venerdì 31 gennaio 2025

SPOGLIATI DI TUTTO [PLOTINO], con appunto di Giorgio Colli


Continuo il discorso sull’“estasi” mistica iniziato qui:
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Il seguente passo di Giovanni Reale dimostra chiaramente come:
  1. La rimozione dell’Io non sia una prerogativa della Mistica cristiana, ma come essa fosse già presente nella concezione di Plotino.
  2. Tale rimozione non sia un impoverimento, bensì un arricchimento, giacché si passa dall’identificazione con un prodotto dell’immaginazione [l'"Io"] a quella con la realtà vera, ossia con l’Uno-Assoluto, avendo trasceso ogni alterità.
  3. L’estasi mistica non sia uno stato di incoscienza irrazionale, ma esattamente il contrario: uno stato di iper-coscienza iper-razionale.
Della dialettica come via all’Assoluto abbiamo già detto […] come essa si distingua in tre momenti: un primo che consiste nel passaggio dal corporeo all’incorporeo, un secondo che consiste nel procedere di grado in grado nella sfera dell’incorporeo, e un terzo che consiste nel termine del processo, ossia nel raggiungimento totale e perfetto del fine ultimo, che, per Plotino, è l’unione estatica dell’anima con l’Assoluto […]. Le vie del ritorno all’Uno […] sono, sostanzialmente, un ripercorrere a ritroso la metafisica «processione» dall’Uno. E poiché le successive ipostasi derivano dall’Uno per una sorta di «differenziazione» e di alterità ontologica, alle quali s’aggiungono, nell’uomo, alterità anche morali, è evidente che il ricongiungimento all’Uno dovrà consistere appunto nel toglimento di ogni differenziazione e alterità, ossia in una sorta di «semplificazione» […]. Spogliarsi di ogni alterità significa, per l’uomo, sostanzialmente, rientrare in se medesimo, nella propria anima. Significa, quindi, distaccarsi dal corporeo e dal corpo e da tutto quanto ad esso inerisce. Significa, inoltre, distaccarsi dalla stessa parte affettiva dell’anima e di tutto ciò che è ad essa connesso. Significa, insomma, purificare l’anima da tutto ciò che le è estraneo […]. L’anima deve, inoltre, spogliarsi anche della parola, del discorso e della ragione discorsiva, di tutto ciò che fa da impaccio o in qualsivoglia modo la divide dall’Uno, perfino della conoscenza riflessa del proprio essere […]. La frase che riassume, nella maniera più icastica, il processo di purificazione totale dell’anima che vuole unirsi all’Uno, così suona: «Spògliati di tutto» [Enneadi, VI, 9, 7]. È questa, senza dubbio, la concezione più radicale che si riscontra nella storia del pensiero antico […]. Si obietterà che, per questa via, Plotino giunge ad azzerare non soltanto il mondo esterno, ma altresì l’io, e quindi ad annullare l’uomo stesso, e che, di conseguenza, la sua felicità finisce per essere la felicità del perdersi nel nulla. Ma, in verità, per Plotino è vero esattamente l’opposto. Lo spogliarsi di tutte le cose significa niente affatto impoverire o addirittura annullare se stesso, ma significa, al contrario, accrescere se stesso riempiendosi di Dio, e, quindi, del Tutto, ossia dell’infinito […]. Lo spogliarsi di tutto significa il far ritorno dell’anima a se stessa, il trovare quell’aggancio metafisico che la unisce non solo all’Essere e allo Spirito (ossia alla seconda ipostasi), ma all’Uno stesso (ossia alla prima ipostasi) […]. Lungi, dunque, dal portare a perdersi nel nulla, lo spogliarsi di tutte le cose porta l’anima non solo alla pienezza dell’Essere, ma all’Uno che è al di sopra dell’Essere, alla tangenza con l’Assoluto […]. Questa tangenza con l’Uno è denominata […] «estasi». Orbene, in base a quanto abbiamo detto, è evidente che l’estasi non può essere una forma di scienza né di conoscenza razionale o intellettuale. È, invece, un contemplare che implica uno stretto contatto (senza riflessa distinzione di soggetto-oggetto) con il contemplato, una con-presenza, una unione, una unificazione totale con esso, come s’è detto. Anche a questo riguardo non pochi interpreti sono caduti in errore e hanno confuso l’estasi con uno stato di incoscienza o con alcunché di irrazionale o iporazionale. In verità, l’estasi plotiniana non è uno stato di incoscienza, bensì uno stato di iper-coscienza; non è qualcosa di irrazionale o iporazionale, bensì iper-razionale. Nell’estasi, l’anima vede sé indiata, per così dire, vede sé riempita dell’Uno, e, nella misura del possibile, pienamente assimilata a Lui (Giovanni Reale; Storia della filosofia antica, Vol. IV, pp. 596-603).
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Riporto anche un passo di Giorgio Colli al riguardo:
Il termine «estasi» compare in Grecia nel quarto secolo a.C. e significa «anomalia» fisiologica, in quanto allontanamento, distacco dalle regole naturali […]. Più tardi, nella letteratura neoplatonica, l’uso di «estasi» è ancora ambiguo, e il termine indica un movimento verso l’esterno, o addirittura una frammentazione. Solo eccezionalmente in Plotino designa il culmine della conoscenza mistica, e neppure qui come stato, quiete, bensì come uscita da sé, abbandono di sé, accanto all’espressione «brama di contatto». Ciò cui accenna Plotino è «al di là dell’essere», e senza essere non c’è oggetto, cosicché l’allusione riguarda il compimento di uno slancio. Il vaso di zinco, dalla cui visione sorse l’estasi di Jacob Böhme, allude a una deviazione analoga, e decisiva, verso l’esterno, a un abbandono totalmente riuscito - all’improvviso, per una miracolosa frammentazione - della propria individualità […]. Qualcosa fuori di noi ci libera da noi stessi (Giorgio Colli; Dopo Nietzsche, pp. 61-62).



 

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