giovedì 20 ottobre 2016

Arconti

Arconti - di Filippo Goti
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1. Introduzione
Il termine Arconte trova la sua origine nel greco arkhonontos ( magistrato, primo magistrato ). La natura della parola è indicativa del ruolo che tale figura svolge nella teogonia e cosmogonia gnostica, essi sono i giudici, i controllori di questo mondo. E' giusto ricordare che lo gnosticismo storico propone un Cosmo ontologicamente e/o fenomenologicamente separato dal mondo divino. In relazione ad una originaria caduta si genera una contrapposizione, apparente o sostanziale, fra questo mondo, dove l'uomo si trova prigioniero, e una divinità superiore e occulta. Nei sistemi gnostici di origine iranica, dove il dualismo è radicale, sussitono due Enti che si affrontano in una vera e propria lotta, attraverso i rispettivi eserciti, mentre nei sistemi gnostici di origine greca-egizia-giudaica, riscontriamo la figura di un Demiurgo ( Piccolo Creatore ) coadiuvato da potenze da lui generate: gli Arconti. La presenza del Demiurgo è caratteristica sia dei sistemi ontologicamente dualistici, sia di quelli dove tale caratteristica è solamente fenomenologica.
2. Arconti
I commenti che trattano della figura degli Arconti, tendono a rappresentare queste potenze come le creatrici del nostro mondo, e dell'uomo stesso. Tale identificazione può portare a facile confusione, se non viene ricordatoche il Cosmo non è concidente che l'Ente Supremo, e che il Dio Occulto oltre ad essere divinità è anche luogo adimensionale e atemporale preesistenze al Cosmo stesso. Dove quest'ultimo rappresenta l'effetto di una crisi accidentale occorsa nel Pleroma stesso. Quindi possiamo meglio inquadrare la funzione degli Arconti come quelle potenze, che in virtù della rimembranza per l'ordine e l'armonia del Pleroma, tendono a ricrearla attraverso la suddivisione e la regolazione dello spazio insito nel Cosmo, attraverso atti di creazione, e di applicazione delle leggi. Dove la suddivisione, la regolazione, e la creazione rispecchiano, seppur in difetto, l'antica realtà del pleroma. Essi quindi tendono a riflettere nel Cosmo accidentale, il ricordo di quello che era, e che non è più. Lasciando trasparire anch'essi una sorta di nostalgia, sublimata nell'atto creativo stesso. Un ricordo che è insito nel loro patrimonio generico, o per meglio dire nella loro medesima matrice spirituale.
3. Arconti e apocrifo di Giovanni
Così l'Apocrifo di Giovanni descrive la nascita del primo arconte: Allorchè essa vide che l'oggetto della sua volontà era di tipo diverso - aveva il tipo di un drago, la faccia di leone dagli occhi di fuoco fulminanti e fiammeggianti, lo allontanò da se...........
La Madre dell' Arconte è Sopia un Eone promanato dal Pleroma, che disubbidendo alla regole che governano il Pleroma stesso, ha generato senza congiungersi al suo naturale compagno, ma unendosi al desiderio che essa provava per l'Ente Supremo.
Da questo breve, ma significativo stralcio, posiamo enucleare tre elementi che devono essere presi in considerazione:
La contrapposizione fra l'immagine della Sopia, e la bestialità del suo frutto
La vergogna della Sofia per il suo frutto
La nascita dell'Arconte tramite atto di esclusiva volontà della Sopia
La natura animalesca del Primo Arconte, che si staglia con la pura essenza pneumatica della Sopia, Jaldabaoth, questo è il suo nome, in niente rende testimonianza alla perfezione della madre. In quanto in virtù del desiderio che lo ha generato, creato da pulsione alla separazione ma anche creante tale separazione, risulta specula negativa e mostruoso della bellezza e armonia che permaneava tutto il Pleroma. Il desiderio è corruzione di ogni pensiero, e il pensiero è la radice di ogni fare. Quindi se il desiderio è incubo del pensiero, e con esso si trova avvinghiato, ineluttabilmente l'azione posta in essere risulterà macchiata, e stravolta. Il lecito Amore che tutto arde di Sophia per il Pleroma come divinità inconoscibile, un Amore di Conoscenza, si è trasmutato in desiderio, e a sua volta in brama. L'ipostasi del pensiero di Sophia, ne è risultata stravolta nella forma e nel contenuto, seppure un seme della sua natura divina, è scivolata in essa.
La Sopia innanzi a questo suo frutto, prova vergogna. In quanto esso è testimonio della sua trasgressione, della sua violazione alle regole divine. Ne prova repulsione, paura e lo nasconde, oltre il mondo degli eoni, nell'Ombra sottostante, dando così inizio alla Creazione del Cosmo. Infatti il Cosmo viene posto in essere, in quanto lei vi ha collocato una realtà indipendente all'unicità nella natura del Pleroma. Una separazione in separando. Non fu la Lussuria la causa, ma effetto del desiderio, che a sua volta generò l'ira, che si cristallizzò in lussuria.
Proseguendo nella lettura dell'apocrifo troviamo che i figli di Jaldabaoth, sono descritti chi con forma di iena, di pecora, di asino, di drago, scimmia e fuoco. Continuando a rimarcare la loro natura perversa e malata. Essi non sono ne immagine ne somiglianza degli eoni che dimorano nei limiti estremi del Pleroma, in quanto queste potenze inferiori essendo ignoranti veicolano tale stato dell'anima, anche nella loro manifestazione. E' infatti giusto ricordare che nello gnosticismo storico la Conoscenza è veicolo e forma di redenzione, come se essa portasse ad un cambiamento intrinseco nella natura dell'essere. Cambiamento non solo animico, ma anche mentale e fisico. Ecco quindi che anche lo stato di ignoranza, intesa come assenza della conoscenza, comporta eguale, seppur inverso, processo plasmante della natura e della forma di ogni essere.
4. Funzione degli Arconti nell'Apocrifo di Giovanni
Jaldabaoth, il Primo Arconte, e i suoi figli, in virtù della sua discendenza da Sopia ha in se la capacità di creare, anche se è limitato in questa arte dalla propria ignoranza, e dalla degradazione generata dalla non discendenza diretta dall'Ente Supremo.
Jaldabaoth ordina il cosmo, i cieli, la terra, e il creato tutto, e pone sul trono dei cieli i suoi figli. Questa opera generativa viene interrotta dalla manifestazione del Metropator, accorso verso Sopia, immagine perfetta del Dio occulto, invisibile, Padre di tutto. Jaldabaoth e i suoi figli, e le potenze da essi generate sono basiti da tale potenza, e tremano dalla consapevolezza della loro limitatezza, a cospetto di cotanto splendore. Decidono quindi di catturare il Dio Padre, attraverso una sua immagine, l'immagine dell'Adam Terreste, specula dell'Adam Celeste: manifestazione del Metropator.
Ma tale creatura, relegata nel Paradiso Terreste, è incapace di alzarsi, e solamente la clemenza del vero Padre, attraverso il soffio di vita, le permetterà di ergersi. Cosa dedurne ? Un vaso d'acqua per essere tale, necessita di acqua.

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