Continuo il discorso sull’“estasi” mistica iniziato qui:
----------------------------
Il seguente passo di Giovanni Reale dimostra chiaramente come:
- La rimozione dell’Io non sia una prerogativa della Mistica cristiana, ma come essa fosse già presente nella concezione di Plotino.
- Tale rimozione non sia un impoverimento, bensì un arricchimento, giacché si passa dall’identificazione con un prodotto dell’immaginazione [l'"Io"] a quella con la realtà vera, ossia con l’Uno-Assoluto, avendo trasceso ogni alterità.
- L’estasi mistica non sia uno stato di incoscienza irrazionale, ma esattamente il contrario: uno stato di iper-coscienza iper-razionale.
Della dialettica come via all’Assoluto abbiamo già detto […] come essa si distingua in tre momenti: un primo che consiste nel passaggio dal corporeo all’incorporeo, un secondo che consiste nel procedere di grado in grado nella sfera dell’incorporeo, e un terzo che consiste nel termine del processo, ossia nel raggiungimento totale e perfetto del fine ultimo, che, per Plotino, è l’unione estatica dell’anima con l’Assoluto […]. Le vie del ritorno all’Uno […] sono, sostanzialmente, un ripercorrere a ritroso la metafisica «processione» dall’Uno. E poiché le successive ipostasi derivano dall’Uno per una sorta di «differenziazione» e di alterità ontologica, alle quali s’aggiungono, nell’uomo, alterità anche morali, è evidente che il ricongiungimento all’Uno dovrà consistere appunto nel toglimento di ogni differenziazione e alterità, ossia in una sorta di «semplificazione» […]. Spogliarsi di ogni alterità significa, per l’uomo, sostanzialmente, rientrare in se medesimo, nella propria anima. Significa, quindi, distaccarsi dal corporeo e dal corpo e da tutto quanto ad esso inerisce. Significa, inoltre, distaccarsi dalla stessa parte affettiva dell’anima e di tutto ciò che è ad essa connesso. Significa, insomma, purificare l’anima da tutto ciò che le è estraneo […]. L’anima deve, inoltre, spogliarsi anche della parola, del discorso e della ragione discorsiva, di tutto ciò che fa da impaccio o in qualsivoglia modo la divide dall’Uno, perfino della conoscenza riflessa del proprio essere […]. La frase che riassume, nella maniera più icastica, il processo di purificazione totale dell’anima che vuole unirsi all’Uno, così suona: «Spògliati di tutto» [Enneadi, VI, 9, 7]. È questa, senza dubbio, la concezione più radicale che si riscontra nella storia del pensiero antico […]. Si obietterà che, per questa via, Plotino giunge ad azzerare non soltanto il mondo esterno, ma altresì l’io, e quindi ad annullare l’uomo stesso, e che, di conseguenza, la sua felicità finisce per essere la felicità del perdersi nel nulla. Ma, in verità, per Plotino è vero esattamente l’opposto. Lo spogliarsi di tutte le cose significa niente affatto impoverire o addirittura annullare se stesso, ma significa, al contrario, accrescere se stesso riempiendosi di Dio, e, quindi, del Tutto, ossia dell’infinito […]. Lo spogliarsi di tutto significa il far ritorno dell’anima a se stessa, il trovare quell’aggancio metafisico che la unisce non solo all’Essere e allo Spirito (ossia alla seconda ipostasi), ma all’Uno stesso (ossia alla prima ipostasi) […]. Lungi, dunque, dal portare a perdersi nel nulla, lo spogliarsi di tutte le cose porta l’anima non solo alla pienezza dell’Essere, ma all’Uno che è al di sopra dell’Essere, alla tangenza con l’Assoluto […]. Questa tangenza con l’Uno è denominata […] «estasi». Orbene, in base a quanto abbiamo detto, è evidente che l’estasi non può essere una forma di scienza né di conoscenza razionale o intellettuale. È, invece, un contemplare che implica uno stretto contatto (senza riflessa distinzione di soggetto-oggetto) con il contemplato, una con-presenza, una unione, una unificazione totale con esso, come s’è detto. Anche a questo riguardo non pochi interpreti sono caduti in errore e hanno confuso l’estasi con uno stato di incoscienza o con alcunché di irrazionale o iporazionale. In verità, l’estasi plotiniana non è uno stato di incoscienza, bensì uno stato di iper-coscienza; non è qualcosa di irrazionale o iporazionale, bensì iper-razionale. Nell’estasi, l’anima vede sé indiata, per così dire, vede sé riempita dell’Uno, e, nella misura del possibile, pienamente assimilata a Lui (Giovanni Reale; Storia della filosofia antica, Vol. IV, pp. 596-603).
----------------------------
Riporto anche un passo di Giorgio Colli al riguardo:
Il termine «estasi» compare in Grecia nel quarto secolo a.C. e significa «anomalia» fisiologica, in quanto allontanamento, distacco dalle regole naturali […]. Più tardi, nella letteratura neoplatonica, l’uso di «estasi» è ancora ambiguo, e il termine indica un movimento verso l’esterno, o addirittura una frammentazione. Solo eccezionalmente in Plotino designa il culmine della conoscenza mistica, e neppure qui come stato, quiete, bensì come uscita da sé, abbandono di sé, accanto all’espressione «brama di contatto». Ciò cui accenna Plotino è «al di là dell’essere», e senza essere non c’è oggetto, cosicché l’allusione riguarda il compimento di uno slancio. Il vaso di zinco, dalla cui visione sorse l’estasi di Jacob Böhme, allude a una deviazione analoga, e decisiva, verso l’esterno, a un abbandono totalmente riuscito - all’improvviso, per una miracolosa frammentazione - della propria individualità […]. Qualcosa fuori di noi ci libera da noi stessi (Giorgio Colli; Dopo Nietzsche, pp. 61-62).
Nessun commento:
Posta un commento