domenica 17 aprile 2022

La Pasqua e il mistero della Passione e della Resurrezione dell'Orfeo Bacchico

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Scritto da Cristiano Vignali

orfeomito(ASI) Roma – Sul finire del IV secolo d.C., viene segnata per sempre la sorte dell'Impero Romano, dell'Europa e del Mediterraneo a causa di  scelte che saranno prese nella parte orientale dell'impero che da sempre aveva a livello religioso e militare una importanza strategica fondamentale per Roma, sia per la presenza di quelli che erano considerati i nemici più temibili, ossia i Persiani, sia per il forte fermento religioso legato ai culti misterici e orfeici provenienti dall'Oriente che hanno reso il Medioriente un costante problema di ordine pubblico per le autorità romane.

 

Il 9 agosto 378 d.C. la sconfitta dell'esercito di campo romano orientale ad Adrianopoli, ad opera di tribù di Goti, con la cattura e l'uccisione dello stesso imperatore Valente, segnano l'inizio della fase terminale della crisi militare dell'Impero Romano fondato da Augusto nel 27 a.C che unificava il Mediterraneo, fulcro del potere romano ribattezzato “Mare Nostrum”, toccando tre continenti l'Europa, l'Asia e l'Africa.

L'Impero Romano, oltre che sul “mito” dell'invicinbilità delle sue legioni, fondava la sua solidità sulla cosiddetta “Pax Deorum”, ossia sulla concordia fra la comunità civile, e le divinità del Pantheon della religione classica romana che ogni volta che c'era una nuova conquista delle legioni, si allargava con nuove divinità o con l'assimilazione sincretica di funzioni, riti, immagini culti delle divinità tradizionali romane con quelle della divinità del nuovo popolo entrato nell' “Ecumene” romano, poiché in una società arcaica come quella degli antichi, era fondamentale per un giusto equilibro sociale la concordia e spesso l'identificazione del potere politico con quello divino in un progetto di costruzione universalistica imperiale, al fine di controllare l'eterogenea massa di territori e popolazioni, in un'epoca in cui il progresso tecnico era di certo lontano da quello di oggi.

Questo sistema fondato sulla forza delle legioni e sul sincretismo religioso che includeva nella religione politeistica romana nuovi culti di nuove divinità, entra in crisi con la cosiddetta anarchia militare del III secolo d.C., dopo la fine della dinastia dei Severi che attraverso la “Constitutio Antoniniana” di Caracalla  aveva concesso nel 2012 la cittadinanza romana a tutti gli abitanti delle città dell'Impero, facendo venir meno la distinzione fra provinciali e cittadini romani, divisione su cui si era fondato fino a quel momento il potere dell'oligarchia senatoria repubblicana tradizionale.

I Severi, soprattutto con Eliogabalo ( Marco Aurelio Antonino Augusto, nato come Sesto Vario Avito Bassiano, imperatore dal 16 maggio 218 d.C. All'11 marzo 222 d.C.), avevano introdotto nuovi culti orientali misterici che avevano creato dei gravi dissidi religiosi in seno all'impero, così   alla loro caduta, alla instabilità politico – militare si aggiunse una altretattanto grave di tipo mistico – religiosa che aveva portato alla fine del Principato nel 284 e l'inaugurazione del Dominato con Diocleziano.

Diocleziano (imperatore dal 20 novembre 284 al 1 maggio 305 col nome esteso di Gaio Aurelio Valerio Diocleziano Augusto Iovio, nelle epigrafi Gaius Aurelius Valerius Diocletianus Augustus) è stato il primo che cerca concretamente  di arginare senza definitivi risultati positivi la crisi della società romana tradizionale e delle istituzioni, sia con  la riscoperta dei culti tradizionali romani e la conseguente persecuzione di quelli orfeici misterici e profetici provenienti dall'Oriente, sia con la forma di governo della Tetrarchia che stabiliva in modo chiaro la successione al trono imperiale. Nella concezione pagana di Diocleziano, era fortissimo il culto di Roma e della figura dell'Imperatore che si dichiarava figlio di Giove, cosa atipica nella religione tradizionale romana, e ciò era già un primo passo verso l'instaurazione di un nuovo ordine religioso in seno all'impero che dal politeismo puro della Res Publica, si era trasformato pressoché in una vera e propria teocrazia ellenistica, più funzionale all'ideologia di dominio ecumenico del nuovo impero sorto dopo la concessione della cittadinanza a tutti i cittadini dell'impero fatta da Caracalla.

Ma, il ritiro a vita privata di Diocleziano nel palazzo imperiale di Spalato costruito appositamente per lui, riporta la situazione nell'anarchia prescedente alla sua salita al potere, così  Costantino I il Grande, il primo imperatore che riesce a instaurare un potere solido e duraturo dopo Diocleziano, decide di intraprendere una strada in controtendenza rispetto al suo predecessore.

Costantino, col suo “Editto di Milano” del 313 d.C, fondato  invece sulla tolleranza religiosa di tutti, cerca di dare impulso a quei culti misterici e orfeici che erano diffusi soprattutto fra i militari, dove il culto della divinità dell'Asia Minore Mitra era molto diffuso che fu poi nel corso dei secoli sincretisticamente associata alla figura e al culto del Cristo. Costantino, non è probabilmente consapevole di fondare uan nouva religione, infatti non abbandonerà mai la carica di Pontefice Massimo, ma da bravo romano, fedele ai segni e agli auspici che gli antichi sapevano leggere perfettamente, è devoto al Dio che gli aveva mostrato la cometa che nell'ottobre del 312 d.C passa sui cieli dell'Italia centrale e che i legionari interpretano come un presagio divino, probabilmente di Mitra e non di Cristo come poi ci hanno riportato i chierici che hanno trascritto le opere latine e greche nel Medioevo. Infatti, negli ultimi decenni è sempre più diffuso il forte dubbio se Costantino si riferisse a Cristo effettivamente o a Mitra, due culti che all'epoca erano molto simili e che la Chiesa Cattolica, assimilò sincretisticamente. Quello di Mitra era un culto arrivato dall'Oriente probabilmente verso la fine del I sec. a.C che si diffuse a Roma con riti che saranno poi assorbiti dal Cristianesimo, a partire dal battesimo, passando per la comunione, fino alla stretta di mano. Era molto amato in ambiente militare poiché prometteva la vita eterna a chi si fosse battuto con valore in battaglia dalla sua parte e qui si spiega la foga nella lotta per la vittoria dei soldati di Costantino contro quelli di Massenzio quando il primo decide di mettere le insegne del Dio sugli scudi. Ma, con l'avvento del Cristianesimo come religione di Stato romana, i suoi fedeli vennero perseguitati e i loro templi inglobati nelle chiese. Mitra muore e risorge anch'egli, guarda caso a 33 anni, la stessa età in cui la leggenda dice che muore e viene portato in cielo Alessandro Magno il Macedone da due grifoni alati.

Spiega molto bene come il culto di Mitra si sia adattato alla cultura romana e di come sia poi stato facilmente associato al culto di Cristo il libro di Maarten Josef Vermaseren, “Mithra, il dio dei misteri”, tradotto in Italiano da Barbara de Munari con prefazione di Giancarlo Mantovani, “Edizioni Ester”, “Collana Altra Conoscenza”, Bussoleno, Torino 2017  opera dedicata a Mitra dio indo – iranico, diffusosi con le conquiste di Alessandro Magno nel mondo ellenico e nel Mediterraneo orientale, dopo la disgregazione dell'impero dgli Achemenidi. Il culto di Mitra, religione misterica per eccellenza che prometteva una vita migliore dopo la morte, trovò ampia diffusione nella società romana del III secolo sia in Oriente che in Occidente (anche grazie ai culti e alle dotrine misteriche che ne favorirono l'ascesa come l'Orfismo, l'Ermetismo, lo Gnosticismo e la Teurgia), pervasa da crisi politica ed economica, assumendo sempre più caratteristiche tipiche dell'Ellenismo. Per comprendere come in modo sincretico la divinità si sia trasformata basti vedere come la tradizionale festa romana del Sol Invictus del 25 dicembre, nel IV secolo venne impersonificato nella figura di Mitra e successivamente con la festa del Santo Natale di Cristo.

 Sull'argomento vedi anche: C. Vignali “Le origini pagane della festività del Natale: dal Sol Invictus, a Mitra, passando per Dioniso, fino a Gesù Cristo”, 25 dicembre 2017, Agenzia Stampa Italia; “Anno Zero – Mitraismo romano e Cristianesimo” su altrogiornale.org del 28 giugno 2016;  Luigi Cascioli, “La Favola di Cristo”, 2002: Carlo Pavia “Oro, Incenso e Mitra”, Gangemi Editore.

Inoltre, Costantino cerca di risolvere il problema dell'instabilità politico – militare al confine orientale con i Persiani, tramite la fondazione di una capitale,  “Nuova Roma” nel 330 d.C. (che poi prese il nome di Costantinopoli in suo onore), lì dove sorgeva Bisanzio sullo Stretto dei Dardanelli fra la penisola balcanica e quella anatolica dell'Asia Minore).

Roma forse sarebbe riuscita ad includere nalla sua religione tradizionale le nuove divinità provenienti dall'Oriente senza stravolgere il suo Phateon degli Dei, senza mutare la visione escatologica della sua religione di Stato che tradizionalmente puntava alla gloria di Roma cara agli Dei e che con l'avvento del Cristianesimo  punterà  più alla gloria e alla grazia dei cieli che a quella sulla terra.

Ma, con la sconfitta di Adrianopoli delle armi romane, dopo la crisi della pace religiosa del Mediterraneo, tenuto unito non senza gravi problemi di ordine pubblico da parte delle autorità, anche il mito dell'invincibilità dell'esercito viene meno, perché per la prima volta i Romani vengono non solo sconfitti, ma anche sbaragliati in campo aperto sul loro territorio in una battaglia campale da parte di un esercito formato dalla popolazione barbarica dei Goti, con tutte le ripercussioni di immagine per l'autorità imperiale e il definitivo stanziamento di popolazioni di stirpe germanica all'interno del “limes” orientale senza che i Romani potessero impedirlo.

A questo punto, insieme ad un tentativo di integrazione in seno alle strutture militari e politiche romane dei nuovi “federati” barbari, diventa ancora più radicale la politica religiosa di stampo teocratico che prediligeva il monoteismo al politeismo, poiché di fronte a una tale “spada di damocle” rappresentata dai Barbari che ogni volta che cambiava regime potevano  ribellarsi o meno alle autorità imperiali, Teodosio I “Il Grande (Flavio Teodosio), decide prima con l'Editto di Tessalonica nel 380, di rendere il Cristianesimo la religione ufficiale dell'impero e poi nel 392  d.C. addirittura di proibire i sacrifici e il culto pagano, diventato unico Augusto delle due parti dell'Impero Romano, facendo venir meno definitivamente la classica tolleranza religiosa che aveva caratterizzato Roma fin dai tempi delle conquiste repubblicane, minando l'unità stessa dell'Impero che dalla sua morte, sopraggiunta il 17 gennaio 395 non sarà mai più unificato sotto un unico augusto, rompendo per sempre l'unità del Mediterraneo anche in campo religioso, dividendo l'impero fra i due figli Arcadio per l'Oriente e Onorio per l'Occidente. Quella che sembrava una mera divisione amministrativa e che forse nell'idea di Teodosio lo era, segnò in realtà lo smembramento dell'Impero romano, la cui parte occidentale addirittura cadde meno di un secolo dopo nel 476 d.C, e l'inizio dello sgretolamento dell'unità del Mediterraneo anche in campo religioso.

I Romani erano abituati a non distinguere la religione della politica di potenza imperiale, perciò con l'instabilità politica a partire dal III e ancora di più dal IV e V secolo, da prima con Costantino I, poi infine con Teodosio I e con i suoi successori, soprattutto con la figlia Galla Placidia madre del nipote Valentiniano III e con l'altro nipote Teodosio II, decisedo di orientarsi sempre più verso un monoteismo di stampo orfeico, misterico, profetico e salvifico con caratteristiche sia escatologiche sia soteriologiche che metteva ordine nel panorama religioso dell'impero, ricco di un numero eterogeneo di divinità e di culti, i cui fedeli erano in contrasto l'uno con l'altro, perché soprattutto quelli provenienti dall'Oriente erano confacenti più a regimi di tipo teocratico satrapico che alle istituzioni della religione classica italica, romana e greca. Da qui si spiega anche perché il “Cesaropapismo”, idealmente inaugurato dalla dinastia di Teodosio, ebbe vita breve in Occidente e lunga in Oriente, dove questi culti, grazie alla cultura greca e all'Ellenismo erano maggiormente confacenti alle forme di governo tipiche dell'epoca. A tal proposito, ci furono fra il IV e il V secolo diversi concili dogmatici per mettere “ordine” in quello che sarebbe stato il culto del Cristianesimo, nuova religione ufficiale dell'Impero, tra cui: il Concilio di Nicea del 325, il Concilio di Costantinopoli nel 381 e infine il Concilio di Efeso del 431 d.C.

Esistevano nell'impero fin dal I secolo d.C. molteplici culti monoteistici di tali caratteristiche, senza parlare ovviamente del più antico e famoso, da cui derivava anche il Cristianesimo, cioè l'Ebraismo, come ad esempio quello di Dioniso e quello di Mitra ad esempio, o quello di Orfeo che era considerato il profeta dell'Orfeismo con notevoli caratteristiche simili a quelle di Gesù (egli era una sorta di sciamano capace di incantare animali e di compiere il viaggio dell'anima lungo gli oscuri sentieri della morte, vedi ad esempio  Giulio Guidorizzi, “Il mito greco vol 1, Milano, Mondadori, 2009, p.77 ISBN 978880458347-9).

Il culto di Dioniso che prenderà sincretisticamente il posto del sannitico Libero e del latino Bacco, aveva delle caratteristiche molto analoghe a quelle della figura del Cristo, in particolare relative al mistero della morte e della resurrezione intesa come sacrificio del Dio per l'espiazione dei peccati degli uomini. Nella sua versione orfica, salvifica, Dioniso, chiamato col nome di Zagreo (Zαγρεύς) che appare per la prima volta nel poema del VI secolo “Alcmenoide” (“Potnia veneranda e Zagreo”, cioè “tu che sei sopra tutti gli dei Zagreo”), figlio di Zeus che, sotto forma di serpente, feconda la figlia Persefone,  rappresenta il mito della “resurrezione del Dio ucciso. Secondo il mito, Zeus aveva deciso di rendere Zagreo il suo successore nel governo del mondo, provocando così l'ira della sua moglie legittima Era che rivolgendosi ai Titani lo fece rapire ed uccidere, divorando le sue carni, ma Zagreo sarebbe resuscitato poiché Zeus avrebbe mangiato il suo cuore raccolto da Atena, oppure lo avrebbe fatto mangiare a Semele che lo avrebbe fatto resuscitare sotto forma di Dioniso. Zeus punì i Titani fulminandoli e incenerendoli e dal fumo uscito dalle fiamme del corpo di Zagreo (Dioniso) carbonizzato e da quello fuoriuscito dal corpo dei Titani,  sarebbero nati gli uomini con uan parte materiale cattiva (derivante dai Titani) che deve essere purificata, cioè salvata, e una spirituale divina ( derivante da Dioniso). Quante similitudini con quelle dei misteri della fede cristiana e col mistero della Resurrezione del Cristo ( vedi a tal proposito, F. S. Villarosa, “Dizionario mitologico – poetico”, vol. I, Napoli, Tipografia Nicola Vanspandoch e C.).

Probabilmente, alla fine del IV secolo la scelta finì sul  Cristo sia perché il “Nazzareno” era di origine ebraica e gli imperatori romani, avevano sempre avuto nel monoteismo ebraico un problema per la gestione del potere in Palestina a tal punto che dovettero distruggere il tempio di Gerusalemme con Tito nel 70 d.C e dar vita alla diaspora del popolo ebraico nei territori dell'impero che poneva un'ulteriore problema, quello dell'integrazione definitiva degli Ebrei nelle istituzioni romane, sia perché il Cristianesimo era una religione profetica, salvifica ed ecumenica che tramite il proselitismo cecava di convertire al suo culto tutte le genti del mondo, perciò era la fede che maggiormente si adattava al disegno di dominio universale romano.

Da quel momento, il Cristianesimo, divenuto ideologia del nuovo Impero Romano (anche grazie alla crisi delle istituzioni a seguito delle invasioni barbariche, in cui entrarono nel V secolo sempre più i ministri della fede cristiana che fungevano da ambasciatori e da difensori della popolazione  in assenza del potere militare romano), iniziò ad assimilare sincretisticamente gli elementi della tradizione pagana.

A tal proposito,  nel 1896 fu pubblicato un pendente in ematite (la pietra tipica degli amuleti) dei musei di Berlino, inciso e iscritto su un lato, proveniente dalla collezione di E. Gterhard che raffigurava un personaggio crocefisso sormontato da una luna e da sette stelle e sulla parte bassa ai due lati del crocifisso la scritta che definiva il Cristo in croce “Orfeo Bacchico”, realizzato nella tarda antichità, su cui negli anni Venti e Trenta del secolo scorso ci sono state una serie di indagini da parte di studiosi che si sono interessati della religione orfica (Vedi anche    A.Furtwängler, Beschreibung der geschnittenen Steine im Antiquarium, Berlin 1896, nr.8830; O.Wulff, Königliche Museen zu Berlin. Altchristliche und mittelalterliche, byzantinische und italienische Bildwerke, I, Berlin 1905, p.234, nr.1146, tav.56; cf. A.Boulanger, Orphée. Rapports de l'Orphisme et du Christianisme, Paris 1925, p.7; H.Leclercq, s.v. Orphée, in Dict.d'archéol.chrétienne et de liturgie, XII, c. 2754, fig.9249; cf. Id., ibid., VI, s.v. Gemmes, c.840, nr. 177. L'oggetto è disperso dal tempo della seconda guerra mondiale; W.K.C. Guthrie, Orpheus and the Greek Religion, Lond 19522=Orphée et la religion grecque, Paris 1956, p.295; Il Leclercq, l.c., riporta una datazione al secondo terzo del II secolo d.C., ciò che è poco credibile e, come avverte lo stesso autore, "troppo preciso". Anche F.J.Dölger, Ichthys, I, Roma 1910, p.324, parla del II secolo. H.Neumann, Untersuchngen zur Ikonographie der Kreuzigung Christi, Habil.-Schrift. Halle 1968, pp.22-35 (cit. da P.Maser, Die Kreuzigungsdarstellung auf einem Siegelstein der Staatlichen Museen zu Berlin, in "Riv.Arch.Crist." 52, 1976, p.257) e P.Hinz, Deus Homo, Berlin 1973, p.91, avanzano una datazione alla seconda metà del III secolo. R.Zahn -(J.Reil), Orpheos Bakkikos, in "ÖAggelow" 1926, p.63, circa la paleografia del III secolo).

Tutto ciò è spiegabile col fatto che durante la tarda antichità Gesù Cristo era chiamato spesso con il nome di Orfeo perché proprio da questo profeta divino pagano aveva ripreso alcune delle sue caratteristiche tipiche come quella di incantare gli animali e le persone e di compiere prodigi. Il Cristo sulla croce viene chiamato “Orfeo Bachico”, dove Bacco è il nome romano del greco Dioniso, perché con il mistero della Passione e della Resurrezione del Cristo per salvare gli uomini, rivive per certi versi il mito stesso dello Zagreo – Dioniso – Bacco - Libero (Vedi anche Cf. H.Rahner, Griechische Mythen in christlicher Deutung, Zürich 19573, tr.ingl. Greek Myths and Christian Mystery, New York-Evanston 1963, p.58, a proposito dell'intaglio berlinese e di un inno medievale (A.Mai, Nova Patrum Bibliotheca, I.2, Roma 1852, p.208). Sui temi del mito di Orfeo applicati alla figura di Cristo nei Padri della Chiesa cf. Gruppe, o.c., c.1207; poi Leclercq, c.2754, nr.23, fig.9250 (al British Museum). Al nr.20, fig.9248 è pubblicata una gemma in corniola, di provenienza incerta e conservata ai musei di Berlino, raffigurante Orfeo che suona la cetra in mezzo agli animali. Il Leclercq suppone che provenga da una catacomba romana ).

Il Cristo in Croce, chiamato “Orfeo Bachico”, sull'intaglio del ciondolo di Berlino, presenta anche sette stelle e la luna che secondo una iconografia classica delle gemme astrologiche, magiche, del mitrismo e dello zoroastrismo, rappresenta  i sette pianeti insieme alla luna, ulteriore elemento dell'inglobazione sincretistica di culti pagani da parte del Cristianesimo (Cf.R.Merkelbach, Mitra, tr.it., Genova 1988, p.477, fig.165).

In merito si legge sul saggio di Attilio Mastrocinque “Orpheos Bakchikos”, aus: Zeitschrift fur Papyrologie und Epigraphik 97 (1993) alla pag. 23 -24: “Orfeo, come prefigurazione di Gesù come figura Christi, è ben noto sia dalle fonti letterarie che da quelle iconografiche. In particolare, aveva colpito il pensiero dei cristiani il mito di Orfeo che affascina gli animali con il suo canto e che da loro sa farsi capire, e qui i fedeli riconoscevano un parallelo con il Cristo, il cui Verbo convinceva tutte le genti. L'iconografia del cantore tracio tra le bestie, che si ritrova negli affreschi delle catacombe cristiane, era pertanto resa simile all'iconografia del Buon Pastore. Come Orfeo, anche altri famosi personaggi della mitologia pagana furono reinterpretati dal pensiero cristiano, che ne fece altrettante prefigurazioni del Cristo, e in particolare Ercole e Prometeo, a causa delle loro sofferenze in favore dell'umanità. Anche la tradizione dei culti misterici pagani fu assimilata e reinterpretata dai cristiani”.

Dunque, in definitiva si può ben dire che gran parte delle festività, dei culti, dei riti, dei simboli, della religione cristiana sono ripresi dagli antichi culti pagani a cui si sono spesso sostituiti cambiando solo il nome del nuovo Dio a quello del vecchio culto, come è pressoché avvenuto con la Santa Pasqua, dove il mistero della morte e resurrezione del Cristo è strettamente legato ad esempio al analogo mito di Dioniso (Bacco in Latino).

Su come la religione si sia modificata nel corso dei millenni sostituendo solo il nome alla divinità, senza modificare sostanzialmente i riti tradizionali e ulteriormente sul mistero della vita e della morte del Cristo poi risorto, torneremo in altri approfondimenti.     

 Cristiano Vignali – Agenzia Stampa Italia

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