[…] L’arte degli sciamani, opera delle mani di questi operatori del sacro, è quasi sempre destinata a scomparire, a essere distrutta non appena la sua funzione – qualche ora, una notte al massimo – è esaurita. […] Lo sciamano, almeno nell’ambito himalayano e centro-asiatico a me familiare, traccia immagini sul suolo e sul tamburo con materiali del tutto effimeri: polveri, o impasti di polveri, che creano, mettono in atto immagini cosmiche – di un cosmo sciamanico, beninteso, non del cosmo profano – e che vengono rapidissimamente distrutte non appena la cerimonia, la seduta, è finita.
[…] È forse questo il punto di contatto o piuttosto di ideale tangenza tra lo sciamano e l’artista che a suo modo tenta di rivivere le esperienze del suo predecessore senza imitarle piattamente, ma anzi – come è stato il caso di Joseph Beuys – di reinterpretarle con ammirevole originalità e libertà.
(Romano Mastromattei, L’effimera arte degli sciamani)
[…] Il rito sciamanico è dominato da una condizione estatica: tale condizione è di norma indotta da un’esecuzione musicale, come il battito controllato, ma vigoroso e impetuoso del tamburo. […] La produzione vocale e strumentale, così come la danza, devono essere considerate come un’attività propriamente artistica dello sciamano.
(Romano Mastromattei, Arte degli artisti e arte degli sciamani)
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