mercoledì 24 luglio 2013

Alle radici del cristianesimo

Forse i Mandei sono la matrice del cristianesimo gnostico, sicuramente le radici da combattere da parte della chiesa di Roma perché legate a Giovanni Battista e a Simon Mago! Comunità mande sono ancora esistenti in Iraq e in Iran e parlano un dialetto aramaico, quella stessa lingua parlata da Gesù.

Di Mike Plato

Nell’Iraq martoriato da tirannide e conflitti ancor oggi sopravvive un popolo, i mandei, il cui culto è affine a quello dei nostri grandi antenati ancestrali.  Chi erano e quale religione seguivano?

“Il mandeismo è l’unica setta atlantidea ancora esistente al mondo… Il mandeismo è un residuo atlantideo”. Questo è il pensiero di Mario Pincherle nel suo ultimo saggio intitolato “Mandei, Atlantidei tra Noi”. Dimostrerò che quello tra Atlantide, qualunque cosa sia, e i mandei è piuttosto un legame indiretto e a tutt’oggi non esiste alcuna presunta setta, ordine sacro o fratellanza iniziatica che si possa considerare eredità diretta del sapere atlantideo. Per chi è profondo conoscitore dell’ermetismo e accompagna la conoscenza a una sufficiente intuizione, è noto che oggi non esiste più il “Tempio” esteriore, né più una comunità le cui aspirazioni spirituali si leghino alla Tradizione Primordiale. Esiste piuttosto un popolo animico, trasversale e diffuso sulla terra, i cui elementi da sempre seguono i dettami del tempio interiore, ovvero il Regno di Dio dentro di loro, e che attende il ritorno della Grande Madre Universale, intesa come Coscienza Collettiva e mente unica di un unico Corpus
Mandean.jpg
Erano naziriti?
I mandei sono ciò che resta del ramo dositeo (fondatore di una setta gnostica N.d.R.) degli antichi naziriti. Essi ritengono comunque che la loro origine sia da cercare nella Palestina pre-cristiana. I testi mandei affermano che la fratellanza fiorì nell’impero partico (250 a.C – 191 d.C.). I primi rapporti sui mandei furono portati in Europa dai monaci portoghesi, che si riferirono ad essi come ai Discepoli di Giovanni Battista (Mendayye Yaya). Da quel momento in poi ci si riferì nei testi della Chiesa come ai Cristiani di San Giovanni, definizione impropria secondo il credo mandeo che non contempla il ruolo messianico di Gesù, e peraltro ritiene di essere pre-esistente alla cristianità e persino al Battista, ritenuto non il fondatore, ma il più grande dei Maestri della loro famiglia spirituale. Si riferiscono tuttora a loro stessi non solo come mandei, che significa “gnostici” in aramaico, ma anche come “nasurai” o “nazareni”. L’altro termine che li identifica, “subba”, è una forma colloquiale che si riferisce al loro culto precipuo: l’immersione battesimale. Nella letteratura araba essi appaiono come “sabei” o “Al Sabiun”, magi di Harran, il cui culto stellare dovette influenzare sia Abramo (Genesi 12:4) che Giacobbe (Genesi 28:10). Gli autori arabi hanno talvolta confuso i mandei con i magi, e non senza ragione data la similarità del culto. I mandei, attualmente, vivono sulle rive dell’Eufrate e del Tigri nel sud dell’Iraq e nelle regioni paludose dell’Iran, ma gli ultimi conflitti in quell’area, accompagnati dalla pulizia etnica promossa dal regime di iracheno di Saddham Hussein ne hanno provocato una quasi totale cancellazione.

Gesù l’Impostore, Giovanni uomo-simbolo

I mandei chiamano i cristiani “Kristijane”. In altro numero di HERA abbiamo spiegato l’iter attraverso cui i naziriti si siano trasformati in cristiani, ma, secondo i mandei, deve essere operata un’opportuna distinzione fra le due correnti. Tale distinzione può essere tracciata già a partire dal 275 d.C. L’iscrizione Karter, scoperta a Naqsh-i-Rustam, allude al popolo dei nasurai e lo distingue nettamente dal popolo cristiano. Per molti esegeti, questa distinzione risale alla spaccatura tra i seguaci di Giovanni e quelli di Gesù. Quelli di Giovanni rimasero nasurai, mentre quelli di Gesù si dettero l’appellativo di cristiani. Noi crediamo che la storia dei Vangeli sia interpretabile non alla lettera e, pur ammettendo una rigorosa distinzione fra i due, un passo del Vangelo di Giovanni (1:35-39) potrebbe gettare nuova luce sulla scelta dei suoi seguaci di seguire Gesù che lo stesso Giovanni consacra come superiore a Lui medesimo: “Il giorno dopo Giovanni era ancora là con due dei suoi discepoli e fissando lo sguardo su Gesù che passava, disse: “Ecco l’Agnello di Dio!”. E i due discepoli, sentendolo parlare così, seguirono Gesù”. Secondo i Vangeli, Giovanni ammette la superiorità di Gesù, a tal punto da consentire a due suoi discepoli, di cui uno è Andrea e l’altro è innominato, di seguire colui che battezza col fuoco e che porta la spada della guerra interiore. Il contrasto tra la tradizione mandea e quella cristiana nasce dal fatto che i mandei non accettano né i Vangeli né la figura messianica di Gesù, considerato un impostore romano. I loro testi non parlano affatto del celebre battesimo operato da Giovanni su Gesù. Ufficialmente per i mandei il Maestro per eccellenza, anche se non fu il fondatore della fratellanza, è Yaya-Giovanni, da cui la dizione “Mendaye Yaya” (seguaci di Giovanni). Paolo incontra questi fedeli di Giovanni a Efeso, ma scopre che essi non avevano neanche sentito parlare dello Spirito Santo e chiese loro: “Quale battesimo avete ricevuto?”. “Il battesimo di Giovanni” risposero. Questi erano probabili mandei. Secondo le credenze mandee, anche Gesù era un nazira, ma egli fu un ribelle, un eretico che tradì la dottrina segreta cabalistica e portò una religione fin troppo semplice: accuse del tutto infondate per chi conosce anche una piccola porzione dell’insegnamento esoterico e multi-dimensionale del Cristo, solo accennato in quella perla gnostica che ha nome Pistis Sophia. Nei resoconti mandei, i riferimenti al Cristo, noto come Yeshu Mshiha, sono sempre polemici e per la maggior parte si riferiscono alla pratiche religiose della cristianità bizantina, che suscitano orrore nei mandei, come il celibato per i sacerdoti. I mandei non accettano Gesù come messia, né tanto meno come profeta. Nell’Haran Gawaitha (IX sec. d.C.) è detto di Gesù da parte di Giovanni: “Pervertì le parole della luce e le cambiò in tenebre. Convertì quelli che erano i miei discepoli e pervertì tutti i culti tradizionali (bidatha)… Egli e suo fratello si stabilirono sul Monte Sinai e portarono a loro tutte le nazioni che divennero cristiane”. Sono parole molto diverse dagli stessi toni del Battista citati nel Vangelo di Giovanni e non solo. Appare chiaro che essi ritenessero Giovanni come vero Messia e non Gesù, il che sotto l’aspetto carnale è vero come mostrato da Giovanni 1:6: “E venne un uomo mandato (messia) da Dio, il suo nome era Giovanni (e non Gesù)”. Ma i mandei, allo stesso modo di molte fratellanze gnostiche, conoscevano solo una porzione della Verità. Non sapevano che Gesù fosse il nome cabalistico di Giovanni e che i due fossero uno, ossia che Giovanni divenne Gesù e di poi il Cristo, poiché come dice misteriosamente Giobbe: “Dio fa questo due volte, tre volte con l’uomo” (Giobbe 33:29) per la sua rinascita come uomo nuovo. Nei culti, tanto Giovanni che Gesù non sono menzionati, e sono false quelle documentazioni per cui il nome di Giovanni sia rigorosamente pronunciato durante il lavacro battesimale. In nessun rito il nome del patrono dei mandei è invocato o pronunciato. V’è un’eccezione nel Dukhrana, laddove viene letta e onorata la lista degli spiriti della luce, dei santi e dei giusti mandei morti fin dai tempi antichi. Ivi, il nome di Giovanni viene pronunciato, ma senza onori particolari, il che confermerebbe che dietro la figura di Yaya non vi sia strettamente Giovanni Battista, ma ben altro Giovanni. I mandei hanno sempre ritenuto che il Battista fosse un grande maestro che aveva perfezionato il rito battesimale nelle sue funzioni di sacerdote, e che fosse un nazirita, quindi, un asceta e mago bianco che faceva della purezza dell’anima e del corpo il suo credo. Nei manoscritti e nelle leggende mandee, il termine nazirita è generalmente utilizzato proprio nel senso di esperto in materie religiose e di magia bianca, mentre i cristiani sono usualmente chiamati “mshihia”, ossia semplici “seguaci del messia” o “kristianaia”. Di Giovanni è scritto nell’Harran Gawaitha: “Quando ebbe compiuto il settimo anno di età, Anush Uthra venne e scrisse l’ABC per lui finché, quando ebbe 22 anni, non apprese tutta l’arte sacerdotale dei naziriti”. Ma allora ci si chiede, se Giovanni, al di là della sua criticità, non è stato il fondatore del culto, perché i mandei si definiscono “seguaci di Giovanni”? La risposta è che all’origine del culto mandeo Yaya non fosse Giovanni Battista, ma l’Oannes (Yoannes) archetipale, l’Uomo-Pesce o Uomo-Dio, colui che si immerge nelle proprie acque per emergerne totalmente trasmutato e capace di dominare le acque stesse, la sfera emozionale e istintuale: in una parola, dominare l’anima carnale per ridestare l’anima intellettiva e metatronica (dal nome di Metataron N.d.R.). Il vero Yaya è il Melchisedeq della tradizione ebraico-fenicia-cananea, il Prete Gianni delle leggende medievali. Giovanni Battista non era altri che un’espressione umana dell’Oannes archetipico, colui che era destinato a manifestare il Cristo-Pesce attraverso la trasmutazione in Gesù: il Grande di Guerra

Chi è Yaya?
_40817084_priest203.jpgIl Re del Mondo è piuttosto venerato dai mandei con altro nome: Kibil Ziwa. I mandei sono convinti che esista un mondo sottile, intermedio tra il nostro e quello della Luce, che essi chiamano Msunia Kushta, l’equivalente dell’Avalon britannico, del Kert egizio, e dell’Agartha: in breve l’Albero dell’astrale con le sue dieci dimensioni vibrazionali-quantiche. Il leader supremo di questo regno - un regno interiore e metafisico - è Kibil Ziwa, spirito tutelare della terra e l’equivalente di Michele in qualità di leader di tutti i vigilanti custodi assegnati a ogni uomo: gli “Shislam Rba”, angeli tutelari. Nel Codex Nazireus 1:135, Kibil Ziwa è denominato anche “Nebar-Iavar bar Iufin-Ifafin”, timone e vigna del nutrimento vitale, poiché egli è il Signore degli eoni (come Michele e Cristo, secondo gli gnostici) e il Messaggero di Vita di Ferho, la prima causa di tutto, l’Altissimo, l’Invisibile centrale. Kibil Ziwa è definito il “Potente signore dello splendore”, poiché questa è la traduzione del termine in lingua mandea. Gli esseni nei loro manoscritti codificavano Michele proprio come il Principe della Luce e delle Luci. In buona sostanza, Ziwa è l’equivalente del Dio solare sumero Shamash, noto come il “risplendente”, e il “gemello luminoso” degli uomini spirituali, lo “jamig rosn” (gemello di luce o pneuma) del sistema manicheo. Non è casuale che in alcune opere manichee copte esumate verso il 1930 nel Fayyu’m, si parla di Gesù come di “Yiso Ziwa” (Gesù il luminoso) e di “Yiso Zindakar” (portatore di vita, vivificatore, vivente). Ziwa, in ogni modo, è destinato a combattere i geni ribelli e folli, in particolare i sette principi (Arconti) mal disposti, progenie dello Spirito Madre. Per contrastare l’influenza nefasta e perversa delle sette armate, il cui fine è quello di incatenare le anime umane al destino (karman) per sempre, Kibil Ziwa crea sette potenze da opporre alle prime, definite “sette vite”: le virtù cardinali che risplendono nella loro forma e luce dall’alto, così ristabilendosi l’equilibrio tra il bene e il male, la luce e le tenebre. E’ narrato poi che gli spiriti fedeli a Ziwa, gli Shislam Rba, divennero noti come “Figli della Luce” e “Adonim (Signori)”, e costituirono la gerarchia celeste guidata da Michele-Ziwa.  Tutto ciò palesa un legame stretto con l’Antica Tradizione per come è stata tramandata oralmente dagli esseni di Qumran e dagli gnostici alessandrini.
First-priest-baptizing-his-apprentice.jpg
Tradizione Spirituale mandea
Le tradizioni e le registrazioni mandee sono una miniera di informazioni ermetiche e di antiche pratiche rituali nazirite. Le molte sovrapposizioni nella tradizione del cristianesimo primitivo e nella moderna tradizione mandea suggeriscono una comune origine di entrambe. Ritengo che quest’origine vada trovata nella Tradizione Primordiale custodita dagli esseni “Moreh ah tzedeq” (maestri di giustizia), i segreti Cedri del Libano. Analizzando prudentemente la tradizione mandea, sembra possibile recuperare molti di quegli antichi principi propri dei naziriti esseni. Pur tuttavia, una cosa deve essere chiara: né i mandei né gli gnostici ebbero l’intera rivelazione. Il deposito della sacra conoscenza fu custodito dagli esseni di Qumran e, assimilato da Gesù, fu completato con le sue nuove rivelazioni sulla costruzione del corpo di luce, conoscenze ereditate poi dalla moglie Maria Maddalena e dalla Chiesa del Graal. Tutti gli altri, compreso i mandei, ebbero solo una parte della rivelazione, custodita in origine dai sacerdoti di Melkizedek che oggi conosciamo come naziriti-esseni. I naziriti, secondo i mandei, erano osservatori delle stelle e profeti. Erano profondi conoscitori di formule magiche (mantra-parole di potere) senza le quali nessuna cerimonia religiosa e nessun esorcismo sono efficaci. I sacerdoti mandei, in linea con questa tradizione antica, conoscerebbero l’arte di pronunciare con esattezza i nomi degli spiriti buoni, il che se non li porta al servizio del sacerdote, almeno li porta alla sua presenza, essendo stati correttamente invocati con la giusta impronta vibrazionale. Le preghiere sono recitate ad alta voce, tranne nei casi di meditazione individuale. Alcuni sacerdoti mandei affermano di possedere ancora per tradizione orale queste conoscenze, possedute millenni prima dai loro ancestrali antenati sumeri, esperti in incantesimi. A mio parere, la tradizione mandea non è tanto corrotta quanto piuttosto male interpretata dagli stessi mandei che nel tempo l’hanno ereditata e da coloro che nel tempo hanno osservato e analizzato le loro usanze e tradizioni privi della necessaria preparazione iniziatica. In ogni modo, i mandei costituiscono “un’archeologia” esoterico-iniziatica interessante per la sopravvivenza di splendidi riti legati all’elemento acqua, riti che hanno spinto Pincherle a conferire una patente atlantidea a questo misterioso popolo. Ma la maggior parte di questi riti sono essoterici, poiché rimandano a una pratica alchemica basata proprio sull’elemento acqua. I riti immersivi dei Mandei, analoghi ai riti esteriori degli antichi esseni, dai quali a mio parere promanano, sono riti che custodiscono “qualcos’altro” di più prezioso e sublime. Questo qualcos’altro è celato anche nei riti massonici e anche nella funzione cattolica, e attiene all’iter alchemico condensato nel “Visita Interiora Terrae Rectificando Invenies Occultam Lapidem Veram Medicinam (Vitriolum)”. La pratica alchemica trova cioè il suo riferimento esteriore tanto nel rito battesimale praticato dalla Chiesa Cattolica, quanto in quello più antico praticato dagli esseni nelle sacre vasche, e in quello dai mandei nei fiumi e nei corsi d’acqua definiti tutti “yarda (Giordano)”. Gli alchimisti medievali, custodi della sapienza alchemica essena, alludevano a un bagnarsi nelle acque del proprio Giordano per ricevere dalla divinità, una volta purificati dalle acque di fuoco ed eliminate le scorie animiche, la sacra unzione a Re-Sacerdote al modo di Melkizedek. Il battesimo è talmente centrale nella tradizione spirituale mandea che nessun bambino non battezzato è considerato appartenere alla comunità. Parimenti, in senso alchemico, nessun iniziato (bambino) era realmente appartenente alla fratellanza essena e ancor più alla Fratellanza diffusa del Melchisedeq, se non attingeva al proprio Giordano.
Tre sono i princìpi spirituali supremi venerati dai Subbi:
1)    La Grande Vita. I mandei venerano la suprema divinità col nome “Hayyi” che in aramaico significa il “Vivente” o la Vita stessa. E’ un principio che origina dall’Egitto esoterico, ove era venerato l’ankh, la Chiave (alchemica) della Vita. Essi la chiamano la “Grande Vita” ed è un principio assoluto della Tradizione Primordiale poiché quei pochi che sanno, inneggiano e glorificano il Dio Supremo proprio come la Grande Vita, personificazione della forza creativa maschio-femmina (volontà e sapienza) dell’universo, ritenuta insondabile e misteriosa. Tutti gli scritti sacri mandei esordiscono con l’inneggiare alla Grande Vita. Il simbolo della Grande Vita è l’Acqua di Vita che scorre. Era questo anche il segreto significato dell’ankh egizio (chiave della vita eterna). L’acqua fluente conserva un posto centrale nei rituali dei Subbi di qui la necessità di vivere nei pressi dei fiumi e dei corsi d’acqua. Ciò origina dal culto alchemico dell’acqua di vita. Nell’Antico Testamento si allude alle “acque di Siloe (Cristo) che scorrono piano” rigettate dal popolo profano (Isaia 18:6), la stessa acqua-pietra che, rigettata dai costruttori, diviene pietra angolare in chi la utilizza e vi lavora (Matteo 21:42). Proprio nell’acqua della piscina di Siloe, Gesù opera il miracolo dell’apertura degli occhi al cieco, metafora dell’inizio del risveglio (Giovanni 9:7).
2)     Il secondo potere vivificante è la Luce, rappresentata dalla divinità Melka d’Nhura (Principe della luce), altrimenti noto come Kibil Ziwa. I mandei venerano gli spiriti della luce (spiriti buoni) che procurano salute, forza, virtù e giustizia. Nel sistema etico dei mandei, come in quello degli zoroastriani, la pulizia, la salute del corpo e l’obbedienza rituale devono essere accompagnate dalla purezza mentale e di coscienza, e obbedienza alle leggi morali. Una frase nel Manuale della Disciplina recita: “Che loro possano vedere la Luce della vita”.
3)     Il terzo e non ultimo principio del credo mandeo è l’Immortalità dell’anima e la sua stretta relazione con le anime dei suoi antenati. Nella tradizione ermetica, i veri antenati non sono quelli di sangue, ma le precedenti personalità incarnate. Credo che però i mandei non giungano a concepire un concetto così profondo ed ermetico della linea ancestrale. In ogni modo, il destino della propria anima è la principale preoccupazione dei mandei come lo era per gli egizi, laddove il corpo è trattato quasi con disprezzo. I mandei credono nell’esistenza di una vita successiva, nella quale ci saranno premi o punizioni karmiche. Il peccato sarà punito nel Mattaratha (carcere dell’anima), il regno astrale degli Arconti planetari, e la buona condotta nel Paradiso. Non c’è però un’eterna punizione perché Dio è misericordioso. Nella Tradizione ermetica paradiso e inferno non sono altro che la convergenza della coscienza verso gli ideali spirituali o la soddisfazione delle passioni e dei desideri della carne.
15432.jpg
I livelli dello spirito
Asceticismo, rinnegazione di sé stessi e la semplicità sono attitudini religiose mandee. Non esiste esibizionismo religioso. Tutto dovrebbe essere fatto con sobrietà e in privato. I mandei devono rivolgere lo sguardo verso il Nord durante le preghiere, laddove gli esseni si rivolgevano all’est. L’idea sbagliata di questo culto origina dal fatto che sebbene i Subbi siano monoteisti, ritengono che lo spirito buono e i suoi emissari angelici risiedano nella stella del Nord, dalla quale essi governano il mondo sotto l’egida del Dio Supremo. La genuflessione e la prostrazione sono sconosciute in preghiera, come del resto la copertura del volto con le mani. La testa è mantenuta eretta, e le mani non sono utilizzate. La Tradizione invece prevede un atteggiamento contrito e umile nei confronti di Dio, poiché il timor di Dio è un preliminare necessario dell’amore per Dio. In tal senso, i musulmani hanno da insegnare qualcosa. E’ previsto che i sacerdoti utilizzino una serie diversa di preghiera per ogni giorno della settimana. Le ore di preghiera sono l’alba, il mezzogiorno e il tramonto. Uno dei loro credo inviolabili era ed è l’integrità del corpo fisico. Niente di esso deve essere tagliato o ferito poiché Dio ha creato la persona in modo sano e completo e così vi deve tornare. Quindi, non è prevista la circoncisione al contrario della tradizione ebraica. Nel pensiero mandeo, lo spirito umano ha due livelli: il livello divino e più alto (nashimta, la neshama della cabala), che promana da Dio, e lo spirito inferiore (ruha). La ruha è la parte bassa dell’anima connessa con la vita e i desideri carnali che spingono al male, inteso come allontanamento da Dio e da una vita divina. La parte elevata dell’anima (nashimta), ricevuta da Dio, e assimilabile a quei “talenti” di cui Gesù parlava, ispira i più alti pensieri. Queste due forze si contendono l’essere umano e una persona può rafforzare il nashimta a discapito del ruah  attraverso esercizi spirituali tendenti alla purezza fisica e spirituale ed evitando le vie del male suggerite dall’anima carnale. I mandei sostengono che questa conoscenza sia il lascito dei naziriti. D’altronde la bipartizione dell’anima in due volti è un patrimonio gnostico tipico della cabala ebraica, la quale è a sua volta debitrice delle segrete conoscenze degli esseni-naziriti i quali, nel rotolo detto “Testamento di Amram (4Q543)” chiamano queste due forze in lotta dentro di noi “Melkizedek” e “Melkiresha”. E torniamo così a un tema che il lettore troverà sicuramente costante nei miei articoli. La conclusione è che non ci sia alcun elemento che supporti la tesi di Pincherle, ma diversi per inserire la ritualità immersiva mandea - la credenza nella rigenerazione dalle acque con l’infusione dello Spirito santo - nell’alveo della Tradizione Primordiale del Re del Mondo e del Sacerdozio eterno al modo di Melkizedek.

Nessun commento: