NIETZSCHE E L'ETERNO RITORNO
L’eterno ritorno si presenta come un esercizio mentale che consiste nell’immaginare che tutti gli istanti costituenti tutta la nostra vita ritornino eternamente e in forma identica a come si sono già prodotti. Tutto, assolutamente tutto ciò che viviamo e che abbiamo vissuto («ogni dolore e ogni piacere e ogni pensiero e sospiro, e ogni cosa indicibilmente piccola e grande») si ripeterà infinite volte ed esattamente nello stesso ordine […]. La dottrina dell’eterno ritorno è stata tradizionalmente interpretata come una «teoria» cosmologica, cioè come una spiegazione fisica dell’universo. Questa teoria si basa su un paio di assunti. Primo, Nietzsche concepisce l’universo come una forza o energia finita. Ogni cosa esistente, compresi gli esseri umani, è centro o punto di forza, concrezione della forza universale. Poiché questa forza è finita, vi sarà anche un numero finito di punti di forza e di combinazioni di tali punti, cioè un numero dato di esseri e avvenimenti possibili nell’universo. Tutto ciò che può esistere e accadere […] è per definizione limitato. In secondo luogo, Nietzsche considera che il tempo, il canale dentro il quale si sviluppa la forza dell’universo, sia infinito […]. Questo assunto contraddice evidentemente la concezione biblica del tempo e anche quella della scienza contemporanea […]. La fisica contemporanea sostiene inoltre che il tempo non debba essere pensato separatamente dallo spazio: da Einstein in poi il tempo non è più considerato una grandezza omogenea e indipendente, come pensava Nietzsche seguendo Newton. Mettendo da parte la questione della sua validità scientifica, rimane che dai due assiomi citati - forza finita, tempo infinito - è possibile dedurre l’ipotesi cosmologica dell’eterno ritorno: se il tempo è illimitato e se al suo interno si manifesta un numero limitato di combinazioni di forza, tali combinazioni devono ripetersi indefinitamente. Una delle virtù di questa nuova cosmologia è quella di dissolvere l’opposizione metafisica tra Essere e divenire. Zarathustra strappa l’Essere al regni mummificato del sovrasensibile e lo inserisce nel mondo vivo del divenire. L’unica essenza che possiamo attribuire all’esistente riposa precisamente sulla sua assoluta mancanza di riposo. L’essere intimo delle cose consiste in un divenire radicale, nel loro infinito ritorno […]. Le cose non sono eterne perché immortali, bensì precisamente perché nascono e muoiono infinite volte […]. Zarathustra riesce a catturare l’eternità dentro il tempo, nel cuore stesso della sua fugacità […]. La teoria dell’eterno ritorno concepisce l’universo come un sistema ermetico in cui tutti gli esseri e gli avvenimenti girano senza sosta. Siamo tutti minime parti di un ingranaggio circolare, semplici granelli che salgono e scendono dentro l’«eterna clessidra dell’esistenza». Indipendentemente da quello che facciamo, tutto tornerà infinite volte. Anche le sofferenze e gli orrori, le cose più meschine e disprezzabili […]. In quanto spiegazione della dimensione temporale dell’universo, l’eterno ritorno è una legge deterministica che risulta inumana, difficilmente assimilabile (Toni Llácer; Nietzsche. Il superuomo e la volontà di potenza).
Un’ipotesi come quella dell’eterno ritorno deve intendersi come un «simulacro» esplicativo che non ha la pretesa di verità come quella cui ambisce per esempio la legge di gravitazione universale. Il suo intento è invece quello di polverizzare le nostre certezze per dare impulso a uno specifico stile esistenziale […]. Più che come una confusa teoria cosmologica, quella dell’eterno ritorno va interpretata come una teoria etica che indica con chiarezza un approccio alla vita. In questa prospettiva, l’eterno ritorno è una versione nietzschiana dell’imperativo categorico di Kant. In concreto il nuovo imperativo potrebbe essere espresso in questi termini: qualunque cosa desideri, desiderala in modo da essere in grado di desiderarne anche il suo eterno ritorno. Addio a tutte quelle piccole pigrizie e vigliaccherie che costellano il nostro quotidiano. L’eterno ritorno ci impone un volere assoluto, una volontà che non si rifugia in nessuna scusante […]. Non si tratta solo di sopportare il peso dell’eterna ripetizione di ogni istante, bensì di volerla o desiderarla. La sfida consiste proprio nell’amare un tale peso. Questa è la concezione nietzschiana dell’amor fati o amore del destino. Volere che tutto sia come è: «Non volere che nulla sia diverso né nel passato né nel futuro né per tutta l’eternità» […]. Nulla è superfluo. Tutte le cose sono ugualmente preziose […]. Amare il proprio destino è inseparabile da uno stato di beatitudine, è il godimento supremo riservato a coloro che non hanno bisogno di Dio per celebrare il mondo (Toni Llácer; Nietzsche. Il superuomo e la volontà di potenza).
La teoria nietzschiana dell’eterno ritorno non significa altro che l’amor fati degli stoici, dai quali è probabilmente ripresa, ovvero l’amore per tutto ciò che è, visto nella sua bontà e bellezza (Marco Vannini; Storia della mistica occidentale. Dall’Iliade a Simone Weil).
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