lunedì 17 giugno 2013

LA MAGIA DI STONEHENGE È NELLA SUA MUSICA SEGRETA

Cinzia Di Cianni LA MAGIA DI STONEHENGE È NELLA SUA MUSICA SEGRETA
Alla scoperta della dimensione sonora. Nella preistoria e nell’antichità prevaleva su quella visiva, ma oggi l’abbiamo perduta. Ogni parola sussurrata nel centro dell’arena produce nove echi distinti. Alcune frequenze favoriscono la trance tipica dei riti arcaici.
In un'alba nebbiosa del maggio 2009 due uomini si aggiravano tra i megaliti di Stonehenge, facendo scoppiare dei palloncini e registrando i suoni con un microfono al centro del cerchio. Non erano seguaci di culti pagani, ma ingegneri acustici: Bruno Fazenda dell'Università di Salford e Rupert Till dell'Università di Huddersfield. Lo scopo era misurare la «risposta all'impulso», una sorta di impronta acustica del sito. L'accurata levigatura e curvatura delle superfici interne dei blocchi suggerisce che, probabilmente, gli antichi costruttori sapevano come ottenere effetti molto suggestivi. Poiché in quattromila anni Stonehenge ha subito varie manomissioni e molti megaliti sono stati rimossi o giacciono a terra, i ricercatori inglesi sono andati anche a Maryhill, nello Stato di Washington, dove un cimitero militare ospita una versione in cemento di quella che doveva essere la struttura originaria dei sito inglese. I dati sembrano confermare che nel «magico» cerchio ogni parola poteva essere udita distintamente da ogni punto periferico. «Ovviamente a Maryhill è in gioco una maggiore energia acustica, perché lo spazio è chiuso da più superfici e quindi ne “scappa” fuori una minore quantità - commenta Renato Spagnolo dell'Istituto Nazionale di Ricerca Metrologica di Torino -. Per la stessa ragione il tempo di riverberazione medio risulta più lungo, circa 1,1 secondi, vale a dire quello che caratterizza una sala conferenze ben progettata, mentre sarebbe troppo breve per una buona resa musicale». La ricerca, presentata da Trevor Cox, che insegna ingegneria acustica a Salford, ha dato visibilità all'archeoacustica, una disciplina che sta conquistando autorevolezza un po’ alla volta. Studiosi «di frontiera», come Paul Devereux, David Lubman o il musicologo italiano Walter Maioli, si occupano da tempo della dimensione sonora del mondo antico. E le scoperte si susseguono, partendo da una considerazione che non è affatto ovvia: solo da pochi secoli la visione ha preso il sopravvento sugli altri sensi, mentre in passato l'udito era fondamentale, in un mondo più silenzioso e pericoloso di quello attuale. Ogni rumore poteva celare una minaccia. Ma gli stessi suoni della natura, oltre che la parola, il canto e la musica avevano anche significati sacri o magici, perché si riteneva che permettessero una comunicazione con la sfera divina e con i regni dei morti. I ricercatori dell’archeoacustica sostengono quindi che grotte affrescate, ipogei, edifici e luoghi sacri venissero realizzati ponendo grande attenzione agli effetti sonori o «aurali». Al momento gli studi più approfonditi sono quelli condotti sugli anfiteatri greci e romani: gli ingegneri conoscevano bene i principi fisici e nel tempo riuscirono a migliorare il rendimento acustico, utilizzando materiali compatti, aumentando l'altezza del palcoscenico, modificando l'angolazione e la disposizione delle gradinate e distribuendo tra queste vasi di bronzo con funzione di risonatori. Ma le analisi più impressionanti, forse, restano quelle del gruppo «Princeton Engineering Anomalies Research», diretto dal fisico Robert Jahn: negli Anni 90 ha condotto vari test in siti megalitici risalenti a 5 mila anni fa, come Wayland's Smithy e Cairn Euny nel Regno Unito o Newgrange e Cairns in Irlanda: gli ambienti, sebbene di struttura diversa, mostrano una buona risonanza a una frequenza media di 110-112 Hz, frequenza che è presente nella gamma vocale umana, soprattutto nei toni gravi dei baritoni. Basandosi su queste e altre ricerche, lo psichiatra Ian A. Cook dell' Università di California a Los Angeles ha condotto uno studio su 30 volontari e ha dimostrato che i suoni di frequenza 110 Hz modificano l'attività cerebrale, «silenziando» la regione temporale sinistra e causando «asimmetrie operative» nella corteccia prefrontale, dovute a una predominanza dell'emisfero destro. Il risultato è che i centri del linguaggio vengono depotenziati, mentre sono favoriti i processi emozionali. E' probabile, quindi, che in molte strutture cerimoniali la salmodia o il canto risuonassero con un'eco profonda, che induceva lo stato di trance e favoriva il passaggio a dimensioni «altre». L'Articolo completo: Arianna Editrice Fonte originaria: http://www3.lastampa.it/fileadmin/me...enze/PDF/5.pdf - 26/01/2011

Nessun commento: