San Giacomo di Compostela e il simbolismo del "Gioco dell'Oca"
Il Cammino di Compostela ed il simbolismo del gioco dell’oca
Il labirinto di Chartres
Il gioco della campana
Secondo una leggenda medioevale, il corpo di San Giacomo Maggiore, dopo la sua decapitazione avvenuta a Gerusalemme fu trasportato su una barca che approdò in Galizia, nella “ria di Padròn” (Iria Flavia). Per secoli la tomba dell’Apostolo fu introvabile; solo nell’818 una stella ferma nel cielo indicò agli abitanti della ria il luogo della sepoltura. Il vescovo di Iria Flavia fece scavare in quel punto e fu riportata alla luce un’arca marmorea con le spoglie del santo. Il luogo fu chiamato Campo della Stella, da cui il nome spagnolo Compostela. Sulle sacre reliquie fu costruita una cappella e, dopo la battaglia di Clavijo (840) contro i Mori, nella quale apparve su un cavallo bianco San Giacomo incitante i cristiani alla vittoria, gli fu eretta una basilica che divenne subito meta di pellegrinaggio. Il Santo fu creato patrono della Spagna e la via di accesso al suo santuario si chiamò il Cammino di Compostela o di Santiago. Col passare del tempo questa strada fu punteggiata da monasteri, ospizi ed ospedali, la cui difesa fu affidata ad ordini militari. Ma il Cammino di Compostela era una via di pellegrinaggio antichissima, percorsa fin dal periodo neolitico da moltitudini di persone in cerca di iniziazione. In epoca precristiana era denominata: “L’Arcobaleno di Lug” (il dio dei Celti che forse ha dato il nome alla città di Lugo, antica capitale della Galizia), “La via delle Stelle”, “La via delle Oche selvagge”. Ci si domanda come mai la leggenda cristiana avesse scelto fra i dodici apostoli proprio San Giacomo Maggiore per apporre il proprio marchio ad una tradizione molto più antica. Le leggende cristiane medioevali ebbero origine nei monasteri benedettini dopo la fusione dei monaci di San Benedetto con quelli irlandesi di San Colombano, gli ultimi detentori delle conoscenze dei Druidi, sopravvissute alla conquista romana. I monaci irlandesi erano dei costruttori e la loro presenza sul “Cammino di Compostela” è ancora visibile in Galizia (Lugo e Pontevedra) e in Navarra (Leyra), dove rimangono importanti esempi di architettura di ispirazione celtica. Fra le leggende delle confraternite di costruttori medioevali v’era quella che narrava di un certo Maestro Giacomo, tagliatore di pietre, nativo dei Pirenei, tanto valente nella sua arte che aiutò Hiram di Tiro nella costruzione del Tempio di Salomone, innalzando la colonna Jakin, vocabolo che in basco significa “saggio”. I costruttori di Compostela erano riuniti in una confraternita denominata “Figli del Maestro Giacomo”, i quali erano cristiani, ma continuavano a seguire le loro antiche tradizioni. Il loro simbolo era il piede palmato dell’oca, simbolo del dominio dello spirito sulla materia, che si riallacciava a quello dei popoli navigatori dell’antichità, come gli abitanti di Tartesso, i Liguri ed i Fenici, a cui era stato dato il nome di “popoli dell’Oca”. Gli Etruschi-Villanoviani avevano le prue delle loro navi sagomate a forma di testa e collo d’oca, perpetuando un’antica tradizione dei popoli da cui discendevano (si noti che una radicata tradizione vuole gli Etruschi-Tirreni discendenti degli Atlantidi). I Liguri erano gli adoratori dell’Oca sacra e trasmisero quella tradizione ai Romani (oche del Campidoglio). Risale forse a quel periodo remoto il toponimo “Bric dell’Oca”, rimasto ad una montagna presso Urbe in provincia di Savona? Quando gli antichi costruttori furono cristianizzati, il Maestro Giacomo, il saggio Jakin, divenne San Giacomo; i Jars (Oche), membri della confraternita, furono chiamati “Figli di Maestro Giacomo” ed il simbolo compagnonino dell’Oca si mutò nella conchiglia con la quale i pellegrini ornavano il loro mantello. Così, con una lieve modifica che lasciava intatto il nome era rispettata la tradizione antica lungo la via di Compostela, che in epoca pagana era detta: via delle Oche Selvagge (degli Jars liberi). La tradizione antica si conserverà non solo nel nome, di alcune vie di paesi sorti sul “Cammino” (Calle de los Cisnes Viajeros, Calle de las Ocas Salvajes), ma anche in numerosissimi toponimi. Se osserviamo una carta del cammino jacopeo, vediamo che l’Oca si presenta nella sua duplice forma linguistica: Auch, vocabolo preindoeuropeo, passato attraverso il latino Auca, poi Oca (Auche, Oja, Oca); Hamsa, vocabolo sanscrito, poi latino Anser (Ganso, Anso, Ansar, Gans, Jars). Per citare solo alcuni esempi, troviamo il paese di Ansò, sotto il passo pirenaico Somprt, da dove inizia il “Cammino” francese; Villafranca Montes de Oca, ad est di Burgos, dove i Templari possedevano un’importante precettoria, ora ridotta a fattoria; Castrojeriz, che probabilmente era in antico Castrojars, ad ovest di Burgos; nella regione del Bierzo, a sud di Astorga, il paese El Ganso; presso il valico de la Oca, il paese di Oca per dove si scende a Compostela; San Sebastiano de Oca presso la ria di Noya ed il monte Aro, verso capo Finisterre. Da millenni si effettuavano pellegrinaggi da parte dei Jars, i costruttori iniziati, che si recavano fino alle coste dell’Atlantico per decifrare i segni sacri incisi sulle rocce della Galizia. I petroglifi galiziani risalgono a tempi preistorici, alcuni riproducono i segni di un alfabeto sconosciuto che ritroviamo tracciati sulle pareti dei monasteri costruiti lungo la via di Compostela; fra questi la zampa schematizzata dell’Oca, o Tridente. Nella chiesa di Santa Maria de las Huertas a Puente la Reina (Navarra) si trova un crocefisso templare in cui il Cristo è inchiodato su una croce a forma di piede d’Oca: il segno cristiano sovrapposto al segno pagano. Un altro petroglifo galiziano è visibile sul pavimento di molte cattedrali gotiche: il Labirinto, simbolo iniziatico del cammino dell’uomo e della rinascita ad una nuova vita. Anche i costruttori cristiani, i “Figli del Maestro Giacomo”, seguirono il “Cammino” degli antichi Jars, percorrendo la via di pellegrinaggio fino al luogo dove, secondo la tradizione, sbarcarono gli antichi saggi (Noè? Gli Atlantidi?), che incisero i petroglifi, simbolo del loro sapere. I monaci si assunsero il controllo della via di Compostela con le medesime finalità dei costruttori laici: a differenza della gente comune che si metteva in viaggio per compiere un pellegrinaggio di penitenza, i “Jacques” e i monaci percorrevano il lungo itinerario con fini iniziatici di ascesi spirituale e di trasformazione interiore, gli uni fino alle rocce atlantiche, gli altri fino alla tomba del Santo. La via iniziatica precristiana delle “Oche Selvagge” è stata rapportata al Gioco dell’Oca, i cui inventori erano indubbiamente dei Jars. Esso è più di un passatempo: è un insegnamento esoterico tramandato attraverso il gioco, un rituale d’iniziazione mediante il quale si devono superare determinate prove per giungere ad uno stato di coscienza superiore. È un gioco antichissimo, sopravvissuto fino ai giorni nostri. Secondo la leggenda, fu inventato da Palamede, figlio del re dell’Eubea e nipote di Poseidone-Nettuno, per divertire i guerrieri greci che si annoiavano durante il lungo assedio di Troia. Il nome Palamede significa: uomo dalla mano palmata. Si trattava dunque di un Jars che trasmetteva le sue conoscenze all’umanità. Secondo lo studioso spagnolo Rafael Alarcòn, il disco di Phaistos potrebbe essere un antico esempio del Gioco dell’Oca, creato 2000 anni avanti Cristo. È probabile che fosse una via iniziatica a forma di spirale. In otto caselle sono rappresentati altrettanti grossi uccelli, forse si trattava di oche o forse di cicogne (nome con cui venivano indicati i Pelasgi, i popoli del mare); in altre vi appaiono barche per l’attraversamento di acque e strani edifici simili ad alveari. Si ha notizia del Gioco dell’Oca in una leggenda romana di cui Ercole è protagonista e, storicamente, nel secolo XVI. Forse la sua riscoperta avvenne in Italia, in quanto sappiamo che Francesco de’ Medici ne donò una copia a Filippo II d’Asburgo, ed il gioco affascinò la corte spagnola e presto si diffuse in tutti gli stati sociali della popolazione. Su un tavoliere è disegnato il tracciato di una via che gira a spirale, circolare o ellittica, diviso in 63 caselle numerate, di cui 13 con figure di oche, rappresentanti delle tappe vantaggiose. Lo stesso numero di tappe fu consigliato nel Medioevo ai pellegrini che si accingevano a compiere il percorso di Compostela. Altre caselle contengono figure simboliche che comportano delle penalizzazioni. Il riquadro centrale, senza numero, è il traguardo finale: il Giardino dell’Oca. Si tratta dunque di una via di Oche che, dopo il superamento di ostacoli nella marcia a spirale con giri sempre più stretti, conduce al Giardino dell’Oca, lungo di beatitudine fuori dal tempo, contemporaneamente fisico e metafisico, reale forse alle origini ma ormai soltanto spirituale, assimilabile all’Eden, all’isola di Avalon, al Giardino delle Esperidi. Le caselle favorevoli sono quelle delle Oche (Jars) e dei Dadi (Grandi Pietre. Le costruzioni megalitiche) che facilitano, le prime, il proseguimento del percorso e lo indicano e lo difendono i secondi. Gli ostacoli sono: il Ponte, l’Albero, il Pozzo, il Labirinto, il Carcere e la Morte. Ma la Morte si può sconfiggere con riti di rinascita. E di rinascita si tratta. Per l’iniziato Jars il termine del pellegrinaggio non è Compostela, luogo di morte, ma è oltre: è la costa atlantica, è il capo Finisterre (Finis Terrae, estremo limite della terra), dopo il quale si entra nel Giardino dell’Oca, dove inizia il regno dello Spirito (la comunione con gli antenati).
È impossibile stabilire un esame comparativo fra le tappe del “Cammino” di Compostela e quelle del Gioco dell’Oca che, nell’intenzione dei suoi ideatori, rappresenta una mappa non tanta fisica, quanto simbolica della strada di pellegrinaggio jacopea. Un particolare comunque è certo: sia in un percorso che nell’altro l’Oca segna una divisione, un confine tra una tappa e l’altra. Una conferma del percorso iniziatico dei Jars oltre Compostela è messo in evidenza dall’analogia riscontrata nelle ultime tappe del viaggio. Nella casella n.54 del gioco troviamo un’oca; nella casella n.58, la Morte, in quella n.59 un’altra oca. Se identifichiamo la prima oca con il paese galiziano di Oca presso il valico omonimo, la Morte con Compostela, in quanto luogo cimiteriale con la tomba di San Giacomo e l’oca seguente con S.Sebastiano de Oca presso la ria di Noya ed il monte Aro, appare chiaro che l’antico pellegrinaggio delle Oche Selvagge, cioè dei costruttori Jars, arrivava fino al capo Finisterre, la fine delle terre ma anche la finestra sull’Ignoto. Il pellegrinaggio cristiano, invece, si ferma a Compostela dove, a prescindere dall’esistenza vera o falsa del corpo di San Giacomo nella cripta del santuario, si perpetua da secoli un’antica tradizione iniziatica di ascesi spirituale, sostenuta anche dalle eccezionali energie cosmo telluriche del luogo, scoperte dal popolo “megalitico” preceltico, mirabilmente adattata dai monaci medievali alle nuove esigenze del culto cristiano e tramandata alle generazioni future. Il cammino di Compostela, rappresentato simbolicamente dal Gioco dell’Oca, è probabilmente un modo per ricongiungersi spiritualmente con un centro di origine della conoscenza, della “luce divina” (Lug è l’equivalente di “lux”) delle tradizioni. Ma quasi certamente rappresenta anche un percorso reale, seguito per millenni da un’umanità confusa e sconvolta dopo un immane cataclisma, nella fede, o speranza, che esso possa ricondurla verso tale luogo di origine, verso l’Eden perduto. Quello che è stato considerato un tridente, simbolo del regno e del potere di Poseidone, potrebbe essere invece il simbolo del piede palmato dell’Oca, uccello con il quale veniva identificata la stirpe degli Atlantidi. Ma anche dell’Ibis, uccello sacro degli Egizi e riferito a Toth quale simbolo della divina conoscenza, e della Cicogna, uccello che simboleggia i Pelasgi (i discendenti degli scampati di Atlantide?), infaticabili girovaghi che hanno percorso tutto il mondo (lungo gli itinerari delle Tule e delle Rode? Secondo l’affascinante ipotesi di Enzo Gatti), tracciando un cammino di rinascita e di civiltà nell’ardente desiderio di ritrovare, o ricostituire idealmente, l’antica patria perduta. E probabilmente questo popolo la patria perduta, o le sue ultime vestigia, l’ha alfine trovata se dobbiamo dar credito al racconto di Ercole e del Giardino delle Esperidi. Ma forse questo viaggio non si è svolto lungo il “Cammino” di Compostela, ma attraverso un itinerario ben più lungo e penoso. Tali popoli migranti hanno edificato lungo il loro cammino città e fortezze, magazzini e mercati per la sussistenza e per gli scambi commerciali e centri di rifocillamento e riparazione dei mezzi di trasporto dove l’antico tridente di Poseidone, o piede d’uccello migratore, si è trasformato in un simbolo fallico, come presso l’acropoli di Alatri. Nelle località più importanti hanno eretto altari propiziatori alle divinità secondo schemi cosmici (stellari) al fine di placare la loro ira ed ottenerne i favori per coronare l’impresa. Questa altari ed i monumenti alle divinità (megaliti o tumuli), avevano anche lo scopo di indicare la via a coloro che li avrebbero seguiti, come le stelle in cielo indicano la rotta ai viaggiatori e ai naviganti. Ermete, il Toth degli Egiziani, divinità e simbolo dei percorsi spirituali, divenne anche la divinità degli itinerari stradali (e del commercio e dei traffici che automaticamente s’accompagnano alle strade e ai viandanti) per cui, ad ogni biforcazione, in suo onore veniva eretto un cumulo di pietre al cui ingrandimento provvedeva, con il proprio contributo, ciascun viaggiatore. Questi tumuli in alcuni casi finirono per diventare vere e proprie colline o monticelli e, successivamente, piramidi e ziggurath, simboli e monumenti depositari dell’antica sapienza. Nelle zone montane o collinari gli altari furono edificati direttamente sulle cime e furono accesi fuochi perpetui, affidati a sacerdoti, per indicare anche di notte il cammino ai pellegrini e per riprodurre sulla superficie terrestre la copia della volta celeste (Compostela significa campo, territorio stellato, e la leggenda medioevale che ne interpreta il nome in chiave cristiana, adombra certamente una tradizione molto più antica e complessa). In tal modo anche di notte gli dèi avrebbero veduto quei punti luminosi e, riconoscendo in essi un’immagine celeste, che era anche una preghiera, avrebbero risparmiato la Terra da altre catastrofi, rendendola stabile ed immutabile come il Cielo che è la loro dimora. Questo continuo peregrinare, questa incessante ricerca per alcuni fini. Per altri, invece, si trasformò in un credo religioso ed una filosofia di vita: fin quando la ricerca non si concludeva e non si ritrovava il “paradiso perduto”, il ciclo non si completava e non c’era rischio di un’altra “fine”, di un’altra catastrofe. Da queste convinzioni, successivamente, hanno avuto origine i viaggi mitologici e le leggendarie ricerche: dai frutti d’oro del Giardino delle Esperidi, al Vello d’oro degli Argonauti, al Santo Graal, all’Eldorado. L’uomo che cerca, che si assoggetta a viaggi lunghi e pericolosi in terre sconosciute e che si batte contro mille ostacoli e li supera, è l’Eroe o il Cavaliere “senza paura e senza macchia”, pervaso da una fede incrollabile nella forza che gli deriva dalla divinità, nel suo coraggio e nello scopo trascendente della sua missione. Successivamente all’Eroe si sostituirà il Santo Missionario, colui che deciderà tutto se stesso e la propria vita al fine che si è proposto. Nel Gioco dell’Oca, quello che oggi è inteso come tale, un gioco appunto, ma che anticamente aveva tutt’altro significato e tutt’altra funzione (forse divinatoria), vi sono delle caselle favorevoli ed altre sfortunate, pericolose. Nell’antica Roma tale gioco, che si svolgeva come oggi per mezzo dei dadi, riconoscendo in quest’ultimi il manifestarsi del volere del destino o della divinità come si evince dal famoso detto di Cesare “Il dado è tratto”, a significare che l’uomo non può mutare quanto il fato ha già stabilito, era proibito; tranne che durante le Saturnalia, quando il ciclo annuale si concludeva e l’ordine del nuovo anno veniva espresso dalla divinità tramite questo mezzo di divinazione collettiva e individuale. Le caselle favorevoli, che aiutano e facilitano il viaggio e la ricerca, sono quelle con le Oche (gli Atlantidi o i loro discendenti e, successivamente, i Templari, i nuovi iniziati alle arcane conoscenze e agli antichi “misteri”) perché possono fornire aiuto, guida e sostegno, e quelli con i Dadi (le grandi pietre sagomate) che rappresentano i luoghi dove vivono gli Atlantidi (o i loro discendenti spirituali) e sono i lori segni indicatori. Le caselle sfavorevoli sono Ponti (gli attraversamenti), gli Alberghi (luoghi sicuri e confortevoli dove la determinazione può venire meno e che è sempre penoso lasciare), i Pozzi (gli abissi), il Labirinto (il percorso sconosciuto dove è facile smarrirsi o perdere la memoria dello scopo della propria missione), il Carcere (il luogo che trattiene contro la propria volontà) e la Morte (che interrompe per sempre il viaggio). I Labirinti, con il tempo, da ostacoli e impedimenti diventeranno delle prove da superare se si vuole raggiungere la meta e dei simboli di rinascita o rigenerazione spirituale, ma anche simbolo del viaggio stesso, del pellegrinaggio. Il girovagare, il viaggiare continuo, il cercare senza tregua, finirà per essere assimilato al movimento degli astri e del sole in particolare o darà luogo al culto solare. Sui loro itinerari i discendenti degli atlantidi edificheranno torri e fortezze accanto alle quali fonderanno le loro Tube e le loro Rode, fino a quell’ipotetica “Ultima Tule” che rappresenta la fine del viaggio e fino a ritrovare Rute, l’isola degli antenati. Questo continuo viaggiare, ormai assimilato nel macrocosmo al movimento del sole e degli astri, sarà simboleggiato dalle danze rituali, ed i vorticosi girotondi ed il ruotare su se stessi indurranno nei danzatori una esaltazione ed una trance che affinerà le qualità psichiche e permetterà loro di fare incredibili viaggi spirituali e porsi in comunicazione con gli antenati. Come ad esempio fanno i Dervisci e gli Sciamani. Per questo la musica, che inizialmente era soltanto ritmo per sostenere la danza, e la danza stessa, sono ritenuti doni divini in quanto spalancano all’uomo orizzonti immensi e pongono la psiche umana in diretta comunicazione con il trascendente. Ma non sono solo le danze iniziatiche ed estatiche a provenire da questa ricerca delle origini e dal cammino che è necessario compiere, anche il modo di camminare deve essere ritmato e simbolico nei percorsi rituali. Nelle grandi processioni, si pensi ad esempio a quelle veramente imponenti del periodo megalitico, lungo gli allineamenti di Carnac, ma anche a quelle babilonesi, egiziane, romane, della Cina, o del nuovo mondo, i portatori dei simboli sacri devono scandire il passo in modo lento e solenne, in armonia con il cosmo e con i suoi ritmi. Così è nato anche il “passo dell’Oca”.
Il Cammino di Compostela ed il simbolismo del gioco dell