giovedì 3 dicembre 2020

Le paure di Nietzsche

“Quando guardi a lungo l’abisso, l’abisso ti guarda dentro”.
Friedrich Nietzsche ha avuto per tutta la vita un’unica vera paura: perdere il controllo della propria mente. Il padre morì quando aveva soltanto cinque anni, dopo un periodo di apatia cerebrale che segnò per sempre la vita del filosofo. La perdita della lucidità, lo sguardo immobile nel vuoto: stessa sorte toccata al nonno e, qualche anno dopo, al giovanissimo fratello Joseph. Friedrich sentiva il peso della condanna, sapeva che prima o poi sarebbe toccato anche a lui. Quando i primi sintomi si manifestarono – fortissime emicranie, dolori agli occhi, vomito – Nietzsche era poco più che trentenne ma aveva già ottenuto la prestigiosa cattedra di lingua e letteratura greca all’università di Basilea. I dolori si susseguivano e presto dovette rinunciarvi.
La parola solitudine non basta per comprendere l’istinto profondo di Nietzsche. Era troppo orgoglioso per credere che qualcuno «potesse amarlo». Allora, con una specie di furore demoniaco, recideva ogni rapporto con qualsiasi essere umano: non desiderava essere affine a nessuno, né vivo né morto. Così, via via, la solitudine cresceva, fino a coprire l’ultimo orizzonte. «Una filosofia come la mia – diceva – è come una tomba. Non si riesce a vivere insieme a lei».
Nessuno – ripeteva – gli faceva un cenno d’affetto, nessuno aveva bisogno di lui, nessuno si preoccupava di curarlo, nessuno cercava di scoprire quali sentimenti si nascondessero dietro i suoi libri. «Intorno a me – ripeteva a un’amica – s’è fatto davvero il vuoto: non c’è nessuno che abbia un’idea della mia condizione. Non ho sentito per dieci anni nemmeno una parola che penetrasse fino a me...È come essere un animale continuamente ferito». Mentre accumulava solitudine sulle sue spalle, cercava sempre più affetto: il calore dell’amicizia. Aveva però bisogno di rinunciare completamente a sé stesso e di non pensare più al suo io: trovando calma, disciplina, quiete, una precisione quasi militaresca. Per tutto questo, gli era necessaria una solitudine ancora più estrema di quella che aveva conosciuto fino allora. Lentamente, cominciò a prepararla e a costruirla. Ma fu il supremo dei suoi fallimenti: perché, in fondo a questa solitudine volontaria, trovò la lacerazione e la frantumazione della follia.
Il progetto di vivere in luoghi con un clima adatto al suo stato cagionevole combaciava con la sua curiosità per una nazione in particolare: l’Italia, dove sperava di tenere a freno il decadimento del corpo e della mente.
La nostra nazione gli ha regalato anni fertili sotto il profilo filosofico, come dimostra la scrittura delle sue opere più note, e la speranza di poter ricominciare una nuova vita, scappando dagli affanni della sua mente. Per più di un decennio Nietzsche ha vissuto in Italia non da turista, ma da cittadino attivo, da Nord a Sud. Soggiornò a Genova, Venezia, Taormina, Roma, Torino. Fu a Roma che conobbe Lou Salomè, all’epoca studentessa e in seguito psicanalista e scrittrice. Nietzsche se ne innamorò perdutamente, avvicinandosi a un sentimento che, secondo i biografi, non aveva mai conosciuto in tutta la sua esistenza. Si diedero appuntamento nei pressi di San Pietro, e il filosofo accolse la ragazza con la frase: “Da quali stelle siam caduti per incontrarci qui?”. Dopo mesi di corteggiamento, le chiese di sposarlo. Lei rifiutò, e a nulla valsero le reiterate richieste di Nietzsche. Il rifiuto lo fece cadere in una profonda depressione. L’unico modo che conosceva per restare aggrappato alla vita era scrivere, dunque iniziò a lavorare furiosamente su un’idea che ben presto sarebbe diventata Così parlò Zarathustra.

Nel 1889 Nietzsche ebbe il crollo mentale a Torino, città che amava tanto. Si trovava in piazza Carignano e vide un cocchiere fustigare a sangue un cavallo. Egli sconvolto, dapprima tentò di fermare l’uomo, poi si avvicinò al cavallo e scoppiò in lacrime. Lo abbracciò, lo baciò dolcemente e infine crollò a terra. Ebbe dei violenti spasmi e svenne. Al risveglio fu riportato nella sua abitazione, mentre gridava di essere Gesù Crocifisso o intonava i canti popolari dei gondolieri veneziani (appresi a suo tempo negli anni a Venezia).
L’amico Franz Camille Overbeck lo portó in una clinica psichiatrica di Basilea. Come era successo a suo padre Nietzsche iniziò a perdere progressivamente la memoria, poi l’uso della parola e quello degli arti inferiori. Aveva ormai raggiunto lo stadio finale. Trascorse gli ultimi anni della sua vita in uno stato catatonico, morendo nel 1900 per un infarto derivato da una polmonite.
Sulla reale malattia del filosofo, tutt’oggi non esistono certezze. C’è chi parla di neurosifilide, chi di tumore cerebrale, di psicosi maniaco depressiva, demenza frontotemporale o micro-ictus. Di fatto da quel momento la vita di Nietzsche non fu la stessa, come era scritto nel suo destino genetico.
Fu la sorella Elisabeth a prendersene cura gli ultimi anni. C’era chi sospettava che lo facesse per interessi economici.
Nietzsche non ebbe buoni rapporti né con la sorella né con la madre e in più occasioni le considerò "due canaglie". Questa considerazione del filosofo è derivata dal fatto che Elisabeth ebbe pessimi rapporti con Lou Salomé: Elisabeth mise sempre in cattiva luce Lou presso gli amici intimi del fratello. Secondo lei Lou si sarebbe legata a suo fratello, uomo puro, ignaro ed inesperto, incantandolo con la sua saccenteria da quattro soldi. Nel 1882 N. scriverà "Mia sorella considera Lou un rettile velenoso, che bisognerebbe ad ogni costo annientare - e agisce anche in conseguenza".
Dalla morte del fratello Elisabeth ebbe pieno accesso alle gestione delle sue opere e i suoi manoscritti. L'interpretazione nazista del pensiero di Nietzsche è dovuta alla manipolazione dei suoi testi ad opera della sorella. Gli studi nietzschiani del dopoguerra dimostreranno però la totale estraneità del filosofo al pensiero nazista.
Fu così che proprio in Italia che uno dei più grandi pensatori degli ultimi secoli conobbe l’amore, il dolore del rifiuto e la follia, ma soprattutto l’ispirazione prima del buio, lo sviluppo finale del suo pensiero, uno dei più grandi degli ultimi secoli.
(Nella foto F. Nietzsche con la sorella Elisabeth).

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