Marcella Farioli
I MISTERI ORFICI
I MISTERI ORFICI
L'orfismo si presenta come una sistemazione teologica del culto di Dioniso, che, modificato in alcune sue parti, viene inserito all'interno di una cosmogonia e di una dottrina dell'anima ben strutturate dal punto di vista filosofico; rispetto alla più diffusa religione dionisiaca viene assai sviluppata la precettistica, che impone agli adepti il rispetto di precise norme e l'osservanza di una condotta morale ben definita. A causa di queste sue peculiarità , si preferisce talvolta distinguere l'orfismo dagli altri culti misterici per inserirlo nella categoria di «religione misteriosofica», fondata cioè su un complesso sapienziale organico. […]
Mosaico pavimentale romano - Museo archeologico di Palermo
Il mito
Affrontando la questione del patrimonio mitico dell'orfismo, è necessario distinguere due nuclei principali di leggende: quelle relative a colui che è ritenuto il suo fondatore e quelle che hanno come protagonista il dio assunto come divinità principale della teologia e del culto orfico, cioè Dioniso, nella sua particolare denominazione di Dioniso Zagreo.
Il personaggio mitico a cui vengono fatte risalire le dottrine dell'orfismo è appunto Orfeo, il famoso cantore tracio che incantava gli animali e persino le piante e le rocce con la dolcezza della propria musica. […] La leggenda di Orfeo è piuttosto nota, ed è legata principalmente a due episodi, quello relativo alla discesa agli inferi alla ricerca della moglie Euridice e quello della sua morte a opera delle Baccanti. Già nelle caratteristiche della sua leggenda il mitico cantore, inventore della cetra e capace di intonare musiche incantatrici, appare legato alla tradizione dei Misteri: mentre partecipa alla spedizione degli Argonauti alla ricerca del vello d'oro, unico fra tutti a essere iniziato ai misteri di Samotracia, Orfeo rivolge suppliche agli dèi di questi misteri, i Cabiri, a nome dei compagni, che a loro volta si impegnano a sottoporsi all'iniziazione. Dopo la morte della sua sposa, morsa da un serpente, Orfeo scende nell'Ade alla sua ricerca, incantando con la sua musica i mostri e gli dèi degli Inferi: questi ultimi acconsentono allora a restituirgli Euridice, a patto che egli non si volga a
guardarla prima di essere uscito dalle dimore infernali. Orfeo tuttavia, temendo che si tratti solo di un inganno da parte di Ade e Persefone, si volta, ed Euridice viene riportata indietro tra i defunti: Caronte gli nega allora la possibilità di una seconda discesa e il cantore è costretto a tornare tra i vivi. Il secondo episodio centrale della leggenda di Orfeo è costituito dalla sua morte: egli sarebbe stato ucciso, fatto a pezzi e gettato in un fiume dalle Baccanti, forse in conseguenza della sua fedeltà alla memoria di Euridice. Secondo un'altra versione del mito la causa della sua uccisione risiederebbe in una diversa circostanza: al suo ritorno dal mondo infernale Orfeo avrebbe istituito i propri misteri - fondati appunto sulla sua esperienza dell'aldilà - e ne avrebbe proibito la partecipazione alle donne: queste ultime lo avrebbero dunque ucciso insieme agli iniziati al suo culto. […]
Gustave Moreau, La testa di Orfeo (1890)
Parigi, Musée Moreau
Anche la leggenda della crudele uccisione di Orfeo assume un forte valore simbolico nell'ambito della dottrina a lui legata: essa è infatti strettamente connessa alla vicenda mitica della morte di Dioniso Zagreo, la divinità centrale dell'orfìsmo. Come si è accennato a proposito dei misteri dionisiaci, esiste nella mitologia di questo dio una particolare leggenda, che fa di Dioniso il figlio di Zeus e di Persefone invece che della mortale Semele: lo stabilire questa particolare filiazione lega strettamente la figura del dio al mondo ctonio, in linea con la riflessione sull'aldilà che costituisce uno dei cardini centrali della dottrina orfica. Secondo questo particolare episodio del mito, i Titani, figli della terra, per incitamento di Era traggono in inganno Dioniso fanciullo e, attiratolo con vari oggetti, lo catturano, lo fanno a pezzi e lo divorano. Ma la dea Atena, dopo aver tratto in salvo il cuore del dio, lo porta a Zeus che lo inghiotte e genera da Semele un nuovo Dioniso; in conseguenza delle loro azioni empie i Titani vengono folgorati dal fulmine di Zeus e dalle loro ceneri nasce il genere umano, che contiene di conseguenza una parte positiva, costituita dal corpo di Dioniso divorato dai Titani, e una parte negativa, data dai resti dei Titani stessi. Tale mito costituisce il fulcro simbolico della disciplina orfica, il cui scopo è appunto quello di liberare l'elemento dionisiaco, che è l'anima, dal suo involucro materiale e titanico, il corpo.
Alla luce di questa leggenda appare dunque chiaro come la vicenda di Orfeo sia in molte sue parti una trasposizione del mito di Dioniso Zagreo, per lo meno per quanto riguarda la tipologia della sua sanguinaria uccisione, perpetrata proprio dalle Baccanti: anche questo elemento induce a concludere che Orfeo, ben lungi dall'essere il reale fondatore del movimento orfico «appare piuttosto figlio che padre della religione che porta il suo nome». (N. Turchi, Le religioni misteriche nel mondo antico – Ist. Editoriale Galileo, Milano 1948 – pag. 19) […]
Escatologia e morale
Poiché l'uomo è composto da una parte celeste, l'anima, di origine dionisiaca, che è immortale, ma anche da un aspetto materiale, derivato dall'elemento titanico, egli non è libero, ma vincolato dal corpo, che, come nella filosofìa pitagorica, è considerato una prigione. Scopo principale di ogni uomo sarà dunque quello di liberarsi da tale prigione, per poi trovarsi nelle condizioni migliori per raggiungere l'obiettivo finale, quello di riunirsi con la divinità e di avere una vita felice nell'aldilà ; tutto questo potrà essere ottenuto solo osservando una determinata condotta di vita.
«Dice il divino Orfeo: "L'anima degli uomini ha le sue radici nell'etere"; (...) e ancora "L'anima immortale e incorruttibile viene da Zeus"; e infine: "L'anima tra tutte le cose è immortale, e i corpi mortali"» (Vettio Valente, Antologie, IX 1).
Questa teoria dell'anima e del suo destino ultraterreno presenta molti aspetti di novità rispetto alle comuni concezioni escatologiche dei Greci. Essa sottintende infatti che ogni uomo sia in grado di ottenere la beatitudine, se lo desidera veramente, ma che tale obiettivo sia vincolato a una precisa condotta morale; negli altri culti misterici, al contrario, era soprattutto la partecipazione al rito a garantire la salvezza, e non l'agire esterno a esso: l'accesso alle cerimonie era consentito a tutti - previa purificazione — tranne che a quei pochi che si erano macchiati di gravi colpe. L'accettazione della dottrina orfica della duplicità dell'uomo e del corpo come prigione comporta invece l'assunzione di una precisa responsabilità etica da parte dell'individuo, che affida la propria salvezza non al volere di una divinità olimpica o alla saltuaria adesione a un rito misterico, ma solo a se stesso e al proprio operare quotidiano. L'impurità dell'uomo non è legata soltanto al suo vincolo corporeo; ogni persona è gravata anche di un'antica colpa, una sorta di «peccato originale» da cui solo il dio può liberarla: l'uccisione di Dioniso Zagreo.
Dioniso, I secolo d.C.
Napoli, Museo Archeologico Nazionale
Agendo rettamente l'anima via via si monda dall'elemento materiale, ma una sola vita non è sufficiente per eliminare tutte le scorie del corpo: nell'orfìsmo è presente la dottrina della trasmigrazione dell'anima, secondo la quale la parte immortale dell'uomo si incarna in numerosi corpi prima di aver portato a termine la propria purificazione. […] Una volta condotta a termine la propria purificazione e, se così si può dire, una volta «espiata» la «colpa primordiale», costituita dall'uccisione di Dioniso Zagreo, l'uomo può accostarsi con serenità alla morte, dopo la quale avrà sede tra i beati; essi dimorano nei campi fioriti, dove il defunto giunge imboccando, tra le due strade che si dipartono dall'ingresso dell'Ade, quella di destra. Qui egli dovrà bere l'acqua del fiume Lete, che dà l'oblio: l'idea della dimenticanza della vita precedente è concetto caro agli orfici, poiché crea una frattura netta tra l'oscurità del mondo e la beatitudine dell'aldilà . Il defunto dovrà fare attenzione a non imboccare la via di sinistra, che porta al Tartaro, dove vengono puniti i malvagi, delimitata da un pioppo bianco. […] Alcune fonti riferiscono inoltre che la vita nell'aldilà prospettata dagli orfici non offriva soltanto un'esistenza spirituale, slegata dalla corporeità , ma che, al contrario, agli iniziati veniva promessa un'esistenza di godimenti del tutto terreni.
Marcella Farioli, Le religioni misteriche (Xenia edizioni, pag. 51 e seg.)
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