 d.C. da famiglia di antiche ascendenze italiche, Adriano, terzo imperatore della dinastia Ulpia-Antonina, salì al trono subito dopo Traiano,nel 117 d.C., nonostante questi non lo avesse formalmente adottato, come successe invece per gli altri membri della sua dinastia.
Dopo le conquiste del suo predecessore e prima del tramonto del 'principato illuminato', che si verificò con l'ultimo della casata, Commodo, successore di Marco Aurelio, il regno di Adriano, volto a consolidare le conquiste fatte su una linea di mantenimento, con la costruzione di strutture difensive, dal Vallum Adriani in Britannia ai fortilizi sui confini germanici, fu un ventennio di relativa pace e di splendore, in cui il pricipe intellettuale governò con decisione, attraverso una sorta di organo esecutivo come il Consilium Principis, ma pacificamente.
Statua di Antinoo
Fautore di una politica di tolleranza verso le minoranze disposte a coesistere nella magmatica koinè dell'Impero Romano, prescrisse, in un rescritto del 122 d.C. al proconsole d'Asia Minucio Fundano, di non perseguire i cristiani d'ufficio ma solo per eventuali crimini. Egli stesso, invece, di fronte alle incoercibili resistenze all'assimilazione del popolo ebraico non esitò a radere al suolo nel 135 d.C. Gerusalemme, devastando la Giudea e rinominandola come provincia di Syria-Palaestina.
Riformatore oltre che dell'esercito anche dell'apparato burocratico della complessa amministrazione imperiale, fu uomo dottissimo e di cultura raffinata. Oltre a comporre poesie in greco e latino e ad essere amico del filosofo Epitteto, sostenne un revival del classicismo ellenico nell'architettura e nelle arti, come dimostrano le innumerevoli statue dedicate al suo amante-compagno Antinoo, morto ventenne in Egitto nel 130 d.C., che volle divinizzare e ritrarre con le sembianze di Apollo ed Ermes,
Il teatro marittimo nella villa di Tivoli
e la sua residenza di Tivoli, arricchita di sontuose decorazioni in stile classico, da un ninfeo a dei sontuosi giardini. Il suo regno durò fino al 138, quando morì a Baiae dopo una lunga malattia, lasciando Roma, abbellita e ordinata nelle mani salde del figlio adottivo Antonino Pio.

Nessun commento: