L’altare nell’immagine testimonia la versatilità del pensiero religioso Romano, dove i fedeli emigrati da Palmira trovano spazio a sufficienza per cultuare le loro divinità. Sappiamo che Roma è sempre rimasta fedele ai propri Dèi, difatti molte divinità orientali trapiantate nella città furono spesso identificate con Iuppiter Optime Maximus.
Malakabêl, dio proveniente dalla Siria, nume tutelare della città di Palmira fu accolto calorosamente a Roma, come testimonia il ritrovamento nel XV secolo d.C. presso gli Orti Mattei, in pieno centro dell’attuale Trastevere, di un altare dedicato a Malakabêl e agli Dèi di Palmira. Sintomo questo, del fatto che chiunque venisse da fuori l’Urbs, poteva tranquillamente onorare le proprie radici religiose, affiancandole all’imprescindibile Mos Maiorum di Roma. Malakabêl è un dio solare, spesso affiancato al Sol Santctissimus. L’etimologia del nome del dio lo riconduce a Bêl, dio supremo e tutelare della città di Palmira “Malakabêl, messaggero di Bêl”. Il culto potrebbe aver “ispirato”, o almeno potrebbe aver echi del futuro culto del dio Sol istituito dagli imperatori Nerone, Elagabalo e Aureliano.
L’immagine dell’altare che vedete è la testimonianza della pacifica tolleranza religiosa dei Romani: si tratta di un’edicola dedicatoria, anch’essa proveniente dagli Orti Mattei, datata 236 d.C., dove a destra vediamo il dio Aglibôl rappresentato in abbigliamento militare, con corazza clamide e lancia sulla spalla, a sinistra Malakabêl che indossa un costume civile formato da pantaloni, tunica e sopravveste, in tipico stile Palmireniano. A simboleggiare la pacifica coesistenza religiosa tra Romani e Palmireni, le due divinità si stringono reciprocamente la mano destra in segno di alleanza, come se i fedeli di Palmira vedessero nel dio Aglibôl l’accogliente soldato romano e loro stessi nel rispettato e accettato Malakabêl.
Alcune parti del testo sono tratte da “Roma, la città degli Dèi”, Carocci editore - Aulamagna.
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